mercoledì 25 aprile 2012

THE WICKER TREE (2011), Robin Hardy


Regno Unito, 2011
Regia: Robin Hardy
Cast: Brittania Nicol, Henry Garrett, Graham McTavish, Honeysuckle Weeks, Christopher Lee
Sceneggiatura: Robin Hardy


Trama (im)modesta – Beth (Nicol) e Steve (Garrett) sono una giovane coppia di missionari cristiani. Lei (una specie di incrocio fra Teresa d’Avila e Hannah Montana) è la classica cristianella texana tutta zucchero e miele, lui è un cowboy che prova a essere devoto e casto (hanno pure gli anelli della castità!) ma il cui spirito campagnolo lo porta verso istinti molto più bassi. Nella loro opera di evangelizzazione delle genti di Scozia, vengono invitati dalla popolazione neopagana di un villaggio a partecipare ad un festival. Inutile dire che faranno tutti una brutta fine.


La mia (im)modesta opinione – Okay, Robin Hardy non è un genio: ha diretto solo quattro film negli ultimi trentanove anni, tre dei quali fanno parte della trilogia del The Wicker Man, che si propone di esplorare il tema del paganesimo nelle isolate e rurali terre scozzesi. Nel lontano 1973, The Wicker Man entrò nella lista dei cult assoluti del film inglese venendo definito dalla rivista americana Cinefantastique: «…il Quarto Potere del cinema horror». E, dobbiamo ammetterlo, il primo film del trittico era assai suggestivo anche se grossolano nella messa in scena, nelle musiche e nelle ambientazioni. C’era tutto: il violento e sconvolgente colpo di scena finale, la religiosità fanatica, l’esoterismo e il paganesimo con il loro riti ancestrali e cruenti.


Insomma, l’eredità di The Wicker Man è un’eredità assai pesante, resa ancor più pesante dal tremendissimo remake americano con Nicholas Cage Il Prescelto che è stato tanto brutto da far apparire l’originale un capolavoro per il solo confronto. The Wicker Tree non è il sequel del precedente film di Hardy ma ne è, per così dire, l’erede spirituale, il fratellastro. La storia è praticamente ricalcata dal primo film però Hardy è capace di svolgerla con un registro fra l’irriverente, il comico e il compiaciuto che salva il film dandogli come un’aria scanzonata e ironica.


Fare altrimenti avrebbe rovinato tutto: il film sarebbe sembrato serioso e, per di più, una copia pedissequa di trama e colpi di scena del precedente. Qui sta il colpo di genio di Hardy: l’ironia tragica. Si definisce ironia tragica quell’espediente usato nella tragedia greca per cui il pubblico conosce già lo sviluppo della storia mentre non la conosce l’eroe del mito che noi vediamo avvicinarsi irrimediabilmente alla tragedia sentendoci impotenti e aumentando il pathos. La stessa cosa accade in questo film: sin dall’inizio sappiamo come va a finire, ci sembra che ogni passo, ogni parola, ogni gesto di Beth e Steve sia precisamente direzionato al sacrificio finale. Eppure lo si guarda lo stesso. Merito dell’ironia tragica.


Oltre che con l’ironia tragica il film acquista leggerezza anche tramite una critica alla religione non sempre troppo sottile o originale ma i cui colpi vanno sempre a segno grazie ai ridicolissimi protagonisti, veri manichini che si tirano addosso tutti gli stereotipi del texano religioso e alla assoluta weirdness di certe situazioni. Beth è la tipica principessina da supermercato americana che vuole arrivare vergine al matrimonio e parla d’amore e vomita melensaggini senza nemmeno conoscere la religione in cui crede, Steve è il classico, virile cowboy dalla maschie passioni che si ritrova, suo malgrado, attaccato ad una fidanzatina chioccia e puritana che lo costringe ad un’eternità di docce fredde (anche se troverà modo di consolarsi).


Vediamo questi due buffoni predicare una religione stucchevole e melensa, le cui contraddizioni i suoi stessi sostenitori ignorano e i cui principi si è felici di tradire in nome di un sano e gustoso peccato. Oltre alla critica alla religione, nel film aleggia una certa demenzialità tutta british, uno humor macabro e nerissimo che trasforma un blando horror in una tutto sommato carina commedia nera. Ma questo umorismo è solo falsamente involontario. Mi spiego meglio: tutto ciò che succede, le situazioni che strappano risate, i crudeli cultisti che inciampano, si fanno male, motteggiano su omicidi e tassidermia si comportano au naturel, cioè come accadrebbe nella realtà, perché vogliono essere lontani dagli stereotipati cattivi inarrestabili e infrangibili degli altri horror.


Dico che il film è “tutto sommato” carino perché oltre a questi vari pregi, il film di Hardy dimostra dei limiti evidenti e soprattutto non trascurabili: in prima istanza, la mancanza di un personaggio o una trama forti; in seconda istanza, la lentezza degli sviluppi della storia (il regista sa che il pubblico conosce già gli esiti della storia ma forse ignora che conoscere il finale rende noioso tutto ciò che sta prima); in terza istanza, un senso dell’horror più moderno che manca, forse nel 1973 un film come The Wicker Man poteva colpire, ma sono passati quasi quarant’anni: il concetto di orrore si è sviluppato, è inutile cercare di colpire con stili invecchiati e inefficaci.


Quanto agli attori sono tutti bravi. Segnalo solo Brittania Nicol per aver reso la nauseante zuccherosità della sua missionaria cattolica e il cameo di Nostro Signore Christopher Lee (già presente come antagonista in The Wicker Man) che anche una parte minuscola la fa diventare da standing ovation. Un film da vedere più per dovere intellettuale che per effettivi meriti artistici, questo The Wicker Tree, ma che comunque è una tappa necessaria se si è fan del super cult di Hardy.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Ovviamente l’originale The Wicker Man (1973), cult imprescindibile anche se un po’ troppo stagionato; poi per l’atmosfera del villaggio pagano chiusa e opprimente c’è il The Village (2004) di M. Night Shyamalan, vera perla che si frantuma nel finale ma still worth watchin’, la favola nerissima Il mistero di Sleepy Hollow (1999) del mitico Tim Burton e il gran classico della mia infanzia Grano rosso sangue (1984) di Fritz Kiersch, tratto dal racconto di King I figli del grano.


Scena cult – Le uniche scene che mi hanno colpito sono quella della scoperta delle macabre statue di cera che contengono i cadaveri delle passate Regine di Maggio e il cameo di Christopher Lee (che per fare un film così o è stato pietoso oppure è stato disperato).

Canzone cult – Come il precedente The Wicker Man, anche questo film è musicato quasi del tutto con tremende colonne sonore e canzonette folk scozzesi per sottolineare e simboleggiare il paganesimo campagnolo che pervade tutto il film. Ma non ci posso far nulla: le canzoni mi davano fastidio prima e me ne danno ancora.

4 commenti:

  1. the wicker man è uno di quei film che devo vedere da anni, ma ancora non ho recuperato...
    mea culpa :)

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  2. Detto fra noi, non è nemmeno poi un grande film. Il nostro concetto di horror ormai è tutto diverso, il film è assai antiquato. Ma va visto, almeno come classico.

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  3. A me The wicker man è piaciuto molto, malato al punto giusto, e secondo me concettualmente ancora attuale.

    Detto questo, niente male il blog!

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  4. È sempre un piacere ricevere critiche dai colleghi più navigati. Nel suo genere The Wicker Man è un horror originalissimo, direi pioneristico la mia critica si muoveva sul piano estetico e su quelle canzoncine folk che erano trés teribles

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