USA, 2012-2013
Regia: Bradley Buecker, Michael Uppendahl, Alfonso
Gomez-Rejon, David Semel, Michael Rymer, Michael Lehmann, Jeremy Podeswa, Craig
Zisk
Cast:
Jessica Lange, Sarah Paulson, Evan Peters, Zachary Quinto, Lily Rabe, James
Cromwell, Lizzie Brocheré
Sceneggiatura:
Ryan Murphy, Brad Falchuk, Tim Minear, James Wong, Jennifer Salt, Jessica
Sharzer
Trama (im)modesta – 1964. L’ambiziosa giornalista lesbica
Lana Winters conduce un reportage sul manicomio Briarcliff, gestito da
religiosi e tenuto in una stretta di ferro dall’implacabile Sorella Jude. È
chiaro che qualcosa non vada, al manicomio, dato che sempre più numerosi
pazienti scompaiono senza lasciare traccia durante i turni di notte del
misterioso dottore Arthur Arden, un uomo dal passato oscuro, forse legato agli
esperimenti nazisti sui prigionieri di Auschwitz, forse al centro di indicibili
complotti e maneggi di governo che l’hanno fatto rifugiare negli Stati Uniti
alla fine della guerra. Proprio nel giorno in cui Lana si reca a Briarcliff, un
efferato serial killer viene internato: Bloody Face, responsabile della morte e
dell’orrenda tortura di tre donne innocenti. Accusato dei crimini è Kit Walker,
giovane uomo la cui moglie è scomparsa a suo dire per mano di alieni, che
l’avrebbero rapita. Ma Kit è innocente, Bloody Face è ancora a piede libero.
Lana vorrebbe indagare ancora, ma Sorella Jude la fa internare nel manicomio a
causa del suo lesbismo. E sarà lì che Lana si troverà al centro di una
girandola di orrori senza fine.
La mia (im)modesta opinione – L’anno scorso la prima
stagione di American Horror Story ci aveva folgorati, ma ci aveva lasciato
tutti disattesi. Almeno personalmente, non m’era mai capitato di avere davanti
un magma così travolgente di citazioni e rimandi culturali imbrigliato in una
contortissima ma cristallina struttura narrativa. Flashback e anticipazioni,
colpi di scena incredibili si mescolavano a incredibili stranezze, come Rubber
Man, il sanguinario fantasma vestito interamente di una tuta di nero, e,
dall’altra parte, il personaggio di Tate, insieme fragilissimo e psicopatico,
che da solo valeva l’intera serie, un vero capolavoro di caratterizzazione.
Certo, era un primo esperimento e, sebbene i risultati siano stati altissimi,
la serie finiva per sforare nell’involontario ridicolo, con un’accumulazione di
morti e spettri a destra e a manca che si concludeva in un finale
oggettivamente frustrante. Gli autori, così, hanno avuto la brillante idea: una
serie antologica. Ogni stagione è una storia a sé stante, ma i visi rimangono
quelli a noi più familiari. Così, dopo la fosca casa infestata della prima
stagione, siamo giunti ai gradini del cupo e folle Briarcliff Manor.
Gli autori adesso sapevano che la loro storia doveva essere
limitata a un giro di valzer di soli tredici episodi. Per questo la seconda
stagione di American Horror Story appare ben più calibrata e precisa della
prima, anche se non gli mancano evidenti errori di default dovuti alla volontà
degli autori di mettere troppa carne al fuoco. L’esagerazione c’è, ed è bella:
è raro trovare nella stessa serie, frullati insieme, esorcismi, allucinazioni,
torture, serial killer, nazisti, alieni, mostri cannibali e chi più ne ha più
ne metta; ma certe storyline sono state chiuse in maniera fin troppo
frettolosa, facendo dubitare circa la loro effettiva utilità. Non anticiperò
nulla: la serie va guardata. Certo, ci sono i puristi che preferiscono
strutture narrativa più coese e lineari, per i quali una serie tv antologica
dove i ruoli dei protagonisti si rimescolano in maniera indefinita e le
evoluzioni della trama sono sempre quelle che ci si aspetterebbe di meno è
decisamente troppo disordinata. Ma personalmente a me piace: anche con i suoi
riempitivi presi in prestito a tutti i generi dell’horror, l’evidente follia
che sta dietro a determinate scelte di regia e script, questa seconda stagione
s’è rivelata essere (specialmente nel suo finale) una vera e propria rivelazione.
