Francia, 2010
Regia: Alain Corneau
Cast: Ludivine Sagnier, Kristin Scott Thomas, Patrick Mille,
Guillaume Marquet
Sceneggiatura: Natalie Carter, Alain Corneau
Trama (im)modesta – Christine e Isabelle. Una,
vicepresidente della filiale di una multinazionale a Parigi, è fredda,
manipolativa e senza scrupoli; l’altra, assistente amministrativa, è giovane e
innocente, impreparata alle soperchierie del resto del mondo. Due donne con una
relazione strana, una amicizia vagamente torbida, odiamore e rivalità. Un
giorno Christine ruba un’idea a Isabelle, poi comincia a perseguitarla, a
umiliarla in pubblico e in privato. Lei si vendica, la uccide. Ma qui inizia il
thriller: l’omicidio perfetto non è solo un miraggio lontano.
La mia (im)modesta opinione – Non ho intenzione di scusare
Crime d’Amour, ma nemmeno di bocciarlo del tutto. Il film, almeno in linea
teorica, si pone come un brillante thriller psicologico basato sulla rivalità
fra due donne. I temi in ballo non sono certo da poco: il doppio, lo scontro
fra generazioni, la natura del potere. Lo scontro fra le due diaboliques è una
battaglia sotterranea e serratissima, dove ogni regola è del tutto bandita. A
Corneau però riconosco almeno un merito: quello di esser riuscito a non
rimenare troppo nel torbido, cosa che molti altri avrebbero invece fatto in
ragione del facile appeal di un’esternazione morbosa del rapporto fra le due
spietatissime contendenti.
Il rimprovero che muovo al film è grande: ha una pessima
regia. Pessima. Privo di stile, fascino, arte. Quella che Corneau ha tutt’al
più realizzato è una trama nuda e cruda, efficace, ma totalmente disadorna. La
politica dell’austerità funziona bene solo in alcuni contesti (vedi il pulp
metropolitano Non è un paese per vecchi) mentre in un thriller femminile e per
di più tanto ben architettato sarebbe stato d’uopo uno sperimentalismo
maggiore. La fotografia del film quasi non esiste, la regia di Corneau è
scolastica, imbalsamata. E questo non si vede dai dettagli più infimi
(flashback in bianco e nero? Davvero? Erano vecchi già ai tempi dei film di
Poirot) ma anche dalla sostanziale povertà dell’apparato più propriamente
artistico/visivo.
Certo, la storia in sé ha già un grande valore. La
sensazione però è che Corneau non si sia sforzato di valorizzarla, forse poco
fiducioso, forse troppo compiaciuto, forse impigrito da uno script tanto
perfetto che non offriva sfide al suo sentire registico. Da elogiare invece la
sempre ottima Ludivine Sagnier, bellissima con il finale taglio di capelli alla Veronica Lake. A ragione una delle
attrici di punta del cinema francese. La Scott Thomas è divina come sempre, ma
lo sciapo look altoborghese la penalizza. Ero abituato a vederla bellissima,
raffinata; qui al massimo pare una signora dell’alta società senza troppa
classe. Certo, anche lei la sua parte la fa divinamente ma anche lei non mette
lo stesso trasporto che le è solito, come se il ruolo fosse stato troppo
facile.
Strano caso, allora, quello di Crime d’Amour: ottimo
thriller con le pecche di un eccessivo didascalismo, una deleteria insipienza
stilistica e alquanto freddino nella sua regia (non parliamo dell’orrida
colonna sonora, pseudo-noir, che più pretenziosa non si potrebbe). Siamo ben
lontani dai complicati intrighi di Cluzot, dallo stile beffardo e tagliente di
François Ozon e anche dagli allucinati languori di Lynch. Il film va guardato,
senza dubbio, ma la parziale delusione che porta con sé (senza comunque
tarpargli per questo del tutto le ali) va attesa, forse anche digerita. In più
la pellicola potrebbe diventare il manifesto di tutte le vittime di mobbing del
mondo.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Scontro fra donne.
Iniziamo da I diabolici (1955) di Henri-Georges Clouzot, saltiamo poi al grande
classico Eva contro Eva (1950) di Joseph L. Mankiewicz e a Che fine ha fatto
Baby Jane? (1962) di Robert Aldrich. Spaziando in più moderni territori,
abbiamo Mulholland Drive (2001) di David Lynch, il sommo Il Cigno Nero (2010)
di Darren Aronofsky, La Voltapagine (2006) di Denis Dercourt e Diario di uno scandalo
(2006) di Richard Eyre e, per finire, torniamo al passato con il grandissimo
Persona (1966) di Ingmar Bergman. Citiamo in differita lo stupendo remake Passion (2012) di Brian De Palma, che prende il film di Corneau e lo rivoluziona in assoluto.
Scena cult – La definitiva beffa di Christine, che farà
esplodere Isabelle.
Canzone cult – Non ne parliamo.
io invece l'ho adorato!
RispondiEliminaMa la storia in sè è fighissima, il problema è che manca il divertimento, il compiacimento artistico, la decorazione. Uno stile arido è deleterio per un film.
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