Corea del Sud, 2005
Regia: Park Chan-wook
Cast: Lee
Yeong-ae, Choi Min-sik, Lee Seung-Shin, Nam Il-wu, Kim Shi-hoo
Sceneggiatura:
Park Chan-wook, Jeong Seo-kyeong
Trama (im)modesta – Dopo 13 anni e mezzo di prigione per
l’omicidio di un bambino di sei anni, la rea confessa Geum-ja esce dal carcere.
Suo unico desiderio: vendicarsi con il vero autore del crimine per cui lei ha
confessato ma che non ha mai commesso. Appena uscita dal carcere, cambia
aspetto e personalità: da religiosa e soave penitente a diabolica inquisitrice.
Le alleanze strette durante gli anni di prigionia le permettono non solo di
rintracciare sua figlia e l’uomo che l’aveva incastrata ma anche di imbastire
alla perfezione la sua vendetta contro quest’ultimo.
La mia (im)modesta opinione – Cosa è la vendetta? Film di
mezzo mondo hanno provato a informarcene descrivendo machiavelliche e contorte
rivalse, ora crudeli ora brutali ora sottili e taglienti. Ma quello che gli
altri film fanno è apparecchiare una complicata partita a scacchi dove
l’ancestrale fantasma della babilonica legge del taglione riprende vita
appagando la segreta e tacita sete di sangue che riarde le fauci della nostra
mente. Si sa, passano secoli e millenni ma gli esseri umani sono sempre uguali
a se stessi. Ma se molte, moltissime altre opere (e queste sono solo le
migliori) erigono architetture cerebrali e arabescate, nessuna di queste riesce
a scandagliare l’essenza della vendetta, la sua natura più intima – una natura
indissolubilmente legata alla natura dello stesso essere umano e che con
quest’ultima si trova spesso in conflitto: c’è insomma un desiderio sanguinario
primigenio e ferale che si sposa e fa a botte con un altro senso, quello
civico, dell’uomo-animale sociale ma anche uomo-animale religioso che rende
quello della vendetta un tema incredibilmente complesso e profondo, pronto per
essere scandagliato nelle sue pieghe più insondabili e remote.
Se molti altri film, dunque, si fermano alla vendetta in sé
senza analizzarne le ricadute morali, emotive e spirituali e la sua fortissima
componente di umana problematicità, Park Chan-wook si sforza, nella sua
trilogia della vendetta, che questo Lady Vendetta incorona e completa, di battere
i meandri più ascosi del concetto di vendetta. Se in Mr. Vendetta la vendetta
viene vista come unico viatico possibile di comunicazione e dialogo con il
mondo esterno e in Old Boy quella stessa vendetta diventa martellante e
primordiale furore, un furore assolutizzante che travolge la realtà tutta e in
ogni suo aspetto, nell’ultimo capitolo della trilogia, Park Chan-wook mesce la
vendetta alla redenzione: il vendicarsi diventa non solo una semplice resa dei
conti ma un lavare le piaghe del proprio spirito con un sangue altrui, usato a
mo’ di acqua lustrale e battesimale. L’aspirazione verso cui tende lo spirito
di Geum-ja è il “vivere bianco”, il rimanere pura e, a questo fine, la nostra
protagonista si prepara a un percorso iniziatico e dantesco: uscita come un
angelo dall’Inferno del carcere, attraversa un doloroso Purgatorio mascherata
da vergine infernale, tutta votata al suo obiettivo e, dopo l’espiazione finale
e collettiva (chi l’ha visto sa a cosa mi riferisco), la sua anima è sgravata
dal peccato e dal rimorso, pronta a essere sommersa da un oceano di neve
cadente riunita a sua figlia e con la speranza di un’altra vita.
Al centro della vicenda c’è il complicatissimo personaggio
di Geum-ja, incarnato con sbalorditiva versatilità e bravura dalla stupenda Lee
Yeong-ae. La sua performance è una delle più intense, complesse e sfaccettate
interpretazioni di un personaggio femminile che vedo forse da anni. La vediamo
come ingenua diciannovenne prima, poi come soave angioletto del carcere, una
caramellosa facciata di zucchero, miele e preghiere dietro cui si nascondono
ragnesche macchinazioni e furie di vipera invelenita. Uscita dal carcere
diventa un’ammaliante vamp tutta vestiti eleganti, chiome pesanti e seriche e
uno sguardo, cerchiato dal rosso cupo di un ombretto color sangue, che è quello
indolente e crudele di una leonessa satolla eppure non sazia di sangue, lo
sguardo di una divinità che è il parto ibridato di spaiate teogonie: misto di
Vergine Maria, arcangelo Michele, sanguinaria Tisifone e furiosa Giunone.
Costruito intorno a un così complesso e semidivino personaggio come poteva Lady
Vendetta fallire il proprio bersaglio?
Ma i pregi del film non finiscono certo qui. Oltre a una
sceneggiatura brillante ed eclettica (anche se non esente da certe, fastidiose
sfilacciature e da vuoti di pensiero) la cinematografia di Park Chan-wook
esalta e sbalordisce con le sue pose sublimi, i suoi sguardi sbiecati e
ritagliati come diamanti, i cromatismi accesi e cristallini e, insomma, tutti
gli stilemi di un ingegno autoriale che è riuscito a sposare alla perfezione la
tradizione orientale e “decorativa” con i tratti più sublimanti del cinema
d’autore soprattutto europeo (un paio di inquadrature mi hanno ricordato certi
film di Von Trier, altre ancora Wong Kar-wai mentre certe sembravano ritagliate
da un film di Almodovar) senza dimenticare certe marcate suggestioni di respiro
squisitamente camp che trasformano la pellicola in scintillante trastullo per
gli occhi. Per parlare in termini più chiari e meno lusinghieri dirò che, senza
dubbio alcuno, il trittico sulla vendetta di Park Chan-wook è un grande
classico moderno, una visione senz’altro obbligatoria e necessaria.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Grande classico del
cinema vendicativo è il giapponese Lady Snowblood (1973) di Toshiya Fujita a
cui si ispira il meraviglioso Kill Bill Vol.1 e 2 (rispettivamente 2003 e 2004)
di Quentin Tarantino. Ovviamente sono consigliatissimi le altre due
istallazioni della trilogia della vendetta di Park Chan-wook, ovvero Mr.
Vendetta (2002) e Old Boy (2003). Altri revenge movies moderni e validissimi
sono il franco-canadese Martyrs (2008) di Pascal Laugier, il gioiellino british
Harry Brown (2009) di Daniel Barber, il grandguignolesco Machete (2010) di
Robert Rodriguez, la pietruzza indie Descent (2007) di Talia Lugacy e i più commerciali Giustizia privata (2009) di F. Gary Gray e
Io vi troverò (2008) di Pierre Morel.
Scena cult – Svariate. Su tutte la morte del cagnolino, la
storia della Strega del carcere e della sua morte, la vendetta di gruppo
meticolosamente organizzata da Geum-ja e l’uccisione degli scagnozzi di Mr.
Baek a opera di Geum-ja.
Canzone cult – Propriamente nessuna. La colonna sonora
di Choi Seung-hyun è spettacolare: tutta
un tripudio di clavicembali e chitarre barocche con motivi presi in prestito a
Bach e a Vivaldi. Segnalo, per vezzo amoroso, il meraviglioso Capriccio 24 di
Paganini.
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