giovedì 31 maggio 2012

TRIANGLE (2009), Christopher Smith


Regno Unito, Australia, 2009
Regia: Christopher Smith
Cast: Melissa George, Liam Hemsworth, Rachael Carpani, Michael Dorman, Joshua McIvor
Sceneggiatura: Christopher Smith


Trama (im)modesta – Jess (George) è la giovane madre di un figlio autistico. Una mattina, decide di unirsi ad alcuni suoi amici per una gita in barca a vela. Mentre il gruppo sta navigando, il vento cessa e si vede arrivare una tempesta all’orizzonte. La tempesta si avvicina velocemente e travolge la barca, capovolgendola. Passata la tempesta, i naufraghi vedono avvicinarsi una grande nave da crociera e riescono a salire a bordo. È una nave fantasma degli anni ’30. Completamente vuota eppure perfettamente funzionante, che naviga all’infinto senza punti di riferimento alcuni. All’improvviso entra in scena un assassino mascherato che uccide tutti quanti tranne Jess e, prima di suicidarsi, le annuncia che tutto tornerà come prima. È l’inizio di un incubo.


La mia (im)modesta opinione – Vedendo questo film mi sono venuti alla mente, simultaneamente, La Ballata del Vecchio Marinaio del Coleridge e Il pianeta delle scimmie, grande titolone della fantascienza vintage, classe ’68. Triangle è un film che mescola orrore, sci-fi claustrofobica (Alien e Sunshine vi dicono qualcosa?), situazioni kafkiane e trappole mentali e le strizza alla perfezione in un’ora e quaranta di pellicola che più che essere cinema è dinamite. Va detto, all’inizio non comprendiamo tante cose, tanti piccoli dettagli ma poi, con lo svolgersi del film, vediamo il puzzle ricomporsi e la storia dipanarsi in tutta la sua sconvolgente originalità e, va ammesso, ci ritroviamo a sentirci degli stupidi, dei bambini nelle mani del regista/sceneggiatore che ci rigira come vuole, come se fossimo burattini impotenti e incapaci.


La trovata che sta alla base del film, quella del time loop, è un trucchetto che i prestigiatori della fantascienza d’autore tirano raramente fuori dal cilindro e quando lo fanno si ottengono quasi sempre dei gran bei risultati (vedi Source Code, The Butterfly Effect o Donnie Darko). Giocare con i piani temporali è qualcosa di più che difficile e serve grande abilità non solo per tenere insieme il castello di carte che si viene a creare ma anche per produrre quel preciso effetto di straniamento e confusione che deriva dal confondersi e sovrapporsi dei piani temporali. In Triangle il tempo è così: si frazione, si perde nelle infinite mises en abîme, finisce avviluppato e contorto eppure, alla fine,  la visione d’insieme è spiazzante, potentissima, una sorta di epifania funesta che, va detto, riusciamo a cogliere con un certo anticipo.


La sceneggiatura di Smith tocca vertici di astuzia e acutezza da fare quasi male con la sua bellezza. Il ragionamento è aguzzo, intossicante. Questo film è una sorta di gabbia mentale, una scatola cinese intellettuale. Ambientare la storia su una spettrale nave da crociera, poi, è qualcosa di brillante. Chi mai, vedendo quei corridoi tanto uguali e speculari da far perdere la testa , non ha immaginato di essere in un non-luogo, in un dedalo senza uscita dove ogni angolo è uguale all’altro? E la nave è proprio labirintica, claustrofobica, isolata come la storia che mette in scena. Insomma, un palcoscenico perfetto. Ma Smith è più bravo di così: non solo è la nave a causare inquietudine ma anche le villette a schiera e i prati bagnati dagli irrigatori automatici. Tutto riproduce quella primordiale paura che si ha quando si crede per un attimo di non poter scappare dall’incubo che si sta sognando e quell’inquietudine che ci coglie appena svegli di stare vivendo quell’incubo.


Gli attori sono tutti perfettamente in grado di gestire le loro così travagliate parti. Si parte da Rachel “non so se è bella ma a me piace” Carpani, che è la dimostrazione che non ci sono piccole parti ma solo piccoli attori (diciamocelo, fa solo la scream queen, eppure è bravissima a farlo), al migliore degli odiosi fratelli Hemsworth, Liam (N.d.A. Ma cosa gli danno da mangiare a questi fratelli Hemsworth?), che riesce a distaccarsi dalla figurina di pennellone muscoloso della situazione. Ma la migliore è la stupenda Melissa George, capace di dare alla sua parte una fisicità potentissima e di esplorare tutte le ramificazioni più capillari e ritorte della psiche umana.


Anche la regia di Smith è superba (stupendo il riecheggiare il mito greco di Sisifo, l'uomo che cercò di ingannare la morte e fu condannato a ripetere all'infinito la stessa, faticosissima azione) e non pecco di intellettualismo facile se dico che ho visto quasi dei parallelismi con l’altra opera di Smith, il deludente Black Death, film originalissimo ma che si sprecava in risvolti melodrammatici abbastanza scadenti. In entrambe le opere c’è il desiderio di rigirare la frittata e lasciare a bocca aperta, entrambe le opere finiscono come ad anello, con colpi di coda magistrali e solfurei. Insomma, Triangle mi ha fatto profondamente rivalutare Smith e le sue capacità di regista: recupererò di sicuro il suo Creep e anche il già visto Severance. A questo punto, non posso certo perdermeli.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Ho già citato le pietre miliari della spirale temporale: Donnie Darko (2001) di Richard Kelly, 1408 (2007) di Mikael Håfström, Source Code (2011) di Duncan Jones e l’angoscioso The Butterfly Effect (2004) di Eric Bress e J. Mackye Gruber. Ma ll grande classico del cinema che suggeriva vagamente il tema della ciclicità del tempo era Shining (1980) di Stanley Kubrick. L’intrappolamento mentale è presente anche nello stupendo Inception (2010) di Christopher Nolan e negli altri grandi lavori di questo regista ovvero The Prestige (2006) e Memento (2000). Horror simili a Triangle sono il luciferino The Cube (1997) di Vincenzo Natali e il geniale Identità (2003) di James Mangold.


Scena cult – La spiazzante moltiplicazione dei cadaveri sul ponte della nave, invaso da una cinquantina di corpi della stessa persona.

Canzone cult – Non pervenuta.

3 commenti:

  1. Ricordo che non mi aveva fatto impazzire, nonostante se ne parlasse benissimo.
    Alcune scene efficaci, ma nel complesso non clamoroso.

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  2. Io invece ci sono rimasto secco. È intricatissimo, complicato peró orchestrato con logica. È vero, non è clamoroso né entrerà nei miei cult personali, peró mi ha giocato per la sua ora e quaranta.

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  3. ogni occasione è buona per ford per ricordarci quanto poco ne capisca di cinema ahahaha! non ne abbiamo più bisogno, ford! :D

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