Danimarca, 2011
Regia: Peter Gantzler
Cast: Sebastian Jessen, Marie Louise Wille, Helle Merete
Søresen, Peter Gantzler, Mikkel Bjerrum
Sceneggiatura: Peter Gantzler, Iben Gylling
Trama (im)modesta – Christian ha diciotto anni, vive con sua
madre, ha appena concluso il liceo e si prepara all’università. Lavora come
aiutante del portinaio/factotum del complesso condominiale dove abita facendo
piccole riparazioni, tagliando l’erba del prato o pulendo in giro. È così che
incontra Sanne, procace mamma single, con cui intreccia una relazione prima
semplicemente erotica ma che poi diventa sempre più profonda quando entra in
gioco anche il piccolo Kasper, figlio di Sanne. Ma quanto è pronto Christian ad
assumersi il peso di una vita adulta?
La mia (im)modesta opinione – Ci sono dei film, come questo Dreng, che iniziano come commedie
dolceamare sull’amore contrastato fra due persone di età diverse e finiscono
per diventare profonde meditazioni sulla vita, sul mondo delle relazioni e
della famiglia e sulla difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo. È
immaturo Christian che ha paura di assumersi le responsabilità “dei
grandi”, che piange se abbandonato, che
è attaccato alla madre, che è sempre indeciso e inesperto nelle faccende
d’amore o è immatura Sanne che, dietro a tutta la superiorità di cui s’investe
in quanto adulta, cela la gelosia e la possessività di una ragazzina
quindicenne mescolata con la cattiveria
di una bambina maliziosa e perfida?
Come potrebbe Christian affidare il compito di essere
traghettato nel mondo degli adulti a una donna che vive selvaggiamente le
proprie fregole e le proprie rabbie? Una donna che fa scenate, che rimesta
nella vita privata del proprio partner? La verità è che l’affaire fra Christian e Sanne era iniziato come un semplice
capriccio del momento e di questo il regista non fa certo mistero. C’è anzi
qualcosa di vagamente laido e scorretto nelle indecenti avances di lei, degne
del più scadente fra i filmetti porno. La relazione amorosa è incidentale, una
trappola per topi che è scattata quando nel ménage
della coppia entra a far parte Kasper, il figlio di Sanne, desideroso di avere
un padre, attaccato alla madre e in cui forse si rispecchia anche Christian, anche
lui orfano di padre, desideroso di diventarne uno per poter smettere di sentire
la mancanza del proprio.
È il realismo, in definitiva, che ho apprezzato
infinitamente in Dreng. Un realismo
che pare una ventata di frescura nell’afoso serraglio della moderna dramedy. Gantzler è un regista
encomiabile: non si abbandona a particolari virtuosismi (non che la storia lo
richiedesse) e tratteggia con preziosa sensibilità e nitidezza una
straordinaria storia ordinaria mettendo in gioco una schiera di personaggi
complessi e sfaccettati e narrandone le vicende senza la minima affettazione,
senza cercare di far colpo su nessuno, senza animosità o desiderio di svendersi
a prezzo popolare. Riesce a fare questo grazie a uno script essenziale e
sobrio, un gruppo di protagonisti convincenti e una storia affascinante e
calorosa.
Lo abbiamo già detto, punto di forza sono i protagonisti.
Iniziamo da Christian, interpretato dal bravissimo Sebastian Jassen (ne
approfitto per complimentarmi con i responsabili del casting: finalmente un
attore bello ma non belloccio, bravo senza essere pretenzioso, capace di
incarnare perfettamente il proprio personaggio), un ragazzo dolcissimo, con
tanto amore da dare, inesperto e forse goffo delle dinamiche delle relazioni,
spaventato, desideroso di crescere. Un personaggio con cui è impossibile non
simpatizzare. Il film non fa del buonismo idiota: è Christian ad essere un
personaggio sinceramente buono, autenticamente positivo. E, di questi tempi, ci
manca di vedere sullo schermo un personaggio così sincero e, al contempo, così
complesso e carico di sfumature che riesca anche ad evitare clichés stupidi e frusti luoghi comuni.
Poi ci sono le due donne: da una parte Sanne, matronale, dai
lineamenti barbarici, focosa nell’amore come nell’ira, provocante e vagamente
villana, dall’altra Brigit, elegante, slanciata, madre saggia e comprensiva che
ama incondizionatamente il figlio. Due figure che, anche con il loro spessore
psicologico, non riescono ad eguagliare il personaggio di Christian, ma fungono
da espedienti scenici per innescare il processo di crescita interiore di
Christian (ma alla fine Christian si ritroverà in mano un pugno di mosche).
Lode agli sceneggiatori anche per i personaggi di contorno tratteggiati con
grazia infinita anche con due o tre battute e uno sguardo.
In definitiva questo Dreng
è un film di eloquenza infinita, prezioso nella sua delicatezza e nella sua
semplicità e che riesce a conservare quella caratteristica tanto rara in tutto
il cinema odierno: la dolcezza, la dolcezza che se non è assente e dunque si
risolve in crudeltà e cattiveria (più o meno) gratuita, è ipersatura al punto
da diventare parodia beffarda del sentimento o melensaggine odiosa come succede
nel cinema italiano da circa vent’anni. Di questi tempi non ho mai visto un
film tanto dolce che evitasse con tanta disinvoltura stereotipi, svenevolezze e
languori inutili per arrivare al genuino nucleo di una storia insieme
complicatissima come può essere la transizione da giovinezza a maturità e
insieme infinitamente semplice.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Sul tema del bildungsroman insolito, abbiamo il
singolare L.I.E. (2001) di Michael
Cuesta, il meraviglioso L’amante
(1992) di Jean-Jacques Annaud e, per la serie “ci sono adolescenze che si
innescano a cinquant’anni”, il grande classico del genere è American Beauty (1999) di Sam Mendes.
Altri must del genere sono About a Boy (2002)
di Chris e Paul Weitz, il supervintage Il
diavolo in corpo (1947) di Claude Autant-Lara e lo straniante e stranissimo
Afterschool (2008) di Antonio Campos
che ha avuto anche il merito di aver fatto debuttare sul grande schermo il
meraviglioso Ezra Miller, attore già da tempo assiso nel gotha dei miei cult personali.
Scena cult – Il finale. Non posso illustrarlo, ma racchiude
in cinque minuti quello che il film ha detto in un’intera ora e venti e lo
arricchisce approfondendo il significato e spingendo l’indagine psicologica
fino al fondo dell’animo dei personaggi.
Canzone cult – La maliarda I put a spell on you cantata da Xenia.
sembra interessante, anche se spero non sia troppo "realista" per i miei gusti :)
RispondiEliminaPotrebbe forse esserlo, peró te lo garantisco come un film davvero carino. Ed è anche profondo forse poco visionario ma davvero originale e delicato. Vero è che ora, dopo averlo visto, m'è venuta voglia di un film bello morbosetto, per rinfocolare lo spirito
RispondiEliminaCiao Offro prestiti (y)
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