USA, 2011
Regia:
Tommy Lee Jones
Cast: Tommy
Lee Jones, Samuel L. Jackson
Sceneggiatura: Cormac McCharty
Trama (im)modesta – Due personaggi senza nome, distinti solo dal colore della pelle e dell'ideologia, un professore
bianco (Jones) e un uomo di colore (Jackson) sono in un appartamento del Bronx.
Il nero ha salvato la vita al bianco, che voleva buttarsi sotto un treno, il
Sunset Limited, appunto. L’uomo di colore è un galeotto animato da una fede
profonda, fervente e sincera, il professore bianco è un ateo cinico e
disilluso, esacerbato da un mondo troppo feroce per lui. I due si scontreranno
a colpi di ideologia fino a che non ne rimarrà nessuno.
La mia (im)modesta opinione – Inizio con una nota di
costume: questo film, diretto da Tommy Lee Jones (cioè la versione competente e
seria di Clint Eastwood) su una piéce teatrale di Cormac McCharty (ovvero uno
degli autori più geniali dell’età contemporanea) era in origine un film per
televisione. The Sunset Limited non è mai stato proiettato sul grande schermo.
Perché tutto ciò mi demoralizza? Perché mentre in America ci sono network come
la HBO che danno vita a film grandiosi come questo che non hanno nulla da
invidiare ad altre produzioni certamente più sciatte e pretenziose ma che
riscuotono più successo, in Italia dobbiamo ingollare litri e litri di banalità
su banalità scritte senza arte né intelletto. Forse ce lo meritiamo.
Detto questo, passiamo al film vero e proprio.
Lo diciamo subito, chiaro e tondo, The Sunset Limited non è un film facile, non è un film scorrevole, non è un film divertente. È un dialogo serratissimo e profondissimo, impegnativo e stancante. Pura filosofia morale. Le due fazioni che si scontrano sono l’ottimismo spiritualista (cattolico, a suo modo stoico) e il pessimismo materialista (ateo, pascaliano per non dire leopardiano). Insomma posizioni che, storicamente, sono di per sé dei clichés. Il lavoro di McCharty però non esplora solo il cliché, lo scava, lo fruga in ogni sua parte, lo analizza in ogni ramificazione e capillare fino alle sue conseguenze più estreme ed amare. Perché The Sunset Limited è un film amaro, amarissimo che non lascia via di scampo tranne per qualche bagliore lontano, nel suo finale, come già succedeva negli altri lavori di McCharty come, ad esempio, La strada.
Le parti sono affidate a due attori dei più talentuosi di
Hollywood: Samuel L. Jackson (il suo personaggio sembra tanto “Jules Winnifield
vent’anni dopo”) e Tommy Lee Jones (un moderno Leopardi, ma più arrabbiato e
disperato). Tutti e due gli attori sono strabilianti e forniscono le
interpretazioni forse più vere e umane della loro intera carriera. Non solo,
infatti, entrano perfettamente nel personaggio e nel carattere ma variano
restando comunque fedeli a se stessi. Dubitano, si disperano, pensano. I temi
trattati, come già detto, sono fra i più problematici della storia del pensiero
umano: la religione, il perché della sofferenza umana, il senso del mondo e
dell’esistenza, il dolore, la morte. The Sunset Limited non è un film
deprimente, è un film coraggioso nel suo dolente alzarsi e guardare in faccia
una realtà che è un problema che non può risolversi o essere risolto perché se
si crede in Dio, Dio tace, se non si crede in Dio, il vuoto regna. E in ogni
caso il silenzio è una tortura.
Tommy Lee Jones si fa anche regista della pellicola e la
conduce bene, crudamente, con virile e burbera eleganza. Un’eleganza che però
non è il manierismo svolazzante di un Eastwood (e chi l’ha mai sopportato? Il
suo stile manca di imperfezione) ma qualcosa di più viscerale e profondo, una
malinconia che prima di essere vano sollazzo filosofico è una pura forza
sanguigna, debilitante che colpisce basso, che dà il voltastomaco. Tommy Lee
Jones è un bravo regista, solido, virile, asciutto. Un uomo il cui cuore mi
ricorda il legno seccato e indurito dal mare, duro come acciaio, levigato dalle
onde e dalla sabbia fino a sembrare seta al tatto. Jones non si preoccupa di
essere grazioso, non si perde in effeminatezze estetiche ma piuttosto crea una
sua estetica che è spiccia, è dura, è volitiva ma non scade mai nel banale, nel
volgare e nel pretestuoso ma quasi commuove con la sua compostezza salda e
dolorosa.
Riferire il contenuto del film è impossibile: bisogna
guardarlo. Uno di quei film da guardare più di una volta, uno di quei film che
dovrebbero essere letti e non guardati e basta. È cosa difficile fare di un
film senza trama, senza azione e dinamismo ma con dentro solo spigoloso e
freddo concetto un buon film. Tommy Lee Jones ci riesce: ci riesce grazie al testo
su cui si basa (che è un capolavoro teatrale), ci riesce grazie alla sua
sopradetta e clamorosa bravura nel dirigere film, ci riesce grazie a Samuel L.
Jackson con il suo accento della Louisiana e la sua filosofia che si è fatta le
ossa tra strade e prigioni e grazie al suo stesso sguardo triste e al suo
pessimismo esacerbato e rasposo. Da restare a bocca aperta.
Scena cult – I due monologhi finali, prima quello
luciferino, furioso e tagliente di Tommy Lee Jones, poi la preghiera disperata
e addolorata di Samuel L. Jackson. Due pezzi di bravura da mozzare il fiato.
Canzone cult – Non pervenuta. Le musiche di Beltrami (lo
stesso di The Hurt Locker) sono appena due pezzi. Pochi, ma di una forza
sorprendente.
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