Corea del Sud, 2003
Regia: Park Chan-Wook
Cast: Choi
Min-Sik, Yu Ji-Tae, Kang Hye-Jeong, Ji Dae-han, Oh Dal-Su, Kim Byeong-Ok
Sceneggiatura:
Hwang Jo-Yun, Lim Joon-Hyung, Park Chan-Wook
Trama (im)modesta – Oh Dae-su è un pessimo uomo, alcolizzato
e fedifrago una sera viene pure arrestato per ubriachezza molesta. Al suo
rilascio, però, scompare. Si risveglia in una camera d’albergo, senza finestre,
intrappolato. Rimarrà lì per quindici anni, con una televisione come unico
contatto con il mondo. Un giorno, allo scadere del tempo prefissato, verrà
liberato. Follemente lucido e lucidamente folle, dopo il decennio e mezzo
trascorso in cattività, Dae-su ha un unico obiettivo: la vendetta. Accompagnato
dalla dolce cameriera Mi-do, l’uomo troverà il suo aguzzino, il più
mefistofelico di tutti, in una missione vendicatrice che lo porterà ai limiti
della ragione.
La mia (im)modesta opinione – Oldboy è un così grande
classico moderno (forse il migliore di tutta la “trilogia della vendetta” di
Park Chan-Wook) che di commento non avrebbe bisogno. È un film totalmente
estremo, una moderna tragedia greca per le cui scene si muove, perseguitato
dalle sue Erinni e dal fato, un Edipo dagli occhi a mandorla, vittima
inconsapevole di un mondo buio e tremendo, vuoto di ogni speranza o umanità. La
disperazione totale è il fondamentale tema della pellicola, che dipinge un
universo dove il Male preme da ogni parte, l’uomo è perpetuo prigioniero, lo
stesso vivere è un farsi complice del crimine di cui siamo anche vittime,
eternamente impegolati come in un tranello kafkiano. La vendetta di Dae-su,
chiusa dentro un’altra vendetta, intrappolata in un gomitolo inestricabile di
colpe e responsabilità è una cosa diabolica e mortale. Nemmeno l’amore sa
redimere, forse nemmeno la bellezza.
Non dico altro, non voglio rovinare la sorpresa a chi il
film non l’ha ancora visto. Certo si
potrebbe obiettare che la definitiva risoluzione della trama sia un poco
campata in aria, che la chiave di volta di tutta la storia sia, insomma, un
mattone di sabbia. Eppure non sono incline a considerarlo così, considerati i
toni d’insano in cui la vicenda prende vita. La prigione, il mondo urbano fatto
di scale complicate e architetture ai limiti del possibile, la netta
predominanza per l’ambiente chiuso, geometricamente definito: tutto ciò che
esiste di realistico in Oldboy passa in secondo piano davanti a un dramma
sempre più fosco che procede, inquadratura dopo inquadratura, senza pietà,
senza redenzione, senza nulla al di fuori del dolore e della morte. La stessa
violenza che il film mette in scena non è una violenza ludica o estetizzata, ma
l’espressione più magnificente di un mondo torbido fin nella sua più riposta e
livida briciola, dove l’uomo può giganteggiare solo per la grandezza della propria
sconfitta.
Nel dare volto a Dae-su, c’è uno dei migliori attori viventi
(sebbene noto solo per Oldboy, qui in Occidente): Choi Min-sik. La sua è
un’interpretazione estrema e totale, gli basterebbe solo una manciata di scene
per spazzare via tutti gli attori di Hollywood senza nemmeno un minimo sforzo.
Non meno incredibile è Yoo Ji-Tae, nei panni del mefistofelico cattivo, un
villain sconvolgente: ancor più sconvolgente per giovinezza, bellezza, eleganza
e ricchezza. Il confronto è presto fatto: un uomo degradato e corposo contro un
efebico gentiluomo, alto, bello, forte e slanciato. Il confronto fra i due è
una delle scene più da urlo mai girate per intensità interpretativa di uno e
spietato algore dell’altro. Non potrei però certo non menzionare il resto del
cast, tutto bravissimo ma che tende a svanire sul fondale quando sono in gioco
questi due titani dell’attorialità orientale.
La regia di Park Chan-Wook, di nuovo, è modernamente
barocca, conoscitrice di tutti stratagemmi e soluzioni visive. Certo sarà
celeberrimo il piano-sequenza del combattimento nel corridoio, scena di
combattimento fra le più dure mai viste, ma non dimentichiamo le magnifiche
inquadrature sbieche che fotografano scalinate oblique e aprono finestre nello
spazio tempo, seminando l’intera pellicola d’inaspettata bellezza per tutta la
sua durata. Speciale menzione anche per le musiche, a metà fra Vivaldi e il
noir classico. Non c’è che dire, Oldboy è un puro cinema: sconvolgente,
ottimamente orchestrato, musicato e interpretato, una corsa in treno torbida e
allucinata. Un grand-guignol sul cui palco l’uomo è nudo, perduto fra selve d’illusioni
e fondali di carta che si strappano solo per rivelare altre scene dietro di
essi in una sorta di escheriana mise en abîme di apparenze e disinganno, in fondo
alla quale solo una cosa trionfa: la sconfitta dell’animo umano e, in questa,
la sua incrollabile grandezza.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Naturalmente il resto
della “trilogia”, ossia Mr. Vendetta (2002) e Lady Vendetta (2005) ovviamente
di Park Chan-Wook. C’è poi il blasonato remake americano, per ora ancora in
arrivo, Oldboy (2013) di Spike Lee. Per le torbide efferatezze all’orientale
non si può consigliare il maestro Takashi Miike: dunque andiamo con Ichi The
Killer (2001) e Audition (1999), fra i
più notevoli. Sempre in salsa orientale abbiamo I Saw the Devil (2010) di Kim
Jee-Woon e il quasi insostenibile film corale Three… Extremes (2004) di Park Chan-Wook, Takashi
Miike e Fruit Chan.
Scena cult – Migliaia: la lotta nel corridoio, la piovra
mangiata e il gran finale su tutte.
Canzone cult – L’intera colonna sonora, assoluto capolavoro
di musica cinematografica.
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