USA, 2009
Regia: Lee
Toland Krieger
Cast: Adam
Scott, Brittany Snow, Alex Frost, J.K. Simmons, Vittorio Brahm
Sceneggiatura:
Lee Toland Krieger
Trama (im)modesta – Ferito quasi a morte dal tradimento
della sua compagna, rissoso, tabagista, egocentrico, presuntuoso, misogino,
insonne cronico e sinceramente bastardo, Caleb, in occasione del
Ringraziamento, dà un passaggio al bonaccione fratello minore Peter e alla sua
ragazza Emma fino a casa del padre, che non vede da otto anni, reo di aver
distrutto l’unità della famiglia durante un oscuro episodio del passato legato
alla madre morta di cancro e a un antico tradimento. Tutto sembra procedere
uguale a prima e, effettivamente, come la storia è iniziata così finirà senza
cambiamenti esteriori, ma nei pochi giorni del Ringraziamento, Emma sarà
testimone dell’inquietantezza e dell’intimo strazio di Caleb, che si è
innamorato di lei.
La mia (im)modesta opinione – The Vicious Kind. Traducibile,
in italiano, con un brutto ma efficace La Perniciosa Razza. Questo mio travaso
di idioma non è un’oziosa quanto di cattivo gusto, dimostrazione di virtuosismo
inutile ma un tentativo di spiegare maggiormente e con più chiarezza gli
intenti e le premure del film e soprattutto quale sia la perniciosa razza che
il regista/autore si cura di dipingere con tanta vividezza. Ebbene, questo
viscerale, per quanto ordinario, dramma familiare, che si consuma e brucia
senza pietà ma anche senza troppo rumore, nell’intimità ora delle quattro mura
di casa ora per le strade familiari della propria cittadina natale, riesce a
catturare con una precisione singolare tutte le sfumature, dolorose il più
delle volte, delle dinamiche dell’amore, amore che sia amicizia, agape
fraterno, burrascoso amor filiale o disperata (e lacrimata) risacca carnale.
I quattro personaggi che popolano la pellicola sono la
sineddoche dell’umanità intera, un’umanità fotografata con forense precisione
ma né condannata né irrisa. I protagonisti de The Vicious Kind non suscitano né
la nostra riprovazione morale né il nostro disprezzo né il nostro riso
impegolati come sono nella stoppia dei loro vizietti, con quei loro polmoni
gravidi di colpe e frustrazioni (e nicotina) come quelli di un annegato sono
grondanti d’acqua. Ciò che colpisce di più, nonostante tutto, è l’assenza di
giudizio morale, lo sguardo compassionevole ma mai buonista o consolatorio che
il regista muove su questo piccolo campione d’umanità che vive e patisce i
quotidiani martiri imposti dal possesso di sentimenti e memorie e anima. Solo a
metà del film capiamo, come comincia a capire anche Emma, di essere finiti in
mezzo a un gomitolo di rabbie, delusioni infantili, accuse silenziose e
dolorose omertà.
Certo, il caso della famiglia Sinclaire pare abbastanza singolare
anche se, tutti coloro che, visto il film, l’avranno sentito, converranno
certamente sul fatto che non è diverso da certi drammi domestici che avvengono
in casa di amici, forse di parenti, forse anche nelle nostre case, se siamo
particolarmente sfortunati, ma che, in sostanza, avvengono e con preoccupante
frequenza. Lo stesso discorso può essere applicato ai meccanismi affettivi che
la pellicola mette in scena o, direi piuttosto, immortala nella loro dopotutto
umana abiezione e vergogna. Come
dice il ruvido Donald Sinclaire, patriarca dimezzato di questo triste clan,
alla fine del film: «Sometimes people do things that they know are wrong, but
they they just do 'em anyway, 'cause to do the right thing might be too painful». L'ammissione di colpa di un’umanità consapevole, dunque, dei propri difetti e delle proprie colpe
ma che non può cercare redenzione o perdono e per questo viene solo compresa
invece di essere maledetta o sferzata.
