USA, 2013
Regia: J.J.
Abrams
Cast: Chris
Pine, Zachary Quinto, Benedict Cumberbatch, Zoe Saldana, Karl Urban, John Cho, Anton
Yelchin, Peter Weller
Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman, Damon Lindelof
Trama (im)modesta – Dopo una rocambolesca missione salvata
per il rotto della cuffia, con annesse gravissime infrazioni alle regole della
Flotta, il capitano Kirk viene degradato e l’Enterprise gli viene tolta. Ma
nuovi problemi si affacciano all’orizzonte: un capitano della Flotta, tale John
Harrison, terrorizza la città con attentati terroristici, uccide a San
Francisco gli alti ranghi della Flotta e poi si teletrasporta su Kronos,
pianeta disabitato nella pericolosa area dell’Impero Klingon, già sul piede di
guerra con gli esseri umani. Kirk viene subito richiamato in servizio e
riassegnato all’Enterprise con il compito di recuperare Harrison senza destare
la minima attenzione. Ma dopo numerosi pericoli scampati e dopo l’arresto di
Harrison, l’intera ciurma dell’Enterprise imparerà a temere anche dai più
insospettabili.
La mia (im)modesta opinione – Okay, il primo Star Trek era
una violenta figata, che ha segnato insieme la rinascita del genere space opera
(precocemente sepolto dal subisso degli Star Wars) e lo svecchiamento di un
franchise che, dopo un mirabile percorso, prendeva già la curva discendente
della propria parabola. Inoltre la giustificazione fantascientifica del film
con la storia delle linee temporali alterate era una oggettiva genialata. Questo
nuovo capitolo della saga alza ulteriormente il livello di spettacolarità e
intrattenimento ma accusa, a livello di svolgimento, i primi segni di una certa
stanchezza che non riesce a farlo diventare il film fottutamente (scusate il
francesismo) epico che io mi sarei aspettato, fermo il fatto che stiamo
parlando di una delle megaproduzioni più spettacolari mai fatte.
Metà della storia la tiene sulle spalle Benedict
Cumberbatch. Uno che non è esattamente Channing Tatum ma è comunque
paurosamente figo. Un cattivo, il suo John Harrison/Khan, a cui manca tanto
così dall’essere diventato una leggenda assoluta al pari del Joker di Ledger.
Cumberbatch si diverte da matti a far la parte del superuomo nerovestito,
longilineo e spietato. La sua è una parte assai teatrale, un ruolo che avrebbe
potuto essere faraonico se non ci fosse stato il problema del minutaggio, che
ha costretto a strizzare il suo supercattivo in mezzo a un cast corale di cui
in effetti poco ci interessava. Zoe Saldana è alquanto insignificante per
quanto brava, lo stesso si dica per Simon Pegg che prova a gigioneggiare alla
meglio e (so che inorridirete) per Spock, che si cerca di caratterizzare
alquanto goffamente senza, per altro, riuscirvi, nonostante la validissima
interpretazione di Zachary Quinto.
Del resto possiamo anche non parlare. Certo, il film sarebbe
stato il triplo più figo se Kirk fosse morto alla fine (come tutto, in effetti,
dava a credere) e avessero evitato di mettere il personaggio di Carol Marcus il
cui unico contributo al film è quello di apparire in déshabillé per un
fugacissimo momento. J.J. Abrams è parecchio coinvolto, invece, e la sua regia
è risulta mobile e vorticosa, capace di far svolgere la trama senza perdite di
tempo e garantendo allo spettatore i necessari minuti di pausa e svago per
godersi lo spettacolo senza inseguire inutilmente le mille evoluzioni della
storia. E certe scene sono francamente emozionanti: Spock nel vulcano, la nave
interstellare che precipita su San Francisco, l’ansiogena apparizione di John
Harrison/Khan, il prologo al cardiopalma, tutte le scene con Benedict
Cumberbatch che causa devastazione e morte (ho già detto che metà della
pellicola regge sulla sua awesomeness?)
Star Trek – Into Darkness è, in definitiva, uno dei migliori
blockbuster della stagione passata. Pericolosamente vicino alla leggenda e
insieme troppo maledettamente lontano per chiare esigenze commerciali (Kirk
deve sopravvivere, le belle ragazze in gonna corta devono esserci, Spock deve
essere caratterizzato per forza) e una sola punta di cattivo gusto:
l’apparizione (ancora?) di Leonard Nimoy, un santo più che un attore per la
pazienza che porta a recitare a ottantadue anni suonati ancora Spock e a essere
ricordato solo per un singolo franchise terminato anni e anni fa. Dunque: da
guardare assolutamente per due ore di rapimento interstellare e avventure
mozzafiato, ma a queste sensazioni non si aggiungerà l’esaltazione cinefila che
invece il primo film di ci dava (sebbene in discreta misura) e questo secondo
avrebbe potuto fare schizzare alle vette più eccelse.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Il grande sci-fi.
Ovviamente il primo Star Trek (2009) di J.J. Abrams e il vintage Star Trek II –
L’ira di Khan (1982) di Nicholas Meyer. Poi, per una rapida rassegna dei miei
preferiti, abbiamo 2001: Odissea nello Spazio (1968) di Stanley Kubrick che è
il miglior film di fantascienza mai fatto in assoluto; sorvolo sulla saga di
Star Wars, troppo celeberrima per aver bisogno di menzione, e mi butto su
Sunshine (2007) di Danny Boyle per la sua idea di un cosmo infinito e ostile;
seguito con Solaris (1971) di Andrei Tarkovskij, d’inaspettato scavo e
complessità. Cito Serenity (2005) di Joss Whedon, per la sua freschezza,
insieme allo spietato Starship Troopers (1997) di Paul Veerhoven per quel mix
di commentario sociale e spettacolosa follia assolutamente scadente. Non
dimentichiamoci poi del tamarro ma stranamente conturbante Il quinto elemento
(1997) di Luc Besson.
Scena cult – L’apparizione a Londra di John Harrison, il
crollo della nave Vengeance su San Francisco, Spock che si prepara alla morte
nel cuore del vulcano.
Canzone cult – Grande colonna sonora ma nessuna traccia
degna di gran nota.
Concordo pienamente: un superblockbuster come dovrebbero essercene sempre, coinvolgente, diretto alla grande e roboante dall'inizio alla fine.
RispondiEliminaPer me, addirittura superiore al primo.
Del resto, Khan fu il nemico più terribile dei "vecchi" di Star Trek.
E io ho preferito Cumberbatch all'originale Montalbàn. Un cattivo chiaramente troppo eighties.
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