domenica 29 aprile 2012

HUSK (2011), Brett Simmons


USA, 2011
Regia: Brett Simmons
Cast: Devon Graye, Wes Chatam, C.J. Thomason, Tammin Sursok, Ben Easter
Sceneggiatura: Brett Simmons


Trama (im)modesta – Cinque amici si stanno dirigendo verso una casa al lago per passare un week-end a base di relax e divertimento. Mentre attraversano una solitaria zona di campagna, uno stormo di corvi si schianta contro il parabrezza della loro macchina, facendoli uscire fuori strada. Quando torneranno lucidi, dopo lo shock dell’incidente, si renderanno conto che uno di loro è scomparso. Due di loro vanno a cercarlo nel vicino campo di granturco, notando le tracce di un passaggio recente, ma quello che scopriranno andrà ben oltre le loro aspettative.


La mia (im)modesta opinione – Che cosa mi ha attizzato di più in Husk? Non lo saprei dire. In fondo è il classico horror a base di un gruppo di giovani che in vacanza in una località sperduta finisce nelle mani di un’entità crudele e malevola. Però Simmons riesce a coinvolgere lo spettatore mescolando una trama (più o meno) ben congegnata, affidata a un gruppo di attori che non sono il trito defilé di modelli e modelle che si dirigono al mattatoio ma sono anzi un gruppetto eterogeneo e “alternativo”. Che poi i protagonisti dei film dell’orrore siano fondamentalmente creature di stupidità congenita e ottusità inveterata, è fatto risaputo. Dunque Husk procede tra originalità e sciatterie a formare un horror tutto sommato avvincente e guardabile.


La principale originalità di Husk sta nel suo sviluppo. Ogni horror che si rispetti, infatti, può essere suddiviso in tre parti: c’è una presentazione in cui vediamo la situazione di partenza, solitamente normale e realistica; segue la svolta imprevista che ci sorprende con le apparenze di soprannaturale e orrifico e infine abbiamo lo scioglimento in cui uno o più protagonisti soccombono o fanno soccombere il “cattivo”. Ora, in base all’alchimia reciproca di queste parti, si caratterizza la qualità di un horror: se la presentazione è notevolmente sviluppata di solito c’è un maggiore approfondimento di temi e psicologie, se è sviluppata la svolta orrifica si hanno spesso horror mediocri che tendono a terrorizzare con i trucchetti sporchi in stile “pupazzo a molla” (ovvero qualcosa di non spaventoso ma che con il suo arrivo improvviso spiazza lo spettatore).


Un’altra categoria di horror, di solito gli indie horror, presentano la parte dello scioglimento più sviluppata. Sviluppare lo scioglimento di un horror è cosa difficile perché una volta che il trucco è stato rivelato il film dell’orrore deve volare sulle sue ali e non su quelle della paura dello spettatore. A questo punto possiamo dire che Husk sbatte le ali per un poco poi cade a terra, ma non troppo malamente. Lo scioglimento del film, dopo la scoperta del mistero, è frenetico, inquietante e alla paura si mescola l’adrenalina. Che poi il finale sia piuttosto velenoso è cosa gradita ma un po’ troppo abusata. Ma in ogni caso glielo perdoniamo: il film è, già nelle intenzioni, parecchio disimpegnato.


La trama contorta e occasionalmente involuta (perché il personaggio di Devon Graye, Scott, ha visioni rivelatrici sull’origine della maledizione?) è il marchio di fabbrica della After Dark, casa produttrice di indie horror che ci ha regalato lo stupendo Dread e il meno bello ma comunque inquietante Seconds Apart. Il film però ha il pregio di non deludere del tutto, grazie alla brillante idea alla base e ai momenti più creepy che riescono a costruire un’efficace atmosfera horror, che però risulta bella alla prima visione, noiosa alla seconda. È vero, il film avrebbe potuto essere un po’ più inquietante ma io preferisco metterlo nella categoria degli horror flicks estivi: brividi a buon mercato, sceneggiatura tutto sommato intelligente e un cast affiatato.



Se ti è piaciuto guarda anche... – I film come questo, su un gruppo di ragazzi che finisce in mano a un’entità malevola, non si contano nemmeno. Se però si volesse vedere un horror estivo, di facile digestione, la merce migliore sul mercato è costituita da La maschera di cera (2005) di Jaume Collett-Serra, che strappa qui e lì qualche brivido e ci regala Paris Hilton che muore in maniera violenta in un solo film; la tappa obbligatoria di tutti gli amanti dell’horror, ovvero il primo Final Destination (2000) di James Wong, film volgare ma, a suo modo, rivoluzionario del genere; The Descent (2005) di Neil Marshall, originale e inquietante horror a base di buio e claustrofobia; e, per finire, il violentissimo Frontiers (2007) di Xavier Gens e il più pecoreccio ma molto interessante Dead Snow (2009) di Tommy Wirkola.


Scena cult – Alla prima visione di Husk non si può che restare colpiti dai cadaveri viventi che cuciono le loro maschere da spaventapasseri con le dita infilzate di chiodi arrugginiti.

Canzone cult – Non pervenuta.

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