venerdì 6 settembre 2013

OLDBOY (2003), Park Chan Wook


Corea del Sud, 2003
Regia: Park Chan-Wook
Cast: Choi Min-Sik, Yu Ji-Tae, Kang Hye-Jeong, Ji Dae-han, Oh Dal-Su, Kim Byeong-Ok
Sceneggiatura: Hwang Jo-Yun, Lim Joon-Hyung, Park Chan-Wook


Trama (im)modesta – Oh Dae-su è un pessimo uomo, alcolizzato e fedifrago una sera viene pure arrestato per ubriachezza molesta. Al suo rilascio, però, scompare. Si risveglia in una camera d’albergo, senza finestre, intrappolato. Rimarrà lì per quindici anni, con una televisione come unico contatto con il mondo. Un giorno, allo scadere del tempo prefissato, verrà liberato. Follemente lucido e lucidamente folle, dopo il decennio e mezzo trascorso in cattività, Dae-su ha un unico obiettivo: la vendetta. Accompagnato dalla dolce cameriera Mi-do, l’uomo troverà il suo aguzzino, il più mefistofelico di tutti, in una missione vendicatrice che lo porterà ai limiti della ragione.


La mia (im)modesta opinioneOldboy è un così grande classico moderno (forse il migliore di tutta la “trilogia della vendetta” di Park Chan-Wook) che di commento non avrebbe bisogno. È un film totalmente estremo, una moderna tragedia greca per le cui scene si muove, perseguitato dalle sue Erinni e dal fato, un Edipo dagli occhi a mandorla, vittima inconsapevole di un mondo buio e tremendo, vuoto di ogni speranza o umanità. La disperazione totale è il fondamentale tema della pellicola, che dipinge un universo dove il Male preme da ogni parte, l’uomo è perpetuo prigioniero, lo stesso vivere è un farsi complice del crimine di cui siamo anche vittime, eternamente impegolati come in un tranello kafkiano. La vendetta di Dae-su, chiusa dentro un’altra vendetta, intrappolata in un gomitolo inestricabile di colpe e responsabilità è una cosa diabolica e mortale. Nemmeno l’amore sa redimere, forse nemmeno la bellezza.


Non dico altro, non voglio rovinare la sorpresa a chi il film non l’ha ancora  visto. Certo si potrebbe obiettare che la definitiva risoluzione della trama sia un poco campata in aria, che la chiave di volta di tutta la storia sia, insomma, un mattone di sabbia. Eppure non sono incline a considerarlo così, considerati i toni d’insano in cui la vicenda prende vita. La prigione, il mondo urbano fatto di scale complicate e architetture ai limiti del possibile, la netta predominanza per l’ambiente chiuso, geometricamente definito: tutto ciò che esiste di realistico in Oldboy passa in secondo piano davanti a un dramma sempre più fosco che procede, inquadratura dopo inquadratura, senza pietà, senza redenzione, senza nulla al di fuori del dolore e della morte. La stessa violenza che il film mette in scena non è una violenza ludica o estetizzata, ma l’espressione più magnificente di un mondo torbido fin nella sua più riposta e livida briciola, dove l’uomo può giganteggiare solo per la grandezza della propria sconfitta.


Nel dare volto a Dae-su, c’è uno dei migliori attori viventi (sebbene noto solo per Oldboy, qui in Occidente): Choi Min-sik. La sua è un’interpretazione estrema e totale, gli basterebbe solo una manciata di scene per spazzare via tutti gli attori di Hollywood senza nemmeno un minimo sforzo. Non meno incredibile è Yoo Ji-Tae, nei panni del mefistofelico cattivo, un villain sconvolgente: ancor più sconvolgente per giovinezza, bellezza, eleganza e ricchezza. Il confronto è presto fatto: un uomo degradato e corposo contro un efebico gentiluomo, alto, bello, forte e slanciato. Il confronto fra i due è una delle scene più da urlo mai girate per intensità interpretativa di uno e spietato algore dell’altro. Non potrei però certo non menzionare il resto del cast, tutto bravissimo ma che tende a svanire sul fondale quando sono in gioco questi due titani dell’attorialità orientale.


La regia di Park Chan-Wook, di nuovo, è modernamente barocca, conoscitrice di tutti stratagemmi e soluzioni visive. Certo sarà celeberrimo il piano-sequenza del combattimento nel corridoio, scena di combattimento fra le più dure mai viste, ma non dimentichiamo le magnifiche inquadrature sbieche che fotografano scalinate oblique e aprono finestre nello spazio tempo, seminando l’intera pellicola d’inaspettata bellezza per tutta la sua durata. Speciale menzione anche per le musiche, a metà fra Vivaldi e il noir classico. Non c’è che dire, Oldboy è un puro cinema: sconvolgente, ottimamente orchestrato, musicato e interpretato, una corsa in treno torbida e allucinata. Un grand-guignol sul cui palco l’uomo è nudo, perduto fra selve d’illusioni e fondali di carta che si strappano solo per rivelare altre scene dietro di essi in una sorta di escheriana mise en abîme di apparenze e disinganno, in fondo alla quale solo una cosa trionfa: la sconfitta dell’animo umano e, in questa, la sua incrollabile grandezza.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Naturalmente il resto della “trilogia”, ossia Mr. Vendetta (2002) e Lady Vendetta (2005) ovviamente di Park Chan-Wook. C’è poi il blasonato remake americano, per ora ancora in arrivo, Oldboy (2013) di Spike Lee. Per le torbide efferatezze all’orientale non si può consigliare il maestro Takashi Miike: dunque andiamo con Ichi The Killer (2001) e Audition (1999), fra  i più notevoli. Sempre in salsa orientale abbiamo I Saw the Devil (2010) di Kim Jee-Woon e il quasi insostenibile film corale Three… Extremes (2004) di Park Chan-Wook, Takashi Miike e Fruit Chan.


Scena cult – Migliaia: la lotta nel corridoio, la piovra mangiata e il gran finale su tutte.

Canzone cult – L’intera colonna sonora, assoluto capolavoro di musica cinematografica.

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