USA, 2007
Regia:
George Ratliff
Cast: Jacob
Kogan, Sam Rockwell, Vera Farmiga, Celia Weston, Dallas Roberts
Sceneggiatura: George Ratliff, David Gilbert
Trama (im)modesta – La famiglia Cairn non potrebbe essere
più felice: sono ricchi e vivono in un lussuoso appartamento newyorchese, il
loro figlio Joshua è un bambino prodigio con una passion per il pianoforte e la
musica classica e un’altra bambina è in arrivo. Ma proprio quando la piccola
Lily nasce, tutto comincia ad andare storto: i pianti si protraggono giorno e
notte, si sentono continui rumori dall’appartamento di sopra, la moglie Abby
sprofonda nella depressione e nella paranoia mentre suo marito Brad comincia a
sospettare che qualcosa non vada. E mentre la sua famiglia cade sempre di più a
pezzi, l’uomo capisce che dietro a ogni stranezza potrebbe esserci il piccolo
Joshua.
La mia (im)modesta opinione – Un minicult, questo Joshua, e
insieme una lezione di cinema che dimostra come basti uno script elegante, una
pariglia d’attori convincenti e una regia esperta per confezionare un horror
insieme elegantissimo e singolarmente spaventoso. E cosa più incredibile è che
tutto il senso di storto e pauroso che ci viene dalla pellicola non deriva né
da una particolare atmosfera né da situazioni spaventose e disturbanti: basta
il compito sguardo di un bambino, l’ossessivo strillare di una neonata, una
continua musica di pianoforte e uno scavo psicologico che raramente si vede,
specie se effettuato, come qui, su un bambino disturbato.
Joshua è un idolo dell’horror, pare il figlio del Dottor
Lecter, di Klaus von Bulow, di Damien Thorn e di Patrick Bateman messi insieme.
Non lo vediamo far nulla, eppure sappiamo che sua è la regia di tutti gli
eventi che portano alla rovina dei Cairn. Dietro il suo sguardo impettito e
gelido, dietro la sua pretesa innocenza, Joshua è un cospiratore – ma, più
d’ogni altra cosa, è un cospiratore ferito, che riesce a capovolgere il senso
dell’intera pellicola sulle note dell’infantile nenia finale rivelando il
movente dei suoi atti: non rancore, ma vendetta verso una famiglia (e, più in
generale, una società) che è solo capace di esteriorizzare l’amore, condannando
ogni escursione al di fuori di un seminato che rimane sempre ipotetico.
Ed è proprio questo il grande merito di Joshua: far vedere,
tramite la cattiveria di un bambino, chi siano i veri cattivi. Certo, il
capovolgimento della frittata è un affare forzoso, tanto più che è puramente concettuale,
ma questo non impedisce di vedere in Joshua uno dei migliori thriller/horror
degli ultimi anni, sobrio eppure stranamente terrificante, tutto permeato da
un’atmosfera di malato e morboso che rimane invisibile ma ci fa percepire una
tensione sempre costante verso la catastrofe imminente. Grandissime le
interpretazioni di Vera Farmiga (una che per il ruolo di mamma di psicopatici
ha l’amore) e Sam Rockwell, che si conferma uno degli attori più tragicamente
sottovalutati della sua generazione. Meraviglioso è Jacob Kogan, giovanissimo
psicopatico, che fa pensare a una brillante carriera nel futuro.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Incredibile cult moderno
è ...e ora parliamo di Kevin (2011) di Lynne Ramsay insieme alla tragicommedia
Pretty Persuasion (2005) di Marcos Siega. Per altri simpatici psicotici abbiamo
Orphan (2009) di Jaume Collet-Serra, il mitico Che fine ha fatto Baby Jane?
(1962) di Robert Aldrich, L'innocenza del diavolo (1993) di Joseph Ruben, il
negletto The Omen (2996) di John Moore, il sempre fighissimo Il villaggio dei
dannati (1960) di Wolf Rilla e Home Movie (2008) di Christopher Denham. Nutrito dagli stessi succhi di Joshua è il ben celebre Rosemary's Baby (1968) di Roman Polanski e il più perturbante La pianista (2001) di Michael Haneke.
Scena cult – La canzoncina finale, il pestaggio a Central
Park e il “video di famiglia” di Joshua.
Canzone cult – The Fly di Dave Matthews, ma anche il terzo movimento della Sonata per Pianoforte No.12 di Beethoven.
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