lunedì 28 maggio 2012

DELLAMORTE DELLAMORE (1994), Michele Soavi


Italia, Francia, Germania, 1994
Regia: Michele Soavi
Cast: Rupert Everett, Anna Falchi, François Hadji-Lazaro, Mickey Knox
Sceneggiatura: Gianni Romoli


Trama (im)modesta – Francesco Dellamorte (Everett) è il guardiano del cimitero di Buffalora, una città dell’Italia del nord, un cimitero molto speciale dove chi muore torna in vita, entro sette giorni dalla sepoltura. Tra uno zombie ucciso e un altro, Francesco incontra una vedova misteriosa con cui intreccia una relazione erotica subito stroncata dalla di lei morte, a mano del marito geloso riemerso dalla tomba. E fra morti che tornano alla vita, surreali e orridi siparietti a cui provvedono i morti viventi, Francesco comincia a perdere presa sulla realtà e il confine fra morte e vita si fa sempre più labile. Quando poi la Morte in persona gli appare dicendogli che uccidere vivi o uccidere morti è la stessa cosa, il cammino verso la pazzia è inevitabile.


La mia (im)modesta opinione – Le arditezze grafiche e la sperimentalità visiva di un tipico B-movie mescolate alla storia curiosa e alle solfuree sparate di un Tiziano Sclavi non potevano che generare un innesto bislacco, sardonico e insolentemente gustoso come Dellamorte Dellamore. Chiariamoci, non che il becchino Francesco Dellamorte sia una specie di scimmiottatura del detective dell’incubo Dylan Dog, anzi nel franchise di Dylan Dog, l’investigatore e il guardiano dei morti sono buoni amici e in varie occasioni lo stesso Dellamorte viene citato. Francesco Dellamorte è il protagonista del romanzo che fa da soggetto a questo film omonimo.


Si riconoscerà certamente l’impronta di Sclavi nella caratterizzazione delle situazioni e dei personaggi. In tutto il film vibra acuta un’ironia beffarda e tagliente che sposta tutto il film e il suo tritume da horror anni ’80 (con intero pacchetto di musichette balorde, effetti speciali antidiluviani, trama sconnessa e vagabonda in extremis) in una dimensione teatrale e ironica, cioè in quella terra singolare e sconosciuta che è la realtà vissuta da Dellamorte un personaggio che, come si vedrà, crea la stessa vita attorno a se, vive nella propria mente. Impossibile spiegare i fatti della pellicola se non come una vicenda che il bizzarro guardiano dei morti ha vissuto solo sognandola e l’ha sognata solo vivendola. Il cimitero/proscenio, gli altri esseri umani che sono solo comparse compiacenti, le situazioni paradossali e deformate, tutto rimanda all’oniricità della situazione. E se la storia è tutta un sogno, il sognatore è Francesco Dellamorte, attore principale della commedia.


Dellamorte è un personaggio strano. Isolato, visionario, sciupafemmine, bislacco e fascinato dal macabro, questo eccentrico beccamorto è il protagonista della pellicola. Non un protagonista “materiale” ma un protagonista “mentale” perché ciò che il film ci fa vedere è tutto una sorta di inscatolamento della mentalità contorta di Dellamorte, una deformazione della realtà degna da pazzoide oppure uno psicodramma sulla morte e i desideri repressi. Solo così si spiega l’assurdo finale del film che vede i protagonisti trasformarsi in figurine di plastica dentro una boccia di neve. Francesco Dellamorte non è solo nella pellicola, Francesco Dellamorte è la pellicola stessa.


Tutto l’umorismo macabro e vagamente necrofilo (come la vedova misteriosa che non solo si eccita sessualmente visitando un ossario da film della Hammer ma vuole anche consumare un rapporto sessuale sulla stessa tomba del marito), tutte le scorrettissime scenette comiche, erotiche e cruente, tutto quanto l’allure di anomalia e assurdità che inzuppa il film fino al midollo contribuiscono a formare un film che piacerebbe molto a un Tarantino, che scommetto sarebbe capace di girarlo con una perizia ancora maggiore di quella di Soavi, regista ideale perché discepolo dei principi del trash Dario Argento e Joe d’Amato e che con Dellamorte Dellamore ha trovato l’occasione ideale per trasformare le banalità del B-movie in arditezze visive e l’inverosimiglianza dello script in ironica messinscena.


Ma non bisogna togliere a Soavi ciò che è suo. Partendo già da una base più che ottima, è riuscito a plasmare un film stranissimo, curioso e, in verità, assai letterario e quasi teatrale ma tutto questo è un bene. Lo straniamento che proviene dalla visione di questo film contribuisce a trasformarlo in una pellicola sopra le righe, inguaribilmente strampalata zeppa di frasi da antologia e battute da ricordare e di violenza degna del più sapido fra i film d’exploitation. Non si salva solo il finale, che porta a compimento un leggero sfibramento dei cardini portanti della pellicola e confonde lo spettatore essendo troppo apertamente surreale e simbolico (ma simbolico di che), ma per un piccolo neo come questo si può scontare una pellicola così raramente balzana ed estrosa.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Due modelli certi del film sono La donna che visse due volte (1958) di Alfred Hitchcock e il Pet Sematary (1989) di Mary Lambert, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King. Altro horror stralunato è Benvenuti a Zombieland (2009) di Ruben Fleischer come anche Dead & Breakfast (2004) di Matthew Leutwyler e Severance (2006) di Christopher Smith, il regista del deludente Black Death . Il Constantine (2005) di Francis Lawrence è un esempio di horror atipico e gustoso, come anche il disturbantissimo Denti (2007) di Mitchell Lichtenstein. Film simile a Dellamorte Dellamore, visivamente più efficace ma artisticamente inferiore è L’aldilà (1981) di Lucio Fulci.


Scena cult – Due scene su tutte. La prima è il ritorno dal regno dei morti della vedova amante di Dellamorte che vuole nuovamente unirsi a lui, con siffatto scambio di battute  « Ma tu sei morta... e io sono vivo! », « Non ho pregiudizi, amore mio. » La seconda è la scena dell’ospedale con massacro a sangue freddo di una suora, un’infermiera, un medico. Così divertente e violenta che pare una puntata di Happy Tree Friends. 

Canzone cult – Non pervenuta.

3 commenti:

  1. l'avevo visto un sacco di tempo fa.
    ne conservo un ricordo pessimo...

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  2. Il film è un classico b-movie duro e puro. Migliore dei film di Fulci o di Argento, dopotutto. Lo salva l'umorismo, altrimenti sarebbe proprio tremendo!

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    Risposte
    1. "Migliore dei film di Fulci o di Argento, dopotutto"

      GRAZIE AL CIELO! Finalmente ho capito: Trolli da morire di gridolini.Non si spiega altrementi nè il giudizio sul film che questo commento

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