mercoledì 16 maggio 2012

L’APOLLONIDE (2011), Bertrand Bonello


Francia, 2011
Regia: Bertrand Bonello
Cast: Alice Barnole, Céline Sallette, Noémie Lvovsky, Hafsia Herzi, Jasmine Trinca, Esther Garrel
Sceneggiatura: Bertrand Bonello


Trama (im)modesta – L’Apollonide è una prestigiosa maison close della Parigi di fine secolo. Le donne dell’Apollonide sono dame raffinate e bellissime che paiono tutte uscite da un sogno. La realtà della loro vita è ben diversa: la vita della prostituta è crudele, azzannata da ogni parte dai debiti, schiacciata dal peso di una lenona che a un tempo si ama e si odia, esposta a pericoli inaspettati e priva di ogni scampo. Tra di loro c’è Madeleine, la Donna-Che-Ride, prostituta sfregiata con un coltello alla maniera della Dalia Nera; la bella Julie e la fiera Samira, la giovanissima Pauline e la tormentata Clothilde. Tutte insieme affronteranno la fine del secolo e ciò che la modernità porterà loro.


La mia (im)modesta opinione – Posso dire, senza peccare di modestia, che L’Apollonide è uno dei film più belli che io abbia mai visto. La pellicola esala tutto un pervasivo e ammorbante languore, una sensualità decadente e crepuscolare, condita con quell'inedita nostalgia che si prova solo verso i sogni appena sognati e le epoche mai vissute. I quadri che il film dipinge sono tutti palpitanti di bagliori sanguigni e oscuri, rimandano ad atmosfere e modi di pensare e di vedere ormai assai remoti sia nel tempo che nello spazio, sensazioni tattili e olfattive oltre che visive e uditive e forniscono un claustrofobico ritratto di una fin de siècle all’insegna della sensualità, della prostrazione e di una mestizia strana, che sembra a volte avere il sapore del gioco e il profumo della Colonia.


Il film in sé non racconta nulla, non denuncia nulla, non afferma nulla se non il decadimento compiuto dal sesso da eros raffinato e perverso a mera fregola bestiale, da cuore a carne, insomma, e facendo ciò ci mostra una conturbante antologia di souvenirs de la maison close. L’excipit rivela tutto il significato del film mostrandoci la Parigi di oggi (e dopo quasi due ore di immersione nel mondo dell’ottocento la visione della modernità è qualcosa di livido e crudelissimo) e le nuove prostitute, volgari e sciatte che battono disperate su una strada pietrosa e calcinata. Nulla a che fare, insomma, con le klimtiane sirene dell’Apollonide, con il loro raffinato champagne, le loro arguzie salaci, il loro malinconico struggimento e la loro arte sapiente.


La vita delle prostitute è dipinta alla perfezione, non senza una certa compiaciuta maniera. Non solo lussuriose e opulente cortigiane ma anche donne dannate, assediate dagli incubi delle malattia, della gravidanza, dell’indigenza, della salute. Ognuna di loro vive ogni attimo con l’asfissiante prospettiva del “debito” da pagare alla giunonica Madame Marie-France, donna che in sé confonde la madre e la negriera, i cui abbracci fanno presto a tramutarsi in strangolamenti e l’amore in durezza. Pazienza, tutti abbiamo un mutuo da pagare. E la Madame non ci riesce. L’Apollonide chiude, dopo una commovente e dolcissima festa in maschera dove si partecipa con accoramento alla paura che l’ombra nera del futuro incute e sull’incrudimento dell’amore, che dalle case finisce a vagare per le strade, condannando le sue abitanti a vite miserabili e peregrine.