Sebbene la trama sia tanto complicata da non poter escludere
necessariamente incredibili falle, tutti i capi della storia riescono non solo
a riunirsi nel sublime finale ma anche a passare dal registro orrifico a quello
drammatico con immensa facilità e disinvoltura. Dalle suggestioni horror dei
primi episodi, si passa via via a stili sempre più raffinati così l’horror
soprannaturale diventa psicologico, dunque thriller e noir e infine termina in
puro dramma umano. Specialmente le ultime puntate (terzultima e ultima) dirette
dalla rivelazione personale Alfonso Gomez-Rejon sono autentici capolavori di
stile registico, con fotografia e musiche che rivaleggiano con i più alti
esempi del genere. Ma cifra identificativa di questa stagione, a prescindere
dai vari registi che si sono succeduti dietro la macchina da presa, è la
prospettiva demente, l’angolo allucinatorio, le panoramiche bizzarre con
inquadrature da capogiro che reiterano sempre la rottura dell’ordine
conosciuto, lo scivolamento del senso comune ma sempre rispettando un
rigidissimo formalismo.
La regia si preoccupa poi di fornire momenti di assoluto
cult: dalla inquietante canzoncina Dominique, suonata a ripetizione nelle sale
del manicomio, all’esorcismo della seconda puntata, ma non dimentichiamo lo
scioccante finale del quinto episodio, le apparizioni della Morte, il delirio
musical di Jessica Lange, le scene in cui la luciferina suora Mary Eunice si
presta a balletti blasfemi, stupri di sacerdoti (!), sgozzamenti e via
dicendo... La stagione è un turbinare di elementi bizzarri mai visti che ora
sfociano nel grottesco (il serial killer che si veste da Babbo Natale, ad
esempio) ora terminano nel sublime drammatico (i baci elargiti dall’Angelo
della Morte) rivelando un’attitudine a un amarissimo pessimismo che si esplica
sempre nella serie. Certo, magari gli autori avevano intenti di denuncia (Ryan
Murphy è praticamente l’apologeta della fierezza omosessuale, una sua serie
senza la denuncia all’omofobia è semplicemente impensabile) ma sono approdati,
magari involontariamente, ad altre spiagge. Non si parla dunque né di denuncia
né di dissidio morale, eppure la serie coinvolge, commuove in certi punti,
terrorizza in altri.
Questo ovviamente è merito del meraviglioso cast capeggiato
da una Jessica Lange in stato di grazia (per davvero!) che fornisce una delle
interpretazioni più intime e toccanti dell’ultimo anno, creando un personaggio
integralmente “buono” di cui vediamo il discontinuo svolgersi e trasformarsi,
rimanendo sempre lo stesso. Ruolo inferiore è toccato al grande Evan Peters
che, dopo lo strabiliante Tate Langdon della prima stagione, s’è ritrovato con
un personaggio piuttosto deboluccio e banale, di cui a nessuno importa
veramente qualcosa. Discorso diverso si fa per l’immensa Sarah Paulson, che
avrebbe meritato almeno una nomination al Golden Globe per il suo ruolo
sfaccettatissimo e multiforme. Ottimo lavoro svolge anche Zachary Quinto, che
fra un Sylar, uno Spock e un Oliver Thredson s’è specializzato
nell’interpretazione “fredda” alla Jeremy Irons ne Il Mistero Von Bulow.