A dominare la pellicola sono lo straordinario personaggio di
Caleb e la sua incarnazione attoriale, ovvero il superlativo Adam Scott, che
cuce nel suo ruolo una carica impressionante di rabbia repressa e dilagante e
crea un personaggio straziato dai propri sentimenti come da una muta di cani,
vacillante tra una furia distruttiva e un disperato bisogno d’amore e dubbioso
persino di ciò che ama e perchè, se la vecchia fiamma che l’ha abbandonato, la
nuova fiamma che ha ritrovato o l’idea di una fiamma, una qualsiasi, solo
un’altra ragazza dai capelli neri e dai modi spigliati. Tutto groppo di nodi e sentimenti
si risolve in una irosa misoginia incartata dentro un avvolto di acido
egocentrismo che si tende fino a raggiungere picchi di mania psicotica e
ossessiva. Un personaggio, quello di Caleb, che nella sua complessità fa
impallidire tutti gli altri suoi inferiori, seppure ancora ottimi, comprimari.
La più vicina per complessità alla figura di Caleb, è Emma,
una ragazza fragile, frustrata, debole ma capace di un amore genuino,
nonostante il regista la faccia fuggire da qualsiasi stridente e inappropriata
angelicatura. Al terzo posto abbiamo il vecchio Donald, paterfamilias fallito,
un uomo duro e ruvido ma non meno colpevole del proprio primogenito e, infine,
abbiamo l’innocuo ma necessario personaggio di Peter, sprovveduto e verginello
fratello minore, il più dolce e delicato di tutti che ha il volto e gli occhi
dolcemente sbozzati di Alex Frost, l’angelico spree killer del vansantiano
Elephant, e che si ricicla in un ruolo meno truce e pazzoide ma ugualmente
vessato e inconsapevolmente triste. Dico triste perché è proprio il personaggio
di Peter quello a essere immolato in nome dei sentimenti di questo o quel
familiare e, senza che se ne accorga, è l’unico a ritrovarsi umiliato e offeso
(moralmente parlando, beninteso) da fratello, padre e fidanzata.
The Vicious Kind è un gran bel film. Un film che fa
sicuramente riflettere sulle brutte bestie che siamo, noi esseri umani, quando
i nostri sentimenti vanno di mezzo e siamo anche costretti a salvare
inutilmente la faccia. E questa umanità è il valore aggiunto del film perché,
anche se lo separa dalle vette di parossismo estetico di certi suoi colleghi
più agghindati e tirati a lustro (come un Detachment o un Tout est Parfait),
riesce a regalare preziosi momenti che scaldano il cuore, forse anche vagamente
commoventi a vedersi, come, ad esempio, la cieca amicizia per Caleb del grande
e grosso J.T. o il virile affetto che Donald nutre per i propri figli o ancora
la candida dolcezza di Emma e l’amore fraterno che lega Peter e Caleb,
individui che più diversi non potrebbero certo essere. E, se mi è concessa dopo
tanta seriosità una stoccata ironica, posso concludere queste mie righe con il
popolare motto: «Dai nemici mi salvi Iddio che dai parenti ci penso io».
Se ti è piaciuto guarda anche... – Quanto a famiglie
malinconiche abbiamo il lacrimoso focolare di Rachel Getting Married,(2008) di Jonathan Demme, i burrascosi e risentiti Taylor di Fireflies
in the Garden (2008) di Dennis Lee, i tristi coniugi Ryan Gosling e Michelle Williams di Blue Valentine (2010) di Derek Cianfrance,
le sventurate sorelle Lisbon de Il giardino delle vergini suicide (1999) di Sofia Coppola, gli scompagnati matrimoni Ceremony (2010) di Max Winkler e il super vintage clan Henslop de Le nozze di
Muriel (1994) di P.J. Hogan.
Scena cult – La chiacchierata fra Caleb e il suo amico J.T.
Da sciogliersi il corazòn.
Canzone cult – Stupenda colonna sonora indie-folk. Inziamo
con Tyler Ramsey e la sua triste A Long Dream, il gruppo Ocha La Rocha con la meravigliosa Tomorrow
Is Coming e Please in F# e ultima, ma non per importanza, abbiamo All of My Trains di Robert Francis.
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