sabato 1 dicembre 2012

LAURENCE ANYWAYS (2012), Xavier Dolan


Canada, 2012
Regia: Xavier Dolan
Cast: Melvil Poupaud, Suzanne Clément, Nathalie Baye, Monia Chokri, Magalie Lépine-Blondeau
Sceneggiatura: Xavier Dolan


Trama (im)modesta – 1989. Laurence Alia e Frederique “Fred” Delair sono una coppia giovane e felice. Tutto sembra andare per il meglio fino a quando, al volgere del trentacinquesimo anno di lui, Laurence confessa il suo desiderio più profondo: diventare una donna. Dopo l’iniziale shock, Fred decide di adattarsi alla scelta di Laurence e di rispettarla e supportarla, forte dell’amore che prova per lui. Ma Fred ama l’uomo Laurence e non è pronta a innamorarsi di una donna. Desiderosa di una vita e di una famiglia normali, i due si lasceranno per rincontrarsi anni dopo e poi ancora un’ultima volta. Ma il loro è un amore impossibile.


La mia (im)modesta opinione – Inizio con uno sfogo. Scrivere la recensione di questo film – un film che aspetto di vedere, in trepida attesa, da mesi e mesi – è un compito arduo ma particolarmente piacevole. Per chi, come me, si era invaghito del Dolan enfant prodige di J’ai tué ma Mére e s’era innamorato del Dolan giovanile e appassionato del folgorante Les Amours Imaginaries, questo terzo punto d’arrivo della carriera del virtuoso cineasta canadese era lo svelamento d’una lotteria d’amore, il verdetto (e la speranza di questo) che avrebbe stabilito se dopo un film promettente ma traballante e uno indimenticabile, il talento di Dolan sarebbe stato confermato o confutato. Ed è lo stesso regista/autore a ribaltare le carte in tavola: non confermare, non confutare ma sorprendere e sfuggire con un film mastodontico e inafferrabile, senza rispondere al nostro interrogativo.


La prima cosa che si nota di Laurence Anyways è la lunghezza. Due ore e quarantotto minuti sono tanti, tantissimi. Lo sforzo di Dolan è erculeo ma anche se il peso della sfida filmica viene raccolto e lanciato a una rimarchevole distanza, si sente, dopo, non tanto una lussatura quanto un indolenzimento. La pellicola di questo jeune dorée del cinema internazionale è una (fortunata) vittoria di Pirro: da un lato gloriosa, dall’altro debilitante; da un lato sublime, dall’altro esasperante. Mi spiego meglio: se Dolan non avesse avuto a sostegno il suo immenso talento visivo, la sua evidente ipercultura cinematografica e un cast di attori di superlativa bravura, il film sarebbe stato un fiasco. Laurence Anyways è stato una scommessa rischiosa vinta senza troppa eleganza. Ma, si noti, con il termine eleganza non mi riferisco alla cinematografia (che è stupenda e di cui dirò fra poco) ma alla mancanza di quello che uno specialista chiamerebbe sprezzatura.


Detto questo, parliamo del film. Laurence Anyways è, senza dubbio, uno dei film dell’anno. Non importa che i critici lo stronchino o esaltino; è un film affatto perfetto, certamente, ma di una bellezza, potenza e complessità tanto esaltanti da farlo entrare nella mia rassegna dei film degni di onori regali e divini. Lasciatosi alle spalle l’agile e disinvolto essenzialismo di Les Amours Imaginaires (un film così leggero e così perfetto), Dolan opta adesso per enormità e robustezza, senza per questo rinunciare al sublime e al “bello per forza” che tanto gli sono cari. Anzi, chi ha visto e rivisto (e amato) gli Amours, non potrà che ritrovare luoghi familiari del vecchio film nel nuovo. La madre comprensiva e sopra le righe, il finale ironico (sebbene qui l’ironia sia sempre amarissima), la scena del risveglio solitario che rivela l’abbandono, il tè riconciliatore, le zollette di zucchero bianco o scuro ordinate a scacchiera.


Altra strada su cui Dolan s’incammina è quella della complessità tematica: Laurence Anyways non è il solito film sulla transessualità, né il solito melò di amori impossibili. Come già sottolineato negli Amours, l’integrazione dell’individuo nella società è un problema ormai obsoleto e superato (e qui il dettaglio dello stigma sociale è presente ma ben presto dimenticato), la problematica seria è l’integrazione dell’amore all’interno di un mondo sempre più metamorfo e caotico, dove dubbi e certezze ci franano sotto i piedi e i punti fermi hanno cessato di esistere. Essenziale qui è il personaggio di Fred che accetta la scelta di Laurence ma non può risolversi ad amarlo in quanto donna. Il desiderio che Fred prova è quello per la normalità – una normalità che non è consolante bacchettoneria ma lucida consapevolezza dell’esistenza di un mondo in cui per forza di cose bisogna vivere e con cui è necessario relazionarsi. La scelta di Laurence è dunque coraggiosa e rispettata ma finisce per risolversi in un’esclusione dal mondo reale e la scelta di un paese delle meraviglie consolante ma, alla fin fine, grottesco e paradossale.


E se Laurence è l’effettivo fulcro della vicenda, è il personaggio di Fred a essere l’esatto protagonista di questa tragedia amorosa. È per Fred che il dilemma nasce e sussiste, mentre Laurence prende e segue le proprie risoluzioni senza troppo pensare alle loro ricadute. Laurence Anyways è un film spiazzante proprio per questo: mescolare in modo indefinibile tutte le carte sul tavolo, ricucire un nodo di Gordio che solo con una spada non è facile spezzare. E l’amore fra Fred e Laurence è proprio così: un amore epico, melodrammatico, vissuto fra la luce di una passione tormentosa e l’ombra di una felicità sempre minacciata e zoppicante. A detta dello stesso autore/regista un amore impossibile, insolubile ed è proprio il finale del film a riportarci con mesta malizia all’inizio di tutto quanto. Non che Dolan non sia di parte, anzi. È Laurence il personaggio che, alla fin fine, dovrebbe aver ragione, è lui quel “Laurence in ogni caso” del titolo. Ma attaccato com’è al mondo della forma, forse nemmeno Dolan, come anche Fred, sarebbe capace di barattarla con la sostanza.


