lunedì 5 novembre 2012

YOU DON’T KNOW JACK (2010), Barry Levinson


USA, 2010
Regia: Barry Levinson
Cast: Al Pacino, Danny Huston, John Goodman, Susan Sarandon, Brenda Vaccaro
Sceneggiatura: Adam Mazer


Trama (im)modesta – Jack Kevorkian è un medico patologo che ha visto la madre spegnersi lentamente e dolorosamente sopra un letto d’ospedale. Il ricordo degli orrori del genocidio armeno che i suoi genitori gli hanno trasmesso gli dà una visione del tutto rivoluzionaria della vita e della morte: Jack della morte non ha paura; la morte, per lui, è una liberazione, e poco importa cosa dica o non dica il giuramento d’Ippocrate. Così Jack comincia a esercitare, in maniera alquanto controversa, il suicidio assistito. Molti pazienti corrono da lui per morire e guarire così da una vita di dolori, ma molti altri si scandalizzano e lo condannano. Iniziano così i problemi legali, per Jack, che riesce però a sorpassare indenne ogni accusa, appellandosi al fatto che il suicidio non è illegale. Ma quando il cosiddetto Dottor Morte sarà costretto a somministrare l’eutanasia a un paziente gravemente malato, il dado sarà tratto.


La mia (im)modesta opinione – Dopo lo spettacolare The Sunset Limited, la HBO Films si dimostra ancora capace di produrre un film che, minimizzando sopra i costi di produzione, riesca a guadagnare tutto in qualità: non solo un grande cast (sublime Al Pacino, ma un po’ sacrificata la Sarandon), ma anche una stupenda cinematografia, uno script eccezionalmente maturo e la regia di un grande come Barry Levinson che ha all’attivo film non da poco come Rain Man, Tootsie e Good Morning, Vietnam. La parabola del dottor Jack Kevorkian, che tanti pazienti aiutò con il suicidio assistito, diventa nelle mani di sceneggiatore e regista una specie di agiografia laica, la storia di un martire che si è sacrificato per una giusta causa e che è stato duramente condannato (ma non del tutto ingiustamente) da un gruppo di persone incapaci di motivare le proprie stesse azioni.


Il film, l’avrete già compreso, tracima non troppo malvolentieri nella ruffianeria più sperticata. Insomma, gli autori sono di parte e ci tengono a farlo notare. Le noie che questo non indifferente dettaglio provoca sono attutite (parzialmente) con due geniali espedienti: il primo è il dilemma morale dello stesso Kevorkian, che è il dilemma dello spettatore quando è costretto a posare agli occhi a suicidi assistiti sbrigati alla chetichella, in luoghi nascosti, senza dire niente a nessuno e, in una delle scene più dure della pellicola, addirittura eseguiti con metodi certamente medici ma molto poco ortodossi (quando a Jack viene revocata la qualifica di medico e non può più procurarsi le sostanze chimiche necessarie); il secondo è lo stupendo monologo finale del giudice, sorta di apologia delle leggi in cui con durezza di ferro vengono espressi i valori che l’America dà alla sua legislazione: Kevorkian non è colpevole per ciò che ha fatto ma è stato punito perché ha sfidato un sistema legale che non poteva far altro se non condannarlo. Il peccato di Jack è stata la megalomania.


E la taccia di megalomania (insieme a un aroma canforoso di santo in corsia) aleggia tutta intorno al Jack Kevorkian interpretato così magistralmente da Al Pacino (che si è accaparrato un Emmy, un Golden Globe e uno Screen Actors Guild Award) che non pecca tanto di egocentrismo quanto di non richiesta santificazione: il film dipinge Jack come una sorta di Cristo in terra, venuto a dispensare pietà e pace ma terribilmente frainteso e ingiustamente messo in croce. Il personaggio di Kevorkian, poi, è assai complesso: ispirato quasi da un afflato divino, da un lato; disperato per le strette della coscienza e del buon senso, dall’altro. In mezzo a tutto ciò sta una strana armonia fra pietà e morte, un’esaltazione illuministica, quasi, che conduce a un bene morale altissimo e lungimirante.


E così, con il suo eccedere nell’imparzialità e con le sue non richieste beatificazioni, You Don’t Know Jack rimane un grande film dal retrogusto un po’ plasticoso, un po’ ipocrita nell’etichettare la parte avversa sotto la nomea di una generale bigotteria non veramente spiegata. E anche se il film tenta di riequilibrarsi (non si poteva certo scrivere un inno all’eutanasia) quella pericolosa parzialità rimane sempre ad attossicare l’aria. Spendo le ultime righe di questa mia povera recensione con una considerazione: You Don’t Know Jack è un film che nasce per la televisione. Televisione via capo ma pur sempre televisione. Com’è possibile che la nostra televisione nazionale riesca a produrre solo fiction di scandente qualità e quella via cavo sprechi la sua creatività in film alla fin fine decenti ma molto, molto poco impegnati?


Se ti è piaciuto guarda anche... – Nemmeno a dirlo, Million Dollar Baby (2004) di Clint Eastwood, che è una tappa obbligata, seguito a ruota da Mare Dentro (2004) di Alejandro Amenabàr mentre di simile tema ma diversi risvolti è Il mio piede sinistro (1989) di Jim Sheridan. Sempre sul tema dell’eutanasia, invece, abbiamo il lacrimoso ma pur sempre valido One True Thing (1998) di Carl Franklin. Philadelphia (1993) di Jonathan Demme è un altro film che espone bene il dibattito sulla vita e sulla morte mentre, se si vuole qualcosa di più autoriale, si può guardare al recentissimo Amour (2012) di Michael Haneke. Senza dimenticare poi Dead Man Walking (1995) di Tim Robbins.


Scena cult – La morte di Hugh Gale, malato terminale di enfisema.

Canzone cult – Non pervenuta.

3 commenti:

  1. Devo mandarti una mail e.e
    Qual è la tua ?

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    Risposte
    1. Ti mando la mia mail del lavoro.
      la-legione@hotmail.it

      Non terrorizzarti per il nome. Errore di gioventù.

      Elimina
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    Grazie per la condivisione che possono essere di interesse ai tuoi amici!

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