Regia: Bertrand Bonello
Cast: Alice Barnole, Céline Sallette, Noémie Lvovsky, Hafsia
Herzi, Jasmine Trinca, Esther Garrel
Sceneggiatura: Bertrand Bonello
Trama (im)modesta – L’Apollonide è una prestigiosa maison close della Parigi di fine
secolo. Le donne dell’Apollonide sono dame raffinate e bellissime che paiono
tutte uscite da un sogno. La realtà della loro vita è ben diversa: la vita
della prostituta è crudele, azzannata da ogni parte dai debiti, schiacciata dal
peso di una lenona che a un tempo si ama e si odia, esposta a pericoli
inaspettati e priva di ogni scampo. Tra di loro c’è Madeleine, la
Donna-Che-Ride, prostituta sfregiata con un coltello alla maniera della Dalia
Nera; la bella Julie e la fiera Samira, la giovanissima Pauline e la tormentata
Clothilde. Tutte insieme affronteranno la fine del secolo e ciò che la
modernità porterà loro.
La mia (im)modesta opinione – Posso dire, senza peccare di
modestia, che L’Apollonide è uno dei film più belli che io abbia mai visto. La
pellicola esala tutto un pervasivo e ammorbante languore, una sensualità
decadente e crepuscolare, condita con quell'inedita nostalgia che si prova solo verso i sogni appena sognati e le epoche mai vissute. I quadri che il film dipinge sono tutti palpitanti di bagliori
sanguigni e oscuri, rimandano ad atmosfere e modi di pensare e di vedere ormai assai remoti sia nel tempo che nello spazio, sensazioni tattili e
olfattive oltre che visive e uditive e forniscono un claustrofobico ritratto di
una fin de siècle all’insegna della
sensualità, della prostrazione e di una mestizia strana, che sembra a volte avere il sapore del gioco e il profumo della Colonia.
Il film in sé non racconta nulla, non denuncia nulla, non
afferma nulla se non il decadimento compiuto dal sesso da eros raffinato e perverso a mera
fregola bestiale, da cuore a carne, insomma, e facendo ciò ci mostra una conturbante antologia di souvenirs de la maison close. L’excipit rivela tutto il
significato del film mostrandoci la Parigi di oggi (e dopo quasi due ore di
immersione nel mondo dell’ottocento la visione della modernità è qualcosa di
livido e crudelissimo) e le nuove prostitute, volgari e sciatte che battono
disperate su una strada pietrosa e calcinata. Nulla a che fare, insomma, con le
klimtiane sirene dell’Apollonide, con il loro raffinato champagne, le loro
arguzie salaci, il loro malinconico struggimento e la loro arte sapiente.
La vita delle prostitute è dipinta alla perfezione, non senza una certa compiaciuta maniera.
Non solo lussuriose e opulente cortigiane ma anche donne dannate, assediate
dagli incubi delle malattia, della gravidanza, dell’indigenza, della salute.
Ognuna di loro vive ogni attimo con l’asfissiante prospettiva del “debito” da
pagare alla giunonica Madame
Marie-France, donna che in sé confonde la madre e la negriera, i cui abbracci
fanno presto a tramutarsi in strangolamenti e l’amore in durezza. Pazienza,
tutti abbiamo un mutuo da pagare. E la Madame non ci riesce. L’Apollonide
chiude, dopo una commovente e dolcissima festa in maschera dove si partecipa
con accoramento alla paura che l’ombra nera del futuro incute e
sull’incrudimento dell’amore, che dalle case finisce a vagare per le strade, condannando le sue abitanti a vite miserabili e peregrine.
Travolgente, strabiliante, ipnotica e dolente è la Madeline
di Alice Bernole. Bellissima cortigiana tormentata da enigmatici sogni fatti di
bocche rosse, smeraldi verde speranza, maschere d’avorio e lacrime bianche.
Signora di delizie orribilmente sfigurata dalla follia di un uomo che credeva
di amare e ridotta a malata marionetta che si presta alle bizzarre perversioni
di aristocratici corrotti ed esteti amanti della deformità che ne fanno il centro di orge
raffinate e perverse. Una donna che, curiosamente, proprio per le orrende
cicatrici intagliate sul suo viso a formare una sorta di sprezzante sorriso,
non può più ridere; ridotta a sguattera dopo essere passata per le mani e le
lame affilate della fiducia riposta in un uomo (forse) amato.
La dame dell’Apollonide si prestano poi alle stravaganze più
bislacche: c’è chi esige prestazioni in una vasca piena di champagne, l’artista
che vuole solo guardare rapito in estasi i loro genitali (citazione a Courbet e
alla sua L’origine du monde?) , c’è
chi le vuole travestite da geisha, chi travestite da bambole (altra citazione al Casanova di Fellini), chi le desidera
legate. L’Apollonide è un mondo di sogno travolto e stritolato sotto le spire
immani del progresso e delle meschinità più drammatiche e quando tutte le sue
dame ballano insieme per l’ultima volta, tutte in lacrime, il lirismo tocca i
vertici più alti. Il regista non si risparmia nulla e mescola musica moderna
(pezzi pop anni ’60, blues) a musica classica (concerti di Mozart, arie della Carmen e de La Bohême).
È stato detto che L’Apollonide
sia un film senza narrazione, uno squallido, voyeuristico teatrino del
tutto vuoto. Forse è vero. Ma se L’Apollonide
è vuoto, è un prezioso, inestimabile vuoto a rendere. Un iperbolico esercizio
di stile dove si scontra la commedia, il ritratto umano, la tragedia, la
letteratura, la veglia funebre, la disperazione umana, la maternità, la colpa,
la nostalgia. Il film non narra nulla? E sia. Ma molti dei quadri più famosi
del mondo non raccontano mai nulla, non insegnano mai nulla: mettono in scena
una bellezza astrale e fiammante, cupa e adamantina, perfettamente
cristallizzata e assolutamente fragile. Non considero L’Apollonide un film, ma
una sensazione, una poesia, una rêverie grottesca,
esotica e sensuale.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Il mondo delle prostitute
sospeso fra mistero e crudeltà è stato dipinto alla perfezione dall’ipnotico e
disturbante Sleeping Beauty (2011) di
Julia Leigh. Altri film che ballano sulla sottile linea che corre fra segrete voluttà e dramma umano sono
l’acerbo Harem Suare (1999) di Ferzan
Ozpetek e il più maturo e fantasmatico Exotica
(1995) di Atom Egoyan, vero e proprio "acquario esotico dove nuotano i fantasmi dei più perversi desideri maschili". Altro dramma in costume e di
costume è lo strabiliante e dolentissimo Venus
Noire (2010) di Abdel Kechiche. E ultimo della lista è l’affollato e
fremente Go Go Tales (2007) di Abel
Ferrara.
Scena cult – Moltissime sono
le scene notevoli in questo film. Qui segnaliamo l’allucinatissima e
inquietante scena della bambola, dove una prostituta finge di essere un
impassibile automa, la scena del ballo delle prostitute alla chiusura della
casa di piacere e l’orgia a cui partecipa Madeline, esplosione dorata e nera di
frigida eleganza e deliquescente depravazione.
Canzone cult – Tre canzoni:
lo scatenato blues dei titoli di testa The Right to Love You di The Mighty Cannibal, la triste e patinata Nights in White Satin dei The Moody Blues
e la Bad Girl di Lee Moses.
addirittura uno dei film più belli che tu abbia mai visto?
RispondiEliminaparole importanti... :)
vedrò di recuperarlo
Guarda, guarda pure. Questo film è qualcosa di assolutamente spettacolare. So che ti piacerà.
RispondiEliminaToh!
RispondiElimina(Sottotitolo:
RispondiEliminaGuarda un po' risalendo le mollichelle chi si vede...)
Un saluto!
Ricambio al saluto. Sono contento che ti sia ritrovato anche tu in questa mia umile paginetta. Spero che sia di tuo gusto!
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