Spettacolare, poi, il duetto Lily Rabe/James Cromwell, suora assatanata e
scienziato pazzo, che sono protagonisti di scene assolutamente memorabili fra
cui un paio di dissacrazioni di oggetti sacri, svariati omicidi e occultamenti
di cadavere. Fanalini di coda per la sciapissima Lizzie Brocheré e il sempre
più imbalsamato Joseph Fiennes che, nonostante riesca a funzionare
plausibilmente nel suo ruolo, rimane sempre ricoperto da quel certo velo
d’antipatia che non gli si stacca mai di dosso.
Applausi anche alle guest star: l’Angelo della Morte di
Frances Conroy (che nella precedente stagione interpretava la vecchia cameriera
fantasma) è qualcosa di assolutamente sublime e raffinatissimo; mentre,
all’opposto, abbiamo un Dylan McDermott bifolchissimo e inquietantissimo e
l’apparizione di un gigionissimo Ian McShane e di Franka Potente,
nell’inaspettato ruolo di Anna Frank (sic!). Anche qui le citazioni colte non
si contano: Arancia Meccanica, Psycho, Allucinazione Perversa, Candyman e chi
più ne ha più ne metta, con canzonette meravigliose prese da un juke-box senza
tempo. Dunque, in attesa della terza stagione, il cui argomento è ancora
mistero ma che potrebbe parlare di magia nera (tremate tremate le streghe son
tornate!) e per cui sono stati riconfermate le partecipazioni di Jessica Lange,
Sarah Paulson, Evan Peters e, a quanto ne dicono i rumors, Taissa Farmiga (non
presente in questa stagione ma protagonista assoluta della prima), non ci resta
che riguardare all’infinito il meraviglioso Asylum, se non nella sua
completezza, almeno nei momenti più eccelsi.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Parlando di manicomi non
si può non citare il recentissimo Shutter Island (2010) di Martin Scorsese
insieme all’Allucinazione Perversa (1990) di Adrian Lyne. Abbiamo poi il
sorprendente The Jacket (2005) di John Maybury, Il Cigno Nero (2010) di Darren
Aronfsky, lo stupendo Identità (2003) di James Mangold e il mediocre ma sempre
piacevole The Ward (2010) del grande John Carpenter. Suggeriamo inoltre il bel
K-Pax (2001) di Iain Softley, mentre, per film sulla possessione demoniaca,
abbiamo il sempre caro L’Esorcista (1973) di William Fredkin, il poetico The
Exorcism of Emily Rose (2005) di Scott Derrickson, lo spettacolare Session 9
(2001) di Brad Anderson e il meraviglioso I Diavoli (1971) di Ken Russell.
Scena cult – Infinite. Su tutte il balletto di Mary Eunice,
il finale della quinta puntata, l’intera undicesima puntata, il momento musical
del decimo episodio e l’esorcismo.
Canzone cult – Iniziamo con il leitmotiv della serie,
l’inquietante Dominique di Sœur Sourire, proseguiamo con I Put a Spell On You
del mitico Screamin’ Jay Hawkins, It Could Be a Wonderful World dei The
Weavers, ma momento sommo della serie è la The Name Game cantata da Jessica
Lange.
Una seconda stagione -o nuovo capitolo- strepitosa!
RispondiEliminaMolto più solida, più coinvolgente e più appassionante e con dei personaggi molto più riusciti!
ps: A me, comunque, del povero Kit importava...
Lo so ma oggettivamente è stato poco presente nella stagione. Mentre di Tate la mancanza si sentiva, quando c'era poco in un episodio.
Eliminagrandiosa analisi!
RispondiEliminaserie che come dici continua ad avere i suoi alti e i suoi bassi, ma ad avercene di così interessanti.
il finale poi è riuscito a chiudere tutto in maniera impeccabile.
anche se io speravo in un ritorno a sorpresa sotto qualche forma di lily rabe, per me la migliore dell'annata.
Spettacolari gli ultimi tre episodi. Aspetto con ansia la terza stagione.
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