Travolgente, strabiliante, ipnotica e dolente è la Madeline di Alice Bernole. Bellissima cortigiana tormentata da enigmatici sogni fatti di bocche rosse, smeraldi verde speranza, maschere d’avorio e lacrime bianche. Signora di delizie orribilmente sfigurata dalla follia di un uomo che credeva di amare e ridotta a malata marionetta che si presta alle bizzarre perversioni di aristocratici corrotti ed esteti amanti della deformità che ne fanno il centro di orge raffinate e perverse. Una donna che, curiosamente, proprio per le orrende cicatrici intagliate sul suo viso a formare una sorta di sprezzante sorriso, non può più ridere; ridotta a sguattera dopo essere passata per le mani e le lame affilate della fiducia riposta in un uomo (forse) amato.


La dame dell’Apollonide si prestano poi alle stravaganze più bislacche: c’è chi esige prestazioni in una vasca piena di champagne, l’artista che vuole solo guardare rapito in estasi i loro genitali (citazione a Courbet e alla sua L’origine du monde?) , c’è chi le vuole travestite da geisha, chi travestite da bambole (altra citazione al Casanova di Fellini), chi le desidera legate. L’Apollonide è un mondo di sogno travolto e stritolato sotto le spire immani del progresso e delle meschinità più drammatiche e quando tutte le sue dame ballano insieme per l’ultima volta, tutte in lacrime, il lirismo tocca i vertici più alti. Il regista non si risparmia nulla e mescola musica moderna (pezzi pop anni ’60, blues) a musica classica (concerti di Mozart, arie della Carmen e de La Bohême).


È stato detto che L’Apollonide sia un film senza narrazione, uno squallido, voyeuristico teatrino del tutto vuoto. Forse è vero. Ma se L’Apollonide è vuoto, è un prezioso, inestimabile vuoto a rendere. Un iperbolico esercizio di stile dove si scontra la commedia, il ritratto umano, la tragedia, la letteratura, la veglia funebre, la disperazione umana, la maternità, la colpa, la nostalgia. Il film non narra nulla? E sia. Ma molti dei quadri più famosi del mondo non raccontano mai nulla, non insegnano mai nulla: mettono in scena una bellezza astrale e fiammante, cupa e adamantina, perfettamente cristallizzata e assolutamente fragile. Non considero L’Apollonide un film, ma una sensazione, una poesia, una rêverie grottesca, esotica e sensuale.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Il mondo delle prostitute sospeso fra mistero e crudeltà è stato dipinto alla perfezione dall’ipnotico e disturbante Sleeping Beauty (2011) di Julia Leigh. Altri film che ballano sulla sottile linea che corre fra segrete voluttà e dramma umano sono l’acerbo Harem Suare (1999) di Ferzan Ozpetek e il più maturo e fantasmatico Exotica (1995) di Atom Egoyan, vero e proprio "acquario esotico dove nuotano i fantasmi dei più perversi desideri maschili". Altro dramma in costume e di costume è lo strabiliante e dolentissimo Venus Noire (2010) di Abdel Kechiche. E ultimo della lista è l’affollato e fremente Go Go Tales (2007) di Abel Ferrara.


Scena cult – Moltissime sono le scene notevoli in questo film. Qui segnaliamo l’allucinatissima e inquietante scena della bambola, dove una prostituta finge di essere un impassibile automa, la scena del ballo delle prostitute alla chiusura della casa di piacere e l’orgia a cui partecipa Madeline, esplosione dorata e nera di frigida eleganza e deliquescente depravazione.

Canzone cult – Tre canzoni: lo scatenato blues dei titoli di testa The Right to Love You di The Mighty Cannibal, la triste e patinata Nights in White Satin dei The Moody Blues e la Bad Girl di Lee Moses.

5 commenti:

  1. addirittura uno dei film più belli che tu abbia mai visto?

    parole importanti... :)
    vedrò di recuperarlo

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  2. Guarda, guarda pure. Questo film è qualcosa di assolutamente spettacolare. So che ti piacerà.

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  3. (Sottotitolo:
    Guarda un po' risalendo le mollichelle chi si vede...)

    Un saluto!

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  4. Ricambio al saluto. Sono contento che ti sia ritrovato anche tu in questa mia umile paginetta. Spero che sia di tuo gusto!

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