martedì 8 gennaio 2013

THE SKELETON KEY (2005), Iain Softley


USA, 2005
Regia: Iain Softley
Cast: Kate Hudson, Gena Rowlands, John Hurt, Peter Sarsgaard, Joy Bryant
Sceneggiatura: Ehren Kruger


Trama (im)modesta – Caroline è una giovane infermiera che, stanca di lavorare in un ospizio dove i pazienti sono considerati poco meno che residenti di passaggio, si reca a lavorare a tempo pieno presso un’antica casa sperduta in mezzo alle paludi della Louisiana il cui proprietario è rimasto da un terribile ictus e vive con l’anziana e bisbetica moglie, Violet. La casa è strana: niente specchi alle pareti, strane leggende su un’infame notte di novant’anni prima – una notte in cui due domestici furono trovati a insegnare la magia hoodoo ai figli del padrone di casa e vennero orribilmente linciati. Caroline trova, poi, nella soffitta, la stanza dei domestici: un posto pieno di strani oggetti, amuleti, libri di magia. Il mistero s’infittisce sempre di più, implicando gli spiriti della casa e le macchinazioni della vecchia Violet.


La mia (im)modesta opinione – Lo dico in anticipo: oggettivamente parlando, The Skeleton Key è un film abbastanza modesto, una ghost story elegante ma poco memorabile; notevole più per l’interpretazione di una Kate Hudson finalmente strappata alla spirale della commedia romantica. Ma c’è di più. The Skeleton Key è uno dei miei classici personali, uno di quegli horror che m’ha fatto capire come un plot twist definitivo e rapido come una pugnalata possa ribaltare tutte le carte in tavola, in un’opera di finzione. Un valore più personale che artistico, è vero, ma è anche vero che io trovo The Skeleton Key più affascinante di altri classici come Il Sesto Senso: è il film che m’ha fatto innamorare di quelle atmosfere molli e tropicali della Louisiana – il primo, sebbene poi ce ne siano stati altri: Angel Heart, Intervista col Vampiro, New Orleans...


E iniziamo dalle atmosfere, allora, che forse sono, insieme al rorido script, il raggiungimento più alto di un film così: le grazie troppo sbocciate di New Orleans e dei bayou, la edere torpide e strangolatrici, le paludi calde e nodose di mangrovie... Il tutto esaltato da una fotografia umida e lattea che dipinge lo sfondo perfetto per questo horror estivo (ammettiamolo, The Skeleton Key è l’horror estivo perfetto), gestito con grazia dal bravo Iain Softley che riesce a evitare truculenze e fantasmi putrefatti da J-Horror per evocare gli inquietanti riti dell’hoodoo degli schiavi neri, dissepolti dalla voce lontana e lamentosa di vetusto vinile che richiama alla mente stragi e nerezze di un passato non troppo lontano.


In effetti, va detto pure questo, esistono al cinema rappresentazioni di riti voodoo/hoodoo certamente più inquietanti di quella di The Skeleton Key: Angel Heart, ad esempio, è un film datato che certo non ha mai smesso di far girare le budella dello spettatore che lo vede per la prima volta. Eppure The Skeleton Key riesce a colpire: la magia hoodoo, l’inquietante ripostiglio, il sogno in cui Caroline si trova bocca e occhi cuciti con ago e filo... non terrore, il nostro, ma brividi. Ad animare ulteriormente il gioco pensano i tre protagonisti: una Kate Hudson ineditamente sexy (per allora, quand’era la fidanzatina d’America), la luciferina Gena Rowlings, in grande rispolvero per l’occasione, e il sempre stupendo (e negletto) John Hurt, che anche da paralitico muto riesce a essere protagonista di alcune delle scene più paurose delle pellicola.


Se aggiungiamo poi la spettacolare colonna sonora, bella grondante di perfetto blues d’annata che echeggia lontano per i bianchi e freschi corridoi della spettrale Felicity Plantation, possiamo stabilire che la pellicola di Softley è uno di quelle che ti fa innamorare persino dei dettagli più minimi (le spettacolari sigarette lunghe e nere fumate da Gena Rowlands colpirono la mia immaginazione, ai tempi, con quell'aria stregonesca), quando sei bambino e cinefilo in fieri. Un ottimo film, dunque, questo The Skeleton Key, ingiustamente ignorato dalle grandi masse; un gemello americano di quella pietra miliare del cinema d’orrore che fu The Others e un nipote giovane e ingenuo, ma non meno guizzante e forte, di quell’Angel Heart di parkeriana memoria che tanto spazio ha nel cuore degli amanti dell’horror.  


Se ti è piaciuto guarda anche... – Lo stracitato Angel Heart ( 1987) di Alan Parker, insieme ai grandi classici del voodoo movie: parlo del mitico Il Serpente e l’Arcobaleno (1988) di Nostro Signore Wes Craven, dell’anziano fuoriclasse Ho camminato con uno zombie (1943) di Jacques Tourneur. Ci sono poi i film in cui il voodoo si guadagna i suoi meritatissimi quindici minuti di gloria, parlo de L’Avvocato del Diavolo (1997) di Taylor Hackford e La baia di Eva (1997) di Kasi Lemmons. Poi abbiamo i grandi divi dell’horror d’atmosfera: The Others (2001) di Alejandro Amenàbar e Gli Invasati (1963) di Robert Wise. Per le tiepide atmosfere del gallant south degli Stati Uniti, abbiamo invece Intervista col Vampiro (1994) di Neil Jordan, il poetico ma esasperante Beasts of the Southern Wild (2012) di Benh Zeitlin e il barocchissimo e sciocco, ma imprescindibile, 007 – Vivi e lascia morire (1972) di Guy Hamilton.


Scena cult – Il sogno di Caroline e il racconto della morte dei due domestici, Papa Justify e Mama Cecile.

Canzone cult – L’ossessionante Iko Iko delle The Dixie Cups, l'inquietante elettronica Death Letter di Johnny Farmer e la Come On My Kitchen del grandissimo Robert Johnson.

3 commenti:

  1. addirittura uno dei tuoi classici personali?
    a me non era dispiaciuto, ma nemmeno mi aveva convinto più di tanto..

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    Risposte
    1. Il mio innamoramento con la Louisiana e le sue paludi passa assolutamente per The Skeleton Key.
      Inoltre come horror è originalissimo e stiloso al massimo.

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  2. Appena rivisto, appena recuperata questa tua recensione.
    Amo quelle atmosfere, amo New Orleans e, nel suo piccolo, questo film è un must. Il finale non si scorda, e io lo ricordavo perfettamente dalla prima visione, ma arrivarci nuovamente è una goduria. L'ironia tragica si spreca, la Rowlands è stupenda, la colonna sonora fa il suo.

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