Germania,
2013
Regia: Jan
Ole Gerster
Cast: Tom
Schilling, Friederike Kempter, Marc Hosemann, Katharina Schüttler, Justus von
Dohnanyi
Sceneggiatura: Jan Ole Gerster
Trama (im)modesta – Niko è un ragazzo berlinese. L’ha fidanzata
l’ha lasciato dopo un’ultima notte di passione, lui ha lasciato da due anni gli
studi universitari, il padre non gli dà altro che bacchettate, lo stesso
destino pare essergli ostile, nel suo rifiutarsi di concedergli nemmeno il
conforto di una tazza di caffè. Una giornata intera e un’intera notte passa
Niko vagando per la città, fra attori falliti, teatranti isteriche, rissosi
bifolchi, esclusivi club di golf, vecchi carichi di amarezze e vicini
invadenti. Ma che bottino trarrà dai suoi tristi traffici con la vita e la
morte? Saprà finalmente cosa fare o rimarrà con in mano un pugno di mosche?
La mia (im)modesta opinione – Di solito non amo né oziosi
esercizi di stile né i film che si pretendono intellettuali. Uno dei film che
più micidialmente odio, Les Amants Reguliers di Philippe Garrell, l’ho sempre
criticato, senza mai nemmeno concedergli l’ombra del dubbio. E cosa fa la
differenza fra il filologico mattone-omaggio alla Nouvelle Vague di Truffaut e
Chabrol e un minuscolo filmetto indipendente girato a Berlino otto anni dopo?
Naturalmente i film non hanno correlazioni evidenti (come potrebbero?) eppure
entrambi sono girati in un bianco e nero corposo, hanno per sfondo una fervente
capitale europea, hanno per protagonista un eroe giovane e malinconico.
In senso più lato, dunque, cosa mi ha fatto apprezzare tanto
Oh Boy, dato che è un film che in circostanze diverse avrei mal sopportato?
Sebbene la smania citatazionista di Gerster sia evidentissima e il suo film sia di
certo una sorta di ricalco del lavoro di più accreditate maestranze francesi,
la pellicola tedesca riesce a trovare una sua identità nazionale precisa (il
nazismo continua ad aleggiare nella Germania del ventunesimo secolo, più come
riflesso lontano che come minatorio fantasma), il suo mood intorno a un eroe
che non fa l’intellettuale raffinato à-la-Louis Garrell (sempre sia lodato) ma
è un giovane indeciso e gentile.
L’energia dell’intero film, tutta la sua forza, si concentra
nello sguardo mite e malinconico di Tom Schilling, un attore davvero perfetto,
misuratissimo, capace di gestire una parte certo difficile senza disagi
apparenti. Secondario fulcro assoluto di potenza narrativa e comunicativa è la
fine colonna sonora jazzistica, che è il modo più evidente del regista sia per
citare il maestro Allen sia per ricreare quel misto di ironia e amarezza per
l’assurdità del mondo che aleggia per l’intero film. L’ironia, sì, è un tratto
importante di tutta la storia: l’impossibilità del protagonista di bere una
sola goccia di caffè nel corso dell’intera giornata fa ridere ma pare anche
suggerire l’inafferrabilità del desiderio, lo stesso potrebbe dirsi per i
grotteschi intellettuali che si azzannano su brutti lavori teatrali e della
anonima passante che espone sempre le goffaggini del nostro protagonista,
incontrandolo nei momenti più imbarazzanti.
Un film interessante, dunque, che sa evitare il sapore
grezzo dell’artificio puro ma che rimane comunque una copia, per quanto
appassionata e sentita. Film d’autore? Prima vorrei vedere l’autore, che pare
promettente nascosto com’è da questa valanga di citazioni. Bello è lo script,
l’andamento ma anche i grandi classici finiscono per sapere di già visto e
sentito, senza per questo stancare. Senza dubbio, dichiaro Oh Boy uno dei film
più interessanti dell’annata scorsa, una prova ulteriore di che perle il cinema
indipendente sia capace anche in un’epoca di quasi totale deserto spirituale,
com’è la nostra. Ma per promuovere Gerster attendiamo il prossimo
lungometraggio.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Ho citato l’odiato Les
Amants Reguiliers (2005) di Philippe Garrell e vi consiglio comunque di
vederlo, non fosse altro che per onestà intellettuale. Non posso evitare di
consigliare I 400 Colpi (1959) di François Truffaut, Manhattan (1979) di Woody
Allen e Bande à Part (1964) di Jean-Luc Godard. Altro imperdibile bianco e nero
è il francese L'odio (1995) di Mathieu Kassovitz mentre è simile nel piacere
per la divagazione ma più originale e raffinato il sublime A Single Man (2009)
di Tom Ford. Né potrei evitare di citare Kids (1995) di Larry Clark, sommo
classico della décadence fine anni ’90.
Scena cult – Gli intellettualoidi rissosi e il finale in
ospedale.
Canzone cult – Non bene identificata. Rimando però alla
colonna sonora nella sua interezza.
Già mi ispirava e ora la tua recensione mi ha incuriosita ulteriormente! :)
RispondiEliminaE' un film da vedere certamente. Il regista promette benissimo!
Eliminaè come un film di woody allen, ma molto più figo e fresco
RispondiEliminaDel resto Allen ha l'età che ha... Speriamo di vederne ancora così!
Eliminaehi gran bel blog! ti seguo, se vuoi passa dalle mie parti! anch'io mi occupo di cinema ;)
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