mercoledì 30 maggio 2012

DRENG (2011), Peter Gantzler


Danimarca, 2011
Regia: Peter Gantzler
Cast: Sebastian Jessen, Marie Louise Wille, Helle Merete Søresen, Peter Gantzler, Mikkel Bjerrum
Sceneggiatura: Peter Gantzler, Iben Gylling


Trama (im)modesta – Christian ha diciotto anni, vive con sua madre, ha appena concluso il liceo e si prepara all’università. Lavora come aiutante del portinaio/factotum del complesso condominiale dove abita facendo piccole riparazioni, tagliando l’erba del prato o pulendo in giro. È così che incontra Sanne, procace mamma single, con cui intreccia una relazione prima semplicemente erotica ma che poi diventa sempre più profonda quando entra in gioco anche il piccolo Kasper, figlio di Sanne. Ma quanto è pronto Christian ad assumersi il peso di una vita adulta?


La mia (im)modesta opinione – Ci sono dei film, come questo Dreng, che iniziano come commedie dolceamare sull’amore contrastato fra due persone di età diverse e finiscono per diventare profonde meditazioni sulla vita, sul mondo delle relazioni e della famiglia e sulla difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo. È immaturo Christian che ha paura di assumersi le responsabilità “dei grandi”,  che piange se abbandonato, che è attaccato alla madre, che è sempre indeciso e inesperto nelle faccende d’amore o è immatura Sanne che, dietro a tutta la superiorità di cui s’investe in quanto adulta, cela la gelosia e la possessività di una ragazzina quindicenne  mescolata con la cattiveria di una bambina maliziosa e perfida?


Come potrebbe Christian affidare il compito di essere traghettato nel mondo degli adulti a una donna che vive selvaggiamente le proprie fregole e le proprie rabbie? Una donna che fa scenate, che rimesta nella vita privata del proprio partner? La verità è che l’affaire fra Christian e Sanne era iniziato come un semplice capriccio del momento e di questo il regista non fa certo mistero. C’è anzi qualcosa di vagamente laido e scorretto nelle indecenti avances di lei, degne del più scadente fra i filmetti porno. La relazione amorosa è incidentale, una trappola per topi che è scattata quando nel ménage della coppia entra a far parte Kasper, il figlio di Sanne, desideroso di avere un padre, attaccato alla madre e in cui forse si rispecchia anche Christian, anche lui orfano di padre, desideroso di diventarne uno per poter smettere di sentire la mancanza del proprio.


È il realismo, in definitiva, che ho apprezzato infinitamente in Dreng. Un realismo che pare una ventata di frescura nell’afoso serraglio della moderna dramedy. Gantzler è un regista encomiabile: non si abbandona a particolari virtuosismi (non che la storia lo richiedesse) e tratteggia con preziosa sensibilità e nitidezza una straordinaria storia ordinaria mettendo in gioco una schiera di personaggi complessi e sfaccettati e narrandone le vicende senza la minima affettazione, senza cercare di far colpo su nessuno, senza animosità o desiderio di svendersi a prezzo popolare. Riesce a fare questo grazie a uno script essenziale e sobrio, un gruppo di protagonisti convincenti e una storia affascinante e calorosa.


Lo abbiamo già detto, punto di forza sono i protagonisti. Iniziamo da Christian, interpretato dal bravissimo Sebastian Jassen (ne approfitto per complimentarmi con i responsabili del casting: finalmente un attore bello ma non belloccio, bravo senza essere pretenzioso, capace di incarnare perfettamente il proprio personaggio), un ragazzo dolcissimo, con tanto amore da dare, inesperto e forse goffo delle dinamiche delle relazioni, spaventato, desideroso di crescere. Un personaggio con cui è impossibile non simpatizzare. Il film non fa del buonismo idiota: è Christian ad essere un personaggio sinceramente buono, autenticamente positivo. E, di questi tempi, ci manca di vedere sullo schermo un personaggio così sincero e, al contempo, così complesso e carico di sfumature che riesca anche ad evitare clichés stupidi e frusti luoghi comuni.


Poi ci sono le due donne: da una parte Sanne, matronale, dai lineamenti barbarici, focosa nell’amore come nell’ira, provocante e vagamente villana, dall’altra Brigit, elegante, slanciata, madre saggia e comprensiva che ama incondizionatamente il figlio. Due figure che, anche con il loro spessore psicologico, non riescono ad eguagliare il personaggio di Christian, ma fungono da espedienti scenici per innescare il processo di crescita interiore di Christian (ma alla fine Christian si ritroverà in mano un pugno di mosche). Lode agli sceneggiatori anche per i personaggi di contorno tratteggiati con grazia infinita anche con due o tre battute e uno sguardo.


In definitiva questo Dreng è un film di eloquenza infinita, prezioso nella sua delicatezza e nella sua semplicità e che riesce a conservare quella caratteristica tanto rara in tutto il cinema odierno: la dolcezza, la dolcezza che se non è assente e dunque si risolve in crudeltà e cattiveria (più o meno) gratuita, è ipersatura al punto da diventare parodia beffarda del sentimento o melensaggine odiosa come succede nel cinema italiano da circa vent’anni. Di questi tempi non ho mai visto un film tanto dolce che evitasse con tanta disinvoltura stereotipi, svenevolezze e languori inutili per arrivare al genuino nucleo di una storia insieme complicatissima come può essere la transizione da giovinezza a maturità e insieme infinitamente semplice.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Sul tema del bildungsroman insolito, abbiamo il singolare L.I.E. (2001) di Michael Cuesta, il meraviglioso L’amante (1992) di Jean-Jacques Annaud e, per la serie “ci sono adolescenze che si innescano a cinquant’anni”, il grande classico del genere è American Beauty (1999) di Sam Mendes. Altri must del genere sono About a Boy (2002) di Chris e Paul Weitz, il supervintage Il diavolo in corpo (1947) di Claude Autant-Lara e lo straniante e stranissimo Afterschool (2008) di Antonio Campos che ha avuto anche il merito di aver fatto debuttare sul grande schermo il meraviglioso Ezra Miller, attore già da tempo assiso nel gotha dei miei cult personali.


Scena cult – Il finale. Non posso illustrarlo, ma racchiude in cinque minuti quello che il film ha detto in un’intera ora e venti e lo arricchisce approfondendo il significato e spingendo l’indagine psicologica fino al fondo dell’animo dei personaggi.

Canzone cult – La maliarda I put a spell on you cantata da Xenia.

3 commenti:

  1. sembra interessante, anche se spero non sia troppo "realista" per i miei gusti :)

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  2. Potrebbe forse esserlo, peró te lo garantisco come un film davvero carino. Ed è anche profondo forse poco visionario ma davvero originale e delicato. Vero è che ora, dopo averlo visto, m'è venuta voglia di un film bello morbosetto, per rinfocolare lo spirito

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