USA, 2010
Regia: Nick
Tomnay
Cast: David
Hyde Pierce, Clayne Crawford, Megahn Perry, Nathaniel Parker
Sceneggiatura: Nick Tomnay, Krishna Jones
Trama (im)modesta – John è un rapinatore che ha appena
realizzato un colpo (quasi) perfetto. Tutto è andato alla perfezione tranne che
la polizia lo ha misteriosamente subito identificato e rintracciato. In fuga
disperata dalle forze dell’ordine, John approda a casa di Warwick, sofisticato
gentiluomo, spacciandosi prima per un amico di un’amica comune; poi, quando la
sua identità è scoperta, minacciandolo di morte. Quello che John non sa è che
Warwick è un individuo quasi più pericoloso e folle di lui – un pericoloso
schizofrenico che, durante le sue cene sofisticate, popolate da ospiti che sono
solo immaginari, sevizia e infine uccide a turno qualche povero malcapitato.
Ma questo è solo l’inizio...
La mia (im)modesta opinione – The Perfect Host è come un
ospite affascinante che venga in casa nostra, ceni con noi, ci intrattenga...
ma non capisca quando è il momento di alzare i tacchi e tornare a casa propria.
Un film, dunque, che non riesce a giustificare con il suo incredibile fascino
la tremenda creanza di mettere troppa carne al fuoco. Già perché se fino a tre
quarti della storia si potrebbe gridare al capolavoro, la pellicola, nella sua
ultima sezione, esce fuori dal seminato e prende una svolta criminosa/noir che
non può che fargli del male. Peccato, ma concediamo questo errore al regista
che, al suo primo lungometraggio, ha voluto comprensibilmente strafare.
The Perfect Host è un film incredibilmente originale.
Mescola in maniera del tutto inedita la morbosità di un American Psycho con la
commedia slapstick più scatenata. Entrambi i personaggi principali, poi, sono
dotati di uno scavo psicologico convincente ed equilibrato. Insomma, senza la
sua ultima mezz’ora, The Perfect Host sarebbe stata una commedia nera degna di
figurare fra gli annali del cinema; peccato si sia rivelata, come i coltelli
finti che Warwick tiene appesi sul caminetto, un film senza punta, che non
trafigge o taglia, ma finge soltanto. E questo è davvero un peccato: penso
soltanto alle mille metafore che la vicenda messa in scena dal film avrebbe
potuto rappresentare...
Somma stella della pellicola, che da solo vale tutta la
visione del film, è lo scatenatissimo David Hyde Pierce (attore non da poco, ha
vinto qualcosa come quattro Emmy per il suo ruolo nella sit-com Frasier) che
minaccia di morte, improvvisa balletti, serve da mangiare a ospiti invisibili.
Uno dei villains più di culto che abbia mai visto che, se mi si concede il
paragone con l’universo di Batman, mescola insieme Alfred e il Joker
regalandoci siparietti impagabili come l’allucinatissimo balletto sul tavolo
della cucina o la stupenda scena della conga; ma che riesce anche a sprofondare
nell’inquietantezza più nera con gli sguardi morbosi alle foto di morti e
mutilati, il macabro “album dei ricordi” che elenca vittime e torture e il
tremendo filmino che lo vede impiegato in sanguinari atti di masochismo
estremo.
Tutto questo il film fa, senza mettere in scena nessuna
violenza che non sia strettamente necessaria. Tutto il senso di pericolo e
orrore è dato dalle grottesche pantomime di Warwick che serve il caffè a ospiti
invisibili, instaura conversazioni sofisticate con amici immaginari e organizza
complicate e spassosissime coreografie a ritmo di funky, a uso di un
terrorizzato Clayne Crawford. Le scene del balletto, del videotape e della
conga sono veri e propri gioielli di cinematografia raffinatissima, mescolati,
ahimè, con un finale davvero insufficiente che però, grazie al cielo, non gli
fa perdere nemmeno un poco di brillantezza e orrore.
Oltre alla raffinatissima regia di Tomnay e alla sua
sceneggiatura (come già detto buona per la maggior parte della storia), il film
vanta anche una fotografia e un montaggio meravigliosi e una colonna sonora di
prima categoria. Unico peccato del film: i cedimenti dello script. Un film a camera
chiusa come questo, ha bisogno di una tensione sempre costante e di voli
estremi di originalità. Qui l’originalità c’è (e da vendere, direi) ma la
tensione crolla orribilmente oltre che nel finale, in qualche trascurabile
punto della pellicola dove lo spettatore, sebbene affascinato, non possa fare a
meno di domandarsi: ma dove sta andando a parare tutto questo? Insomma, The
Perfect Host è perfetto solo in parte ma non per questo meno degno di una
divertita visione.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Altro film di altissimo
livello rovinato da un crollo finale è l’australiano Acolytes (2008) di Jon
Hewitt. Per due film di altissimo livello che includono ostaggi e aguzzini
abbiamo il grande classico Misery non deve morire (1990) di Rob Reiner e la
gemma australiana The Loved Ones (2009) di Sean Byrne. Ricordiamo poi
l’immortale American Psycho (2000) di Mary Harron e il negletto ma meraviglioso
thriller Mother’s Day (2010) di Darren
Lynn Bousman.
Canzone
cult – La gasante Working at the Carwash di Rose Royce e l'aria della Luisa Miller, Quando le sere al placido.
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