Regno
Unito, 2008
Regia: Gerald
McMorrow
Cast: Eva
Green, Ryan Philippe, Sam Riley, Bernard Hill, James Faulkner
Sceneggiatura: Gerald McMorrow
Trama (im)modesta – Sotto il cielo freddo e piovoso di
Londra, si incrociano le storie di tre personaggi: Emilia, turbolenta e spettrale
studentessa d’arte, mette in scena una serie di elaborati suicidi per un
progetto d’arte e segue sconosciuti per la strada con la sua videocamera, fra
questi sconosciuti c’è Milo, malinconico sognatore, abbandonato dalla fidanzata
sull’altare, che vagheggia i propri amori dell’infanzia mentre l’anziano David
va alla ricerca del figlio perduto, inghiottito non si sa come dai labirinti
della grande città. Nel frattempo, in un’altra realtà, nella gotica Meanwhile
City, colossale e tenebrosa, stretta nella garrota di mille, improbabili
religioni, l’unico ateo della città, il vigilante Preest va alla ricerca del
capo di una setta responsabile della morte di una bambina.
La mia (im)modesta opinione – Franklyn è un film strano,
stranissimo. Come sarà capitato a chi legge, scorrendo le due righe da me
scritte sulla trama, io stesso mi sono trovato interdetto, forse affascinato da
un film che si prometteva visionario e cupo in cui teatravano tre dei miei
attori preferiti: l’inglesino chic Sam Riley, la fosca sirena Eva Green e
l’antica fiamma Ryan Philippe (che noto essere invecchiato maluccio, ma, si sa,
per le fole dell’infanzia c’è sempre un posto nel mio personale pantheon). Dopo
averlo visto e, mentre lo vedevo, sognato, posso tranquillamente dire che
Franklyn è sì un film piccolo, quasi un ninnolo, un pendentucolo ma lavorato
con tanta e geniale finezza, girato così meravigliosamente da farlo diventare
un cult personale fondamentale e imprescindibile.
È vero, all’inizio non si capisce come le storie di Emilia,
David, Milo e Preest possano trovarsi a colludere in un tutto unitario ed è
ancora più vero che si arriva a un punto in cui la confusione è grande, enorme
ma la regia di McMorrow riesce non solo a non farci mai perdere il filo ma
anche ad ammaliarci e legarci così strettamente alla trama che non si bada né
alla bizzarria dell’argomento trattato né all’apparente scompagnatura della
storia. E poi il colpo di scena piomba addosso come una mannaia e, dopo il
colpo di scena, a film terminato, arriva l’illuminazione definitiva e capiamo
quanto la sceneggiatura, vergata dalla stessa mano del regista, sia
perfettamente geniale e ricordi tanto da vicino per finezza e brillantezza lo
stupendo Memento di Nolan o il malioso Il Teorema del Delirio, esordio del
grande Aronofsky.
Primo incanto della pellicola: Meanwhile City. Un delirio
steampunk di architetture gotiche contorte e senza fine, una mangrovia di
contrafforti, guglie, doccioni svettanti che si arrampicano sopra cupole
veneziane che emergono dalla nebbia chimica che infesta strade strette e
sovraffollate di uomini mascherati, pin-up anni ’50, energumeni goth,
ladruncoli tatuati, predicatori in nero. Un’atmosfera da bazar di spettri, una
babele titanica e tenebrosa dove convivono le larve culturali delle epoche più
disparate, accomunate tutte da un contagio di follia religiosa ed esaltazione
fanatica, unico possibile derivato di esistenze opprimenti e condannate a
sputar sangue nella polvere delle alte e aguzze torri, svettanti e impietose.
Spettacolare è la maniera di tratteggiare con pochissime parole e parche
immagini tutta l’atmosfera d’insano carnevale in cui vive, marcia e danza la
folle popolazione della Città del Mentre.
Secondo fascino della pellicola: Eva Green e Sam Riley. La
prima, lunare e nevrastenica, si occupa della parte “artistica” della pellicola
con il lavoro febbrile, la rabbia cocente, i suicidi orchestrati ad arte e i maliosi e inquietanti video di se stessa
e degli estranei che insegue per le vie della città. Il secondo, dolce e afflitto, che condisce una pellicola già
sognante e sopra le righe con l’impeccabile e raffinatissima classe british
della sua figura e delle sue movenze, perennemente alla ricerca di spettri dai
capelli rossi e di dorati ricordi d’infanzia. Entrambi, Riley e la Green, due
attori straordinari, impagabili capaci di dare sangue e lacrime a una
sceneggiatura già di per sé tutta persa nella vertigine di audaci
cerebralismi e spericolate girandole di
sogno.
Terzo e fondamentale incanto della pellicola: la
straordinaria cinematografia. Franklyn non è un grosso kolossal, anzi tira
un’aria da film indipendente delle più gustose, ma tutta la parte tecnica della
pellicola, dalla colonna sonora (che mescola musiche oniricheggianti a brani più
rock) al freddo tenebroso dell’uggiosa fotografia, è preziosa, brillante,
geniale. Non parliamo poi dei suicidi dell’Emilia di Eva Green, sontuosamente
fotografati con quei rossi densissimi e quei pallidi, necrotici bianchi che
culminano con la commovente messa in scena di un quadro del Caravaggio (la
stupenda Morte della Vergine del Louvre) in cui la Green fa la parte della
Madonna morta, scena che riecheggerà in una visione che il personaggio della
Green avrà nell’ospedale quando andrà a trovare l’inserviente Pastor Bone,
figura divina in disguise, sempre intento ad appuntare nomi ed eventi sulla sua
agendina nera (il libro della Vita?).
Franklyn è in breve un film fondamentale, razionale e
geometrico come il miglior Nolan ma con una vena di malinconia e lirismo in più
che gli dà un’aria tutta personale, autoriale di atrabile e inguaribile
malinconia. Un film dal messaggio potente e il cui messaggio preferisco non
riferire perché, essendo troppo legato agli sviluppi della congegnosa trama,
rivelerei tutto. Dirò solo che Franklyn è un film sulle illusioni e sui sogni,
sui fantasmi del desiderio e sulle lisergìe della ragione pura, un film che ci
dimostra che carne e visione sono la stessa cosa, che favole e spettri
camminano accanto a noi sulla strada e che ogni verità, prima di prendere
corpo, viene sragionata, delirata e sognata fino a che la colossale larva del
Fato, immane e invisibile, mette a posto ogni pedina ma senza dimenticare che
noi siamo sia il burattino che s’illude di non essere il burattinaio. Da vedere
immancabilmente.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Immancabili compagni di
Franklyn sono, senza dubbio alcuno, Paprika (2006) di Satoshi Kon, lo
spettacolare The Cell (2000) di Tarsem Singh, Stati di allucinazione (1980) del
mitico Ken Russell, il grandissimo Blade Runner (1982) di Ridley Scott e Il
labirinto del Fauno (2006) di Guillermo del Toro. Altri film visionari sono The
Fall (2006) sempre del visionario Tarsem Singh, lo stracult eXistenZ (1999) di
David Cronenberg, Moon (2009) di Duncan Jones, Enter the Void (2009) di Gaspar
Noé e Dark City (1998) di Alex Proyas.
Scena cult – Il primo suicidio di Emilia e la ricomposizione
del quadro di Caravaggio.
Canzone cult – Non c’è una canzone vera e propria ma è
impossibile non rimanere colpiti dalla musica che commenta il secondo suicidio
di Emilia, preceduto da una danza scatenata di Eva Green davanti a una
telecamera.
mi hai incuriosito....
RispondiEliminaDunque ho raggiunto il mio obiettivo.
Eliminal'avevo visto parecchio tempo fa. al di là delle bellezza estetica, mi era sembrato però troppo pasticciato...
RispondiEliminaPare pasticciato, in realtà i legami sono solo assai fini. In ogni caso sono rimasto convinto!
EliminaSiamo tra i pochi ad avere visto questo bellissimo film: hai ragione, col tempo diventerà un piccolo 'cult'! Fantascienza 'adulta', suspance fino alla fine, gran lavoro sui personaggi. Film visionario e avvolgente, sottilmente romantico: stupendo il doppio ruolo di Eva Green, donna perversamente autodistruttiva e 'ragazza dei sogni' che ti invita ad evadere e sognare... da vedere e rivedere!
RispondiEliminaComplimenti per il blog... ti seguirò.
Kelvin
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