India, 1996
Regia: Mira Nair
Cast: Indira Varma, Sarita Choundhury, Ramon Tikaram, Naveen
Andrews
Sceneggiatura: Mira Nair, Helena Kriel
Trama (im)modesta – Maya (Varma) e Tara (Choundhury) sono
due amiche d’infanzia inseparabili: una però è solo una servitrice, l’altra è
una principessa. Una volta cresciute, Tara va in sposa al principe puttaniere
Raj Singh (Andrews), destinato a diventare presto re. Ma Raj Singh resta
ammaliato dal fascino di Maya e con lei si unisce nella stessa notte del suo
matrimonio. Scoperta, Maya viene scacciata dal palazzo e incontra lo scultore
Jai Kumar (Tikaram) che la porta in una scuola di cortigiane. Qualche anno
dopo, Tara è diventata regina ma è profondamente frustrata e insoddisfatta,
Maya è una cortigiana famosa che diventerà amante del re Raj Singh, seppur
innamorata di Jai. L’epilogo sarà tragico.
La mia (im)modesta opinione – Togliamo subito ogni dubbio:
Kamasutra non è un film erotico anche se l’erotismo è parte integrante e
principale motore del film. In lingua indiana, il termine “kamasutra” significa
appunto “lezione sull’amore” e di questo il film parla: l’amore in tutte le sue
sfaccettature, esplorato a partire dalle dinamiche che si sviluppano fra i
quattro personaggi principali. Chiariamo subito anche questo: l’analisi portata
avanti dal film non è approfondita né particolarmente illuminante. Kamasutra è
un film più vicino per stile e narrazione a una novella orientale che include
in sé erotismo (ma nella maniera più ovattata e castigata del termine), ma
anche vendetta, amore, gelosia.
Una novella. E il film non è altro che questo: una novella
in pieno stile Mille e una notte, né più né meno. La progressione delle vicende
è quella di una leggenda antica, di una storia da raccontare sotto le lenzuola.
I registri della favola sono evidenti: ci sono la principessa infelice, il re
cattivo, la cortigiana divisa fra gli oneri cortesi (chiamiamoli pure così) e
l’amore per un povero scultore. L’esito è tragico, sì, ma nella storia non c’è
enfasi, non c’è aspirazione al realismo. L’India raccontata dalla Nair è
un’India idealizzata, antica, sensuale ed esotica ma nulla di più.
L’unica pecca imputabile alla regista, dunque, può essere
quella di aver premuto con sapiente ruffianeria sul tasto dell’esotismo e
dell’opulenza ma, di nuovo, non è qualcosa da rimproverargli perché Kamasutra è
una favola dell’antico Oriente e il mondo in cui si muove è quello della favola
e della novella. Bellissime e, soprattutto, poco pretenziose sono le attrici
che interpretano i ruoli principali: la Maya di Indira Varma è una cortigiana
fascinosa e ammaliante, la Tara di Sarita Choundhury è una bellezza siderea e
malinconica, lontana dallo charme verace della sua rivale di letto.
Quanto ai ruoli maschili, nulla da dire. Sono ruoli
puramente strumentali alla storia, come i principi delle fiabe occidentali:
senza volto e senza nome. È interessante vedere, piuttosto, come il tema
dell’amore sia trattato da tutte le angolazioni: c’è l’amore sensuale di Raj
Singh, quello prima appassionato e poi tradito di Jai Kumar, l’amore frustrato
e pungolato dalla gelosia della regina Tara, quello artistico e raffinato di
Maya e, infine, quello grossolano e godereccio delle donne del palazzo (non
ultima la stessa madre di Raj Singh) che non fanno che esondare battute piccanti
e allusioni pruriginose e divertite.
Straordinaria è Indira Varma, donna non bellissima (non è la
bellezza da calendario che è Sarita Choundhury) ma profondamente sensuale, dai
tratti forse grossolani ma sicuramente stupefacente in quella dolcezza un po’
androgina della sua mascella volitiva e dei lineamenti forti illuminati da due
occhi nerissimi e profondi. Certo, Sarita Choundhury non è da meno ma la sua
bellezza è troppo convenzionale, troppo da modella per stupire come quella di
Indira Varma, figura mozzafiato sia struccata e semplice che truccata e
ricoperta d’oro e gioielli.
In conclusione, il Kamasutra della Nair è stereotipato alla
maniere delle fiabe orientali, una festa per gli occhi, un racconto leggiadro e
opulento di un’India da sogno. Forse, lo ammettiamo, è goffo in certi suoi
passaggi, limitato, troppo accademico e classicistico ma rimane comunque
impossibile resistere a quel suo esotismo suadente, alle sue protagoniste così
affascinanti e seduttive e alla sua storia soave e volatile.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Per riassaporare il
colorato e languido esotismo indiano ci sono il divertente e sopra le righe Il
treno per il Darjeeling (2007) di Wes Anderson, il classicone Passaggio in
India (1984) di David Lean e il tanto abusato ma sempre bellissimo Gandhi
(1982) di Richard Attenborough. Se invece si vuole guardare l’India moderna con
tutte le sue miserie e contraddizioni il titolo d’obbligo è The Millionaire
(2008) di Danny Boyle ma di grande rilievo sono anche Salaam Bombay! (1988)
sempre di Mira Nair, il sontuoso Fire (1996) di Deepa Metha, il documentario
Born into Brothels (2004) di Zara Briski e Ross Kauffman e l’impegnato Mr. and
Mrs. Iyer (2002) di Aparna Sen.
Scena cult – La festa notturna di Raj Singh, vero trionfo di
opulenza e splendore e nodo focale della trama dove si trova in nuce il
compimento di tutta la storia.
Canzone cult – Non pervenuta
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