Regno
Unito, 2009
Regia:
Dominc Murphy
Cast:
Edward Hogg, Carrie Fisher, Muse Watson, Owen Campbell
Sceneggiatura: Eddy Moretti, Shane Smith
Trama (im)modesta – Jesco White (lo stupendo, seppur acerbo,
Edward Hogg) è un uomo problematico: cresciuto nella desolante miseria dei
villaggi rurali dei monti Appalachi, con problemi di droga fin dalla più tenera
infanzia, una giovinezza passata dentro e fuori i riformatori, vessata dalla
religiosità bacchettona e fosca tipica del sud degli Stati Uniti trova una
chance di vita nella mountain dance, ballo selvaggio e accompagnato dal banjo
molto diffuso nella parte più rurale degli USA. Ma la follia è in agguato con
le sue paranoie, le sue ossessioni, le sue visioni, le sue estasi mistiche e la
sua violenza.
La mia (im)modesta opinione – White Lightnin’ è un film
instabile e complicato quasi quanto il suo protagonista: Jesco White. Un Jesco
White, ballerino di mountain dance con un passato difficile alle spalle, esiste e
la sua vita è stato oggetto di ben tre documentari. Questo film è basato assai
vagamente sulla vita del vero Jesco White e il suo protagonista, per così dire,
a Jesco White ruba nome e infanzia per poi prendere la propria strada. Ma tutto
ciò è irrilevante in termini di giudizio estetico, giudizio non interessato al
background dell’opera d’arte ma all’opera in sé e per sé. Dunque, in questi
termini, è possibile ammettere, senza peccare di presunzione, che White
Lightnin’ è un bellissimo film.
Cominciamo dalla messa in scena. È risaputo: il palcoscenico
è protagonista invisibile di ogni film e un film che non crei atmosfera e
scenario è un film che ha già in parte perso la propria battaglia. I personaggi
della pellicola sono esclusivamente gli hillbillies che popolano le zone più
arretrate e degradate degli Appalachi. Questa è la folla che si muove per le
scene della pellicola: «…mostruosità imploranti d’essere coperte, / torsi
ridicoli, toraci da baraccone, / poveri corpi storti, magri, panciuti e molli,
/ […] / …donne pallide come ceri, / nutrite e divorate dal vizio… ». il regista
non ci risparmia i corpi lerci e sudati, le chiostre di denti marci, i capelli
unti, i crani devastati dalla calvizie, le gambe grasse, le barbe sudice e
incrostate e tutte le storture e sporcizie di un’umanità bestiale e involuta
dove i bambini giocano nell’intingolo di fango, polvere e sterco animale, dove
le case sono squallide pareti coperte da un ancor più squallido tetto.
Ed è vero: lo squallore (umano ed estetico) che regna nella
pellicola disturba, lascia nauseati e straniati. Ottima scelta di regia quella
di ricreare un falso bianco e nero, che sbiadisce i colori più chiari e crea
un’atmosfera ora raffinata ora sordida ora laida e sozza. La povertà è ovunque.
Una povertà che degrada e abbrutisce, che trascina al sopruso, alla corruzione,
alla lussuria, alla violenza, all’assassinio. Il mondo descritto da White
Lightnin’ è un mondo che non lascia scampo, dove la redenzione è solo un ultimo
passo verso l’inferno, dove la pace sta nell’implosione della mente e dove la
morte non è riposo ma estremo scempio e dissacrazione della carne. Esemplare,
in questo senso la storia-aneddoto dei fratelli Sam e Tally, novelli Caino e
Abele (con la differenza che è Abele, e non Caino, di essersi macchiato della
colpa più grave), il cui rapporto di reciproca violenza porta a vedere una
delle sequenze più visivamente disturbanti del film.
Il film non è un horror ma dell’horror assume registri e
stilemi: dalle musiche distorte e angoscianti al racconto di torture e sevizie
(più psicologiche che fisiche) che sono più agghiaccianti di qualsiasi Saw e
Hostel messi insieme, non per il livello di violenza grafica, beninteso. Reggere un film come White Lightnin’ per tutta la sua
durata, ingollare quel suo parto amaro di violenza, squallore e devianza è qualcosa
che, personalmente, mi è risultato abbastanza difficile. Dopo aver finito di
vedere il film non sono riuscito a liberarmi di quella sensazione stringente
alla gola mista di desolazione, miseria, indigenza e abbandono. La fosca
visione che questo film costituisce è ancor più profonda che in certi horror e
perseguita, almeno nel mio caso, più a lungo di molti altri film sulla carta
più disturbanti.
Ma oltre a una regia, una direzione artistica e una
sceneggiatura praticamente perfetta nel suo mescolare religione appassionata e
infame bruttura, bisogna anche incensare gli attori del dramma, tutti capaci,
tutti perfetti, tutti bravissimi. Cominciamo dallo sbalorditivo seppur (come
già detto sopra) un po’ acerbo Edward Hogg con i suoi occhi verdi cristallini e
allucinati, la sua voce innocente e assassina, i suoi raptus di violenza
omicida, le sue convulsioni epilettiche, il suo sguardo ora di visionario profetico ora
di brutale assassino. Altrettanto stupenda, nella sua miseria, è Carrie Fisher
(mi viene spontanea la battuta “Dalle stelle alle stalle... letteralmente!”)
nel ruolo di malinconica MILF (io direi pure GILF), improbabile amante di Jesco
White, figura salvifica e benedetta in un oceano di morchia, abiezione e
omicidio. Altri inchini a Muse Watson, il padre di Jesco, e al giovane Jesco
ovvero Owen Campbell, che recita un ruolo alquanto difficile per un ragazzo
della sua età.
Non saprei dire, alla fine, se White Lightnin’ sia più
suggestivo che bello o viceversa, certo è che la sua fotografia cinerea e triste,
il suo racconto scosso dai singhiozzi e dalle convulsioni, quegli stupendi
intermezzi in cui un predicatore del sud tuona la sua omelia contro il Demonio
mentre sullo schermo scorrono immagini della natura sublime e puerpera dei
Monti Appalachi, le sue canzoni nauseanti e bifolche, le sue musiche
opprimenti, i suoi protagonisti così irrimediabilmente dannati m’hanno lasciato
un segno. Questo è un film che faticherò a dimenticare.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Per rivivere l’atmosfera
misera e degradata del film nulla è meglio del recentissimo Un gelido inverno
(2010) di Debra Granik. Per assaporare il fascino hillbilly del film (singolare
è come gli hillbillies siano stati usati come cattivi di metà dei film horror
americani) basterà riguardarsi gli horror Non aprite quella porta (1974) di
Tobe Hooper e La casa dei 1000 corpi (2003) di Rob Zombie. Se invece volete
schiarirvi le idee sulla vita di Jesco White (quella vera) nulla è meglio dei
tre documentari Dancing Outlaw (1999) di Jacob Young e The Wild and Wonderful
Whites of West Virginia (2009) di Julien Nitzberg.
Scena cult – Il film di scene cult è pieno da scoppiare. Ne
sceglierò due: il commovente e durissimo finale che vede la “redenzione” di
Jesco White compiersi in tutta la sua tragicità e la novella dei fratelli Tally
e Sam, piccolo gioiello ripescato da una tasca del film, esemplare parabola di
violenza e infanzia rubata.
Canzoni cult – Normalmente, con un film così straripante di canzoni, avrei l’imbarazzo della scelta ma
due canzoni m’hanno colpito più di tutte: la nostalgica It Wasn’t God Who Made
Honky Tonk Angels cantata nel film da Carrie Fisher e la dolcissima Amazing Grace nella versione di Judy Collins.
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