Regno Unito, Australia, 2009
Regia: Christopher Smith
Cast: Melissa George, Liam Hemsworth, Rachael Carpani,
Michael Dorman, Joshua McIvor
Sceneggiatura: Christopher Smith
Trama (im)modesta – Jess (George) è la giovane madre di un
figlio autistico. Una mattina, decide di unirsi ad alcuni suoi amici per una
gita in barca a vela. Mentre il gruppo sta navigando, il vento cessa e si vede
arrivare una tempesta all’orizzonte. La tempesta si avvicina velocemente e
travolge la barca, capovolgendola. Passata la tempesta, i naufraghi vedono
avvicinarsi una grande nave da crociera e riescono a salire a bordo. È una nave
fantasma degli anni ’30. Completamente vuota eppure perfettamente funzionante,
che naviga all’infinto senza punti di riferimento alcuni. All’improvviso entra
in scena un assassino mascherato che uccide tutti quanti tranne Jess e, prima
di suicidarsi, le annuncia che tutto tornerà come prima. È l’inizio di un
incubo.
La mia (im)modesta opinione – Vedendo questo film mi sono
venuti alla mente, simultaneamente, La
Ballata del Vecchio Marinaio del Coleridge e Il pianeta delle scimmie, grande titolone della fantascienza
vintage, classe ’68. Triangle è un
film che mescola orrore, sci-fi claustrofobica (Alien e Sunshine vi dicono
qualcosa?), situazioni kafkiane e trappole mentali e le strizza alla perfezione
in un’ora e quaranta di pellicola che più che essere cinema è dinamite. Va
detto, all’inizio non comprendiamo tante cose, tanti piccoli dettagli ma poi,
con lo svolgersi del film, vediamo il puzzle ricomporsi e la storia dipanarsi
in tutta la sua sconvolgente originalità e, va ammesso, ci ritroviamo a
sentirci degli stupidi, dei bambini nelle mani del regista/sceneggiatore che ci
rigira come vuole, come se fossimo burattini impotenti e incapaci.
La trovata che sta alla base del film, quella del time loop, è un trucchetto che i
prestigiatori della fantascienza d’autore tirano raramente fuori dal cilindro e
quando lo fanno si ottengono quasi sempre dei gran bei risultati (vedi Source Code, The Butterfly Effect o Donnie
Darko). Giocare con i piani temporali è qualcosa di più che difficile e
serve grande abilità non solo per tenere insieme il castello di carte che si
viene a creare ma anche per produrre quel preciso effetto di straniamento e
confusione che deriva dal confondersi e sovrapporsi dei piani temporali. In
Triangle il tempo è così: si frazione, si perde nelle infinite mises en abîme, finisce avviluppato e
contorto eppure, alla fine, la visione d’insieme è spiazzante, potentissima,
una sorta di epifania funesta che, va detto, riusciamo a cogliere con un certo
anticipo.
La sceneggiatura di Smith tocca vertici di astuzia e
acutezza da fare quasi male con la sua bellezza. Il ragionamento è aguzzo,
intossicante. Questo film è una sorta di gabbia mentale, una scatola cinese
intellettuale. Ambientare la storia su una spettrale nave da crociera, poi, è
qualcosa di brillante. Chi mai, vedendo quei corridoi tanto uguali e speculari
da far perdere la testa , non ha immaginato di essere in un non-luogo, in un
dedalo senza uscita dove ogni angolo è uguale all’altro? E la nave è proprio
labirintica, claustrofobica, isolata come la storia che mette in scena.
Insomma, un palcoscenico perfetto. Ma Smith è più bravo di così: non solo è la
nave a causare inquietudine ma anche le villette a schiera e i prati bagnati
dagli irrigatori automatici. Tutto riproduce quella primordiale paura che si ha
quando si crede per un attimo di non poter scappare dall’incubo che si sta
sognando e quell’inquietudine che ci coglie appena svegli di stare vivendo
quell’incubo.
Gli attori sono tutti perfettamente in grado di gestire le
loro così travagliate parti. Si parte da Rachel “non so se è bella ma a me
piace” Carpani, che è la dimostrazione che non ci sono piccole parti ma solo
piccoli attori (diciamocelo, fa solo la scream
queen, eppure è bravissima a farlo), al migliore degli odiosi fratelli
Hemsworth, Liam (N.d.A. Ma cosa gli danno da mangiare a questi fratelli
Hemsworth?), che riesce a distaccarsi dalla figurina di pennellone muscoloso
della situazione. Ma la migliore è la stupenda Melissa George, capace di dare
alla sua parte una fisicità potentissima e di esplorare tutte le ramificazioni
più capillari e ritorte della psiche umana.
Anche la regia di Smith è superba (stupendo il riecheggiare il mito greco di Sisifo, l'uomo che cercò di ingannare la morte e fu condannato a ripetere all'infinito la stessa, faticosissima azione) e non pecco di
intellettualismo facile se dico che ho visto quasi dei parallelismi con l’altra
opera di Smith, il deludente Black Death,
film originalissimo ma che si sprecava in risvolti melodrammatici abbastanza
scadenti. In entrambe le opere c’è il desiderio di rigirare la frittata e
lasciare a bocca aperta, entrambe le opere finiscono come ad anello, con colpi
di coda magistrali e solfurei. Insomma, Triangle
mi ha fatto profondamente rivalutare Smith e le sue capacità di regista:
recupererò di sicuro il suo Creep e
anche il già visto Severance. A
questo punto, non posso certo perdermeli.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Ho già citato le pietre
miliari della spirale temporale: Donnie
Darko (2001) di Richard Kelly, 1408
(2007) di Mikael Håfström, Source Code
(2011) di Duncan Jones e l’angoscioso The
Butterfly Effect (2004) di Eric Bress e J. Mackye Gruber. Ma ll grande
classico del cinema che suggeriva vagamente il tema della ciclicità del tempo
era Shining (1980) di Stanley
Kubrick. L’intrappolamento mentale è presente anche nello stupendo Inception (2010) di Christopher Nolan e
negli altri grandi lavori di questo regista ovvero The Prestige (2006) e Memento
(2000). Horror simili a Triangle sono
il luciferino The Cube (1997) di
Vincenzo Natali e il geniale Identità
(2003) di James Mangold.
Scena cult – La spiazzante moltiplicazione dei cadaveri sul
ponte della nave, invaso da una cinquantina di corpi della stessa persona.
Canzone cult – Non pervenuta.
Ricordo che non mi aveva fatto impazzire, nonostante se ne parlasse benissimo.
RispondiEliminaAlcune scene efficaci, ma nel complesso non clamoroso.
Io invece ci sono rimasto secco. È intricatissimo, complicato peró orchestrato con logica. È vero, non è clamoroso né entrerà nei miei cult personali, peró mi ha giocato per la sua ora e quaranta.
RispondiEliminaogni occasione è buona per ford per ricordarci quanto poco ne capisca di cinema ahahaha! non ne abbiamo più bisogno, ford! :D
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