Ma al di là del nucleo tematico, che richiederebbe multiple visioni del film e un simposio di pazienti cinefili che decodificasse e sbrogliasse tutti i nodi, parliamo del lato stilistico e formale, vera cifra definitiva del Dolan regista. Diciamo solo che, se volessimo prendere alcune inquadrature di questo film e farne quadri, diventeremmo i galleristi più ricchi del mondo. Dolan è cresciuto, è diventato praticamente un maestro, ha letto e accresciuto la sua conoscenza del mondo del cinema. La bizzarra famigliola delle cinque Rose pare sbucata fuori da un film di Fellini, la presenza di Almodòvar si fa sempre più forte e capillare, i giochi di colore sono sempre più sapienti, le musiche sempre più azzeccate, ma non c’è rosa senza spine. Questa ipertensione dello stile rende Laurence Anyways un film elefantiaco, reso goffo, a tratti, da un’acromegalia e un gigantismo estetici a tratti aberranti: la stupenda/tremenda scena del ballo è spettacolare e bellissima ma finisce per somigliare a una pubblicità di profumi; la sequenza della cascata nel salotto e quella della pioggia di vestiti sono spettacolari e brillanti, ma puzzano di affettazione; come anche la casa delle cinque Rose: splendida ma indubbiamente pataccosa.


Sulla musica non sto manco a parlare: di nuovo un mix potentissimo di classica, pop (c’è anche Celine Dion, per l’amor del cielo!), elettronica, techno. Parliamo invece dello stupendo cast che riserva posticini al sole per la protagonista del precedente film, la sempre maliosa Monia Chokri, relegata qui a un ruolo alquanto accessorio, e due delle “intervistate” negli interludi che separavano le diverse parti degli Amours. Melvil Poupaud e Suzanne Clément sono semplicemente titanici. Specialmente quest’ultima sarebbe ben degna di un premio Oscar, essendo già stata insignita a Cannes come migliore attrice nella sezione Un Certain Regard. Poupaud, invece, è anche lui grandissimo ma la potenza della sua performance sta nell'essersi sottoposto a un'enorme metamorfosi come raramente se ne vedono, uno sforzo degno certamente di grandi premi e riconoscimenti. Nathalie Baye ha anche lei un ruolo bello ma fondamentalmente inutile, ma ci dimostra che a sessantaquattro anni suonati si può ancora essere eleganti e grintosissimi.


Un giudizio complessivo sulla pellicola? Magnifica, eccezionale, favolosa, ma la prossima volta è meglio che Dolan scelga di non strafare, di contenersi almeno un po’ ed evitare una logorrea estetica che esalta ma stanca. E sebbene sia come quelle acque di colonia troppo forti, che trasforma il profumo in nausea, il film va visto, senza eccezione alcuna. Va possibilmente fatto decantare per un paio di mesi e poi visto ancora, giusto per affondare meglio le mani nel significato e nella complicanza di temi trattati e sapientemente orditi. L’unico peccato però, come ho già detto, è la mole spaventosa dell'opera, il suo giustificato ma alla lunga insopportabile autocompiacimento. Dolan non ci delude mai e già sappiamo, fra le altre cose, titolo e argomento del suo prossimo progetto: Tom à la ferme, storia tratta da una pièce di Michel Marc Bouchard, su un uomo in lutto che scopre che la famiglia del suo defunto compagno non sapeva del suo orientamento sessuale. Il film promette benissimo, annoverando nel cast il promettentissimo Caleb Landry Jones e lo stesso Dolan, che torna a calcare la scena nel ruolo d’attore.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Ovviamente il grandissimo Les Amours Imaginaires (2010) di Xavier Dolan, accompagnato dal poetico A Single Man (2009) di Tom Ford. Per interessanti film sul travestitismo abbiamo Morrer Como Um Homem (2009) di João Pedro Rodrigues, il toccante Transamerica (2005) di Duncan Tucker, il dopo tutto conturbante La pelle che abito (2011) di Pedro Almòdovar, il bel Tomboy (2011) di Céline Sciamma, il semplice ma potente XXY (2007) di Lucìa Puenzo e il più a cuor leggero Priscilla, la Regina del Deserto (1994) di Stephan Elliott.


Scena cult – Fra le migliaia e migliaia, seleziono quella che più facilmente s’imporrà nella mente di ogni spettatore: il ballo in maschera (?) in cui, se ben si nota, lo stesso Dolan si concede un gustosissimo cameo.

Canzone cult – Oltre alla molto anni ’80 We Fade to Grey dei Visage, abbiamo mescolati la Danza dei Cavalieri di Prokofiev, l’algida If I Had a Heart  dei Fever Ray e la QuintaSinfonia di Beethoven. È possibile recuperare l’intera soundtrack a questo link.

3 commenti:

  1. molto bene!
    io sto aspettando i sottotitoli italiani per gustarmelo al meglio. se non arrivano a breve, mi accontenterò di quelli inglesi (ma al momento non ho trovato nemmeno quelli...)

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    1. In inglese li trovi tranquillamente, però forse in italiano sono migliori. In ogni caso il film è stupendo, sebbene sia un discreto mattonazzo! Dolan è senza dubbio il regista migliore della sua generazione.

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