USA, 2011
Regia:
Brett Simmons
Cast: Devon
Graye, Wes Chatam, C.J. Thomason, Tammin Sursok, Ben Easter
Sceneggiatura: Brett Simmons
Trama (im)modesta – Cinque amici si stanno dirigendo verso
una casa al lago per passare un week-end a base di relax e divertimento. Mentre
attraversano una solitaria zona di campagna, uno stormo di corvi si schianta
contro il parabrezza della loro macchina, facendoli uscire fuori strada. Quando
torneranno lucidi, dopo lo shock dell’incidente, si renderanno conto che uno di
loro è scomparso. Due di loro vanno a cercarlo nel vicino campo di granturco,
notando le tracce di un passaggio recente, ma quello che scopriranno andrà ben
oltre le loro aspettative.
La mia (im)modesta opinione – Che cosa mi ha attizzato di
più in Husk? Non lo saprei dire. In fondo è il classico horror a base di un
gruppo di giovani che in vacanza in una località sperduta finisce nelle mani di
un’entità crudele e malevola. Però Simmons riesce a coinvolgere lo spettatore
mescolando una trama (più o meno) ben congegnata, affidata a un gruppo di
attori che non sono il trito defilé di modelli e modelle che si dirigono al
mattatoio ma sono anzi un gruppetto eterogeneo e “alternativo”. Che poi i
protagonisti dei film dell’orrore siano fondamentalmente creature di stupidità
congenita e ottusità inveterata, è fatto risaputo. Dunque Husk procede tra
originalità e sciatterie a formare un horror tutto sommato avvincente e
guardabile.
La principale originalità di Husk sta nel suo sviluppo. Ogni
horror che si rispetti, infatti, può essere suddiviso in tre parti: c’è una
presentazione in cui vediamo la situazione di partenza, solitamente normale e
realistica; segue la svolta imprevista che ci sorprende con le apparenze di
soprannaturale e orrifico e infine abbiamo lo scioglimento in cui uno o più
protagonisti soccombono o fanno soccombere il “cattivo”. Ora, in base
all’alchimia reciproca di queste parti, si caratterizza la qualità di un
horror: se la presentazione è notevolmente sviluppata di solito c’è un maggiore
approfondimento di temi e psicologie, se è sviluppata la svolta orrifica si
hanno spesso horror mediocri che tendono a terrorizzare con i trucchetti
sporchi in stile “pupazzo a molla” (ovvero qualcosa di non spaventoso ma che
con il suo arrivo improvviso spiazza lo spettatore).
Un’altra categoria di horror, di solito gli indie horror,
presentano la parte dello scioglimento più sviluppata. Sviluppare lo
scioglimento di un horror è cosa difficile perché una volta che il trucco è
stato rivelato il film dell’orrore deve volare sulle sue ali e non su quelle
della paura dello spettatore. A questo punto possiamo dire che Husk sbatte le
ali per un poco poi cade a terra, ma non troppo malamente. Lo scioglimento del
film, dopo la scoperta del mistero, è frenetico, inquietante e alla paura si
mescola l’adrenalina. Che poi il finale sia piuttosto velenoso è cosa gradita
ma un po’ troppo abusata. Ma in ogni caso glielo perdoniamo: il film è, già
nelle intenzioni, parecchio disimpegnato.
La trama contorta e occasionalmente involuta (perché il
personaggio di Devon Graye, Scott, ha visioni rivelatrici sull’origine della
maledizione?) è il marchio di fabbrica della After Dark, casa produttrice di
indie horror che ci ha regalato lo stupendo Dread e il meno bello ma comunque
inquietante Seconds Apart. Il film però ha il pregio di non deludere del tutto,
grazie alla brillante idea alla base e ai momenti più creepy che riescono a
costruire un’efficace atmosfera horror, che però risulta bella alla prima
visione, noiosa alla seconda. È vero, il film avrebbe potuto essere un po’ più
inquietante ma io preferisco metterlo nella categoria degli horror flicks
estivi: brividi a buon mercato, sceneggiatura tutto sommato intelligente e un
cast affiatato.
Se ti è piaciuto guarda anche... – I film come questo, su un
gruppo di ragazzi che finisce in mano a un’entità malevola, non si contano
nemmeno. Se però si volesse vedere un horror estivo, di facile digestione, la
merce migliore sul mercato è costituita da La maschera di cera (2005) di Jaume
Collett-Serra, che strappa qui e lì qualche brivido e ci regala Paris Hilton
che muore in maniera violenta in un solo film; la tappa obbligatoria di tutti
gli amanti dell’horror, ovvero il primo Final Destination (2000) di James Wong,
film volgare ma, a suo modo, rivoluzionario del genere; The Descent (2005) di
Neil Marshall, originale e inquietante horror a base di buio e claustrofobia;
e, per finire, il violentissimo Frontiers (2007) di Xavier Gens e il più
pecoreccio ma molto interessante Dead Snow (2009) di Tommy Wirkola.
Scena cult – Alla prima visione di Husk non si può che
restare colpiti dai cadaveri viventi che cuciono le loro maschere da
spaventapasseri con le dita infilzate di chiodi arrugginiti.
Canzone cult – Non pervenuta.
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