sabato 21 aprile 2012

KAMASUTRA (1996), Mira Nair


India, 1996
Regia: Mira Nair
Cast: Indira Varma, Sarita Choundhury, Ramon Tikaram, Naveen Andrews
Sceneggiatura: Mira Nair, Helena Kriel


Trama (im)modesta – Maya (Varma) e Tara (Choundhury) sono due amiche d’infanzia inseparabili: una però è solo una servitrice, l’altra è una principessa. Una volta cresciute, Tara va in sposa al principe puttaniere Raj Singh (Andrews), destinato a diventare presto re. Ma Raj Singh resta ammaliato dal fascino di Maya e con lei si unisce nella stessa notte del suo matrimonio. Scoperta, Maya viene scacciata dal palazzo e incontra lo scultore Jai Kumar (Tikaram) che la porta in una scuola di cortigiane. Qualche anno dopo, Tara è diventata regina ma è profondamente frustrata e insoddisfatta, Maya è una cortigiana famosa che diventerà amante del re Raj Singh, seppur innamorata di Jai. L’epilogo sarà tragico.


La mia (im)modesta opinione – Togliamo subito ogni dubbio: Kamasutra non è un film erotico anche se l’erotismo è parte integrante e principale motore del film. In lingua indiana, il termine “kamasutra” significa appunto “lezione sull’amore” e di questo il film parla: l’amore in tutte le sue sfaccettature, esplorato a partire dalle dinamiche che si sviluppano fra i quattro personaggi principali. Chiariamo subito anche questo: l’analisi portata avanti dal film non è approfondita né particolarmente illuminante. Kamasutra è un film più vicino per stile e narrazione a una novella orientale che include in sé erotismo (ma nella maniera più ovattata e castigata del termine), ma anche vendetta, amore, gelosia.


Una novella. E il film non è altro che questo: una novella in pieno stile Mille e una notte, né più né meno. La progressione delle vicende è quella di una leggenda antica, di una storia da raccontare sotto le lenzuola. I registri della favola sono evidenti: ci sono la principessa infelice, il re cattivo, la cortigiana divisa fra gli oneri cortesi (chiamiamoli pure così) e l’amore per un povero scultore. L’esito è tragico, sì, ma nella storia non c’è enfasi, non c’è aspirazione al realismo. L’India raccontata dalla Nair è un’India idealizzata, antica, sensuale ed esotica ma nulla di più.


L’unica pecca imputabile alla regista, dunque, può essere quella di aver premuto con sapiente ruffianeria sul tasto dell’esotismo e dell’opulenza ma, di nuovo, non è qualcosa da rimproverargli perché Kamasutra è una favola dell’antico Oriente e il mondo in cui si muove è quello della favola e della novella. Bellissime e, soprattutto, poco pretenziose sono le attrici che interpretano i ruoli principali: la Maya di Indira Varma è una cortigiana fascinosa e ammaliante, la Tara di Sarita Choundhury è una bellezza siderea e malinconica, lontana dallo charme verace della sua rivale di letto.


Quanto ai ruoli maschili, nulla da dire. Sono ruoli puramente strumentali alla storia, come i principi delle fiabe occidentali: senza volto e senza nome. È interessante vedere, piuttosto, come il tema dell’amore sia trattato da tutte le angolazioni: c’è l’amore sensuale di Raj Singh, quello prima appassionato e poi tradito di Jai Kumar, l’amore frustrato e pungolato dalla gelosia della regina Tara, quello artistico e raffinato di Maya e, infine, quello grossolano e godereccio delle donne del palazzo (non ultima la stessa madre di Raj Singh) che non fanno che esondare battute piccanti e allusioni pruriginose e divertite. 


Straordinaria è Indira Varma, donna non bellissima (non è la bellezza da calendario che è Sarita Choundhury) ma profondamente sensuale, dai tratti forse grossolani ma sicuramente stupefacente in quella dolcezza un po’ androgina della sua mascella volitiva e dei lineamenti forti illuminati da due occhi nerissimi e profondi. Certo, Sarita Choundhury non è da meno ma la sua bellezza è troppo convenzionale, troppo da modella per stupire come quella di Indira Varma, figura mozzafiato sia struccata e semplice che truccata e ricoperta d’oro e gioielli.


In conclusione, il Kamasutra della Nair è stereotipato alla maniere delle fiabe orientali, una festa per gli occhi, un racconto leggiadro e opulento di un’India da sogno. Forse, lo ammettiamo, è goffo in certi suoi passaggi, limitato, troppo accademico e classicistico ma rimane comunque impossibile resistere a quel suo esotismo suadente, alle sue protagoniste così affascinanti e seduttive e alla sua storia soave e volatile.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Per riassaporare il colorato e languido esotismo indiano ci sono il divertente e sopra le righe Il treno per il Darjeeling (2007) di Wes Anderson, il classicone Passaggio in India (1984) di David Lean e il tanto abusato ma sempre bellissimo Gandhi (1982) di Richard Attenborough. Se invece si vuole guardare l’India moderna con tutte le sue miserie e contraddizioni il titolo d’obbligo è The Millionaire (2008) di Danny Boyle ma di grande rilievo sono anche Salaam Bombay! (1988) sempre di Mira Nair, il sontuoso Fire (1996) di Deepa Metha, il documentario Born into Brothels (2004) di Zara Briski e Ross Kauffman e l’impegnato Mr. and Mrs. Iyer (2002) di Aparna Sen.


Scena cult – La festa notturna di Raj Singh, vero trionfo di opulenza e splendore e nodo focale della trama dove si trova in nuce il compimento di tutta la storia.

Canzone cult – Non pervenuta

1 commento:

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