venerdì 20 aprile 2012

WHITE LIGHTNIN’ (2009), Dominic Murphy


Regno Unito, 2009
Regia: Dominc Murphy
Cast: Edward Hogg, Carrie Fisher, Muse Watson, Owen Campbell
Sceneggiatura: Eddy Moretti, Shane Smith


Trama (im)modesta – Jesco White (lo stupendo, seppur acerbo, Edward Hogg) è un uomo problematico: cresciuto nella desolante miseria dei villaggi rurali dei monti Appalachi, con problemi di droga fin dalla più tenera infanzia, una giovinezza passata dentro e fuori i riformatori, vessata dalla religiosità bacchettona e fosca tipica del sud degli Stati Uniti trova una chance di vita nella mountain dance, ballo selvaggio e accompagnato dal banjo molto diffuso nella parte più rurale degli USA. Ma la follia è in agguato con le sue paranoie, le sue ossessioni, le sue visioni, le sue estasi mistiche e la sua violenza.


La mia (im)modesta opinioneWhite Lightnin’ è un film instabile e complicato quasi quanto il suo protagonista: Jesco White. Un Jesco White, ballerino di mountain dance con un passato difficile alle spalle, esiste e la sua vita è stato oggetto di ben tre documentari. Questo film è basato assai vagamente sulla vita del vero Jesco White e il suo protagonista, per così dire, a Jesco White ruba nome e infanzia per poi prendere la propria strada. Ma tutto ciò è irrilevante in termini di giudizio estetico, giudizio non interessato al background dell’opera d’arte ma all’opera in sé e per sé. Dunque, in questi termini, è possibile ammettere, senza peccare di presunzione, che White Lightnin’ è un bellissimo film.


Cominciamo dalla messa in scena. È risaputo: il palcoscenico è protagonista invisibile di ogni film e un film che non crei atmosfera e scenario è un film che ha già in parte perso la propria battaglia. I personaggi della pellicola sono esclusivamente gli hillbillies che popolano le zone più arretrate e degradate degli Appalachi. Questa è la folla che si muove per le scene della pellicola: «…mostruosità imploranti d’essere coperte, / torsi ridicoli, toraci da baraccone, / poveri corpi storti, magri, panciuti e molli, / […] / …donne pallide come ceri, / nutrite e divorate dal vizio… ». il regista non ci risparmia i corpi lerci e sudati, le chiostre di denti marci, i capelli unti, i crani devastati dalla calvizie, le gambe grasse, le barbe sudice