mercoledì 7 novembre 2012

THE PERFECT HOST (2010), Nick Tomnay


USA, 2010
Regia: Nick Tomnay
Cast: David Hyde Pierce, Clayne Crawford, Megahn Perry, Nathaniel Parker
Sceneggiatura: Nick Tomnay, Krishna Jones


Trama (im)modesta – John è un rapinatore che ha appena realizzato un colpo (quasi) perfetto. Tutto è andato alla perfezione tranne che la polizia lo ha misteriosamente subito identificato e rintracciato. In fuga disperata dalle forze dell’ordine, John approda a casa di Warwick, sofisticato gentiluomo, spacciandosi prima per un amico di un’amica comune; poi, quando la sua identità è scoperta, minacciandolo di morte. Quello che John non sa è che Warwick è un individuo quasi più pericoloso e folle di lui – un pericoloso schizofrenico che, durante le sue cene sofisticate, popolate da ospiti che sono solo immaginari, sevizia e infine uccide a turno qualche povero malcapitato.
Ma questo è solo l’inizio...


La mia (im)modesta opinioneThe Perfect Host è come un ospite affascinante che venga in casa nostra, ceni con noi, ci intrattenga... ma non capisca quando è il momento di alzare i tacchi e tornare a casa propria. Un film, dunque, che non riesce a giustificare con il suo incredibile fascino la tremenda creanza di mettere troppa carne al fuoco. Già perché se fino a tre quarti della storia si potrebbe gridare al capolavoro, la pellicola, nella sua ultima sezione, esce fuori dal seminato e prende una svolta criminosa/noir che non può che fargli del male. Peccato, ma concediamo questo errore al regista che, al suo primo lungometraggio, ha voluto comprensibilmente strafare.


The Perfect Host è un film incredibilmente originale. Mescola in maniera del tutto inedita la morbosità di un American Psycho con la commedia slapstick più scatenata. Entrambi i personaggi principali, poi, sono dotati di uno scavo psicologico convincente ed equilibrato. Insomma, senza la sua ultima mezz’ora, The Perfect Host sarebbe stata una commedia nera degna di figurare fra gli annali del cinema; peccato si sia rivelata, come i coltelli finti che Warwick tiene appesi sul caminetto, un film senza punta, che non trafigge o taglia, ma finge soltanto. E questo è davvero un peccato: penso soltanto alle mille metafore che la vicenda messa in scena dal film avrebbe potuto rappresentare...


Somma stella della pellicola, che da solo vale tutta la visione del film, è lo scatenatissimo David Hyde Pierce (attore non da poco, ha vinto qualcosa come quattro Emmy per il suo ruolo nella sit-com Frasier) che minaccia di morte, improvvisa balletti, serve da mangiare a ospiti invisibili. Uno dei villains più di culto che abbia mai visto che, se mi si concede il paragone con l’universo di Batman, mescola insieme Alfred e il Joker regalandoci siparietti impagabili come l’allucinatissimo balletto sul tavolo della cucina o la stupenda scena della conga; ma che riesce anche a sprofondare nell’inquietantezza più nera con gli sguardi morbosi alle foto di morti e mutilati, il macabro “album dei ricordi” che elenca vittime e torture e il tremendo filmino che lo vede impiegato in sanguinari atti di masochismo estremo.


Tutto questo il film fa, senza mettere in scena nessuna violenza che non sia strettamente necessaria. Tutto il senso di pericolo e orrore è dato dalle grottesche pantomime di Warwick che serve il caffè a ospiti invisibili, instaura conversazioni sofisticate con amici immaginari e organizza complicate e spassosissime coreografie a ritmo di funky, a uso di un terrorizzato Clayne Crawford. Le scene del balletto, del videotape e della conga sono veri e propri gioielli di cinematografia raffinatissima, mescolati, ahimè, con un finale davvero insufficiente che però, grazie al cielo, non gli fa perdere nemmeno un poco di brillantezza e orrore.


Oltre alla raffinatissima regia di Tomnay e alla sua sceneggiatura (come già detto buona per la maggior parte della storia), il film vanta anche una fotografia e un montaggio meravigliosi e una colonna sonora di prima categoria. Unico peccato del film: i cedimenti dello script. Un film a camera chiusa come questo, ha bisogno di una tensione sempre costante e di voli estremi di originalità. Qui l’originalità c’è (e da vendere, direi) ma la tensione crolla orribilmente oltre che nel finale, in qualche trascurabile punto della pellicola dove lo spettatore, sebbene affascinato, non possa fare a meno di domandarsi: ma dove sta andando a parare tutto questo? Insomma, The Perfect Host è perfetto solo in parte ma non per questo meno degno di una divertita visione.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Altro film di altissimo livello rovinato da un crollo finale è l’australiano Acolytes (2008) di Jon Hewitt. Per due film di altissimo livello che includono ostaggi e aguzzini abbiamo il grande classico Misery non deve morire (1990) di Rob Reiner e la gemma australiana The Loved Ones (2009) di Sean Byrne. Ricordiamo poi l’immortale American Psycho (2000) di Mary Harron e il negletto ma meraviglioso thriller Mother’s Day (2010) di  Darren Lynn Bousman.


Scena cult – Il monologo sugli scacchi, la scena del balletto (non mi stancherò mai di dirlo, da antologia!) e il videotape.

Canzone cult – La gasante Working at the Carwash di Rose Royce e l'aria della Luisa Miller, Quando le sere al placido.

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