lunedì 14 gennaio 2013

LO HOBBIT (2012), Peter Jackson


Nuova Zelanda, USA 2012
Regia: Peter Jackson
Cast: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Andy Serkis, Hugo Weaving, Cate Blanchett, Christopher Lee, Ian Holm
Sceneggiatura: Peter Jackson, Guillermo del Toro, Philippa Boyens, Fran Walsh


Trama (im)modesta – Terra di Mezzo. Il re dei nani Thròr viene scacciato insieme a tutto il suo popolo da Erebor, città-montagna e leggendaria patria dei nani, dal feroce drago Smaug, che prende possesso del monte e dell’oro che questo contiene. Molti anni dopo, lo stregone Gandalf il Grigio bussa alla porta dell’hobbit Bilbo Baggins per proporgli di seguirlo in una folle avventura: il principe decaduto Thorin Scudodiquercia ha intenzione di riconquistare l’antica casa dei suoi avi e sta muovendo verso Erebor per scacciare il drago Maug e tornare a regnare. Biblo, all’inizio riluttante, finisce per accettare e s’incammina nell’avventura più grande della sua vita.


La mia (im)modesta opinione – Pubblicato nel 1937, Lo Hobbit fu un libro importante nella vicenda letteraria di Tolkien: fu il preludio, infatti, dell’opera più conosciuta del proprio autore, Il Signore degli Anelli, inglobando pure elementi vari che torneranno nel magnum opus di questo Omero del fantasy, ovvero la mitologia fittizzia de Il Silmarillion. Sebbene tutte le opere di Tolkien fossero dominate da estrema complessità tematica e stilistica, da un retroterra narrativo non da poco e da una creatività metodica e implacabile che creava veri atlanti di storia inventata e lingue mai esistite, Lo Hobbit fu pensata come una fiaba, un racconto per ragazzi. Ne risulta che nei suoi stessi elementi, il tono del libro sia estremamente colloquiale, i toni favolistici, i contenuti leggeri e adatti per un pubblico composto da bambini “dai 5 ai 9 anni”, come diceva la prima recensione che uscì sul volume.


Il film di Jackson nasce (e non mentiamoci) come bieca operazione commerciale, che non si concede indolenze o pigrizie. Diciamolo pure, insomma: Lo Hobbit è un libro piccolo, ma proprio breve; e i produttori hanno trovato tanti contenuti da tirarci fuori (a forza) una trilogia? Mi spiace ma quello di Jackson è un film che, per quanto ben fatto, è ruffiano e approfittatore. E l’unico difetto del film è, infatti, di tentare di allungare il brodo in tutte le maniere possibili e immaginabili, cercando di simulare l’andamento di epillio del romanzo originale, ma riuscendo solo a suonare incredibilmente ingenuo e sciocco. Il personaggio di Radagast e le scene a lui dedicate sono degne di un cartone della Disney, le apparizioni di Ian Holm e il minuscolo cameo di Elijah Wood sono solo diversivi per far brillare il film più nuovo e scarno della luce dell’inimitabile fratello maggiore.


Un soverchio di spettacolarità, dunque, quando è tanto palese che tutte le sequenze più incredibilmente fastose (una per tutte: la città dei nani di Erebor) sono anche le più inutili. E se un film che dura due ore e quarantacinque insiste tanto nell’allungare il brodo con parentesi inutili e che finiscono per risultare nel ridicolo involontario, sono costretto a dichiararlo ruffiano e ipocrita. Ma Lo Hobbit non è del tutto falso: il fascino per l’avventura, lo sguardo che si perde nelle immensità di montagne e vallate, le scene di battaglia e tempesta (accessorie o meno che siano) tradiscono tutte, se non una passione, un trasporto che a Peter Jackson forse mancava dopo aver finito la sua storia trilogia ed essere stato costretto a lavorare entro l’esiguo recinto del film “normale”, affatto epico e spettacolare come la Trilogia dell’Anello.

  
Un’opera dove artista e commercialista s’incontrano, dunque; simpatica, coinvolgente, gustosa per  i graditi ritorni (enfatizzati fin troppo, quanto credono che siamo stupidi?) di vecchi volti conosciuti in precedenza: la Galadriel di Cate Blanchett, il Saruman di Christopher Lee, l’Elrond di Hugo Weaving e, soprattutto, il Gollum di Andy Serkis, protagonista della sequenza di maggior valore dell’intera pellicola. Il cast è assai affiatato e questo fa piacere ma non per questo tutto è perfetto: Ian McKellen pare sentire un po’ troppo il peso degli anni e di una parte ripresa per motivi chiaramente economici, mentre il Bilbo di Martin Freeman convince solo a metà e appare spaesato, quasi fuori posto all’interno delle vicende del film, come se fosse un osservatore nell’ombra, un protagonista passivo affatto fondamentale.


Ottimo lavoro per lo script che, sebbene pecchi d’eccessiva ingordigia e avrebbe dovuto senza dubbio essere assai più stretto, riesce a restituire il buon affresco del lavoro di un maestro dell’epica alle prese con la sua opera prima, un fantasy epico, dunque, ma ancora stupendamente ingenuo. Il personaggio di Thòrin Scudodiquercia è l’immensa figurazione di un eroe epico (coraggio, alti ideali, forte sentire) basata su un personaggio poco o nulla approfondito e, a dirla tutta, alquanto bidimensionale, come, del resto, tutti gli altri dimenticabili membri della Compagnia, a cui nessuno fa veramente caso. Il mio giudizio, dunque? Un film senza dubbio bello e coinvolgente ma vagamente volgare nel volersi ricoprire di trucchi e ceroni e sbattere se stesso in faccia al malcapitato spettatore che non sa se spalancare la bocca alle meraviglie sullo schermo o far correre la mano verso il portafogli, per assicurarsi della sua presenza.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Ovvimente la Trilogia de Il Signore degli Anelli: ovvero La Compagnia dell’Anello (2001), Le due torri (2002) e Il ritorno del Re (2003), tutti e tre di Peter Jackson. Per il genere epic-fantasy abbiamo poi il serial Game of Thrones (2011) creato da David Benioff e D.B. Weiss, il bel primo volume de Le Cronache di Narnia: Il Leone, la Strega e l’Armadio (2005) di Andrew Adamson, il guilty pleasure supremo, ovvero Troy (2004) di Wolfgang Petersen e l’Excalibur (1981) di John Boorman. Per il lato goliardico e scherzoso che permea buona parte del film, possiamo richiamarci al primo Shrek (2001) di Andrew Adamson e Vicky Jenson e al forse anche migliore sequel Shrek 2 (2004) di Andrew Adamson, Kelly Asbury e Conrad Vernon.


Scena cult – Il nano Thorin che si leva fra le fiamme a combattere il suo nemico. Quando qualcosa è epico è epico. Poi l’apparizione di Galadriel, una Cate Blanchett, un’attrice straordinaria che dopo un’annata un po’ vuota promette di tornare a riempire le sale con moltissimi film.

Canzone cult – Il canto dei nani, Misty Mountains, da me dimenticato e sollecitamente segnalato dalla collega Babol.

6 commenti:

  1. Perfettamente d'accordo con quello che hai scritto.

    Aggiungo che ho trovato troppo spesso momenti simili al Signore degli anelli al livello di tensione emotiva e location. A battaglia in caverna sotteranea segue momento di rilassatezza e paura per il ferimento di un compagno, su un altopiano bello arioso con vista sul mondo intero: ciao Moria, praticamente.

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    1. Ma sì, e in effetti i più si ricorderanno Peter Jackson solo per la Trilogia dell'Anello. E Jackson lo sa, per questo cerca di replicare.

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  2. Come canzone cult non pervenuta? E quella commovente meraviglia che cantano i nani?!

    Concordo sul definire il film bieca operazione commerciale e sulla tristezza di un personaggio come Radagast, ma da bambina mai cresciuta quale sono mi ci sono divertita molto e ho apprezzato parecchio tutti i riferimenti al Signore degli Anelli non presenti nel romanzo Lo Hobbit.

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    1. Ho apprezzato anche io. Operazione commerciale o no, il film è valido. La canzone dei nani non l'ho inserita e ho sbagliato, modificherò subito.

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  3. mi aspettavo una stroncatura più pesante! :)
    non ho letto lo hobbit, ma anche a me ha dato l'impressione che abbiano tirato le cose per le lunghe.
    laddove con me il film ha fallito maggiormente è che mi ha annoiato parecchio, al contrario della saga del signore degli anelli.

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    1. Ci sono parti che effettivamente sono inutili e perciò noiose (alcune addirittura ridicole) ma il film alla fine coinvolge. Come ho detto in un altro commento il film è bieco, ma comunque è valido. In più visivamente è una meraviglia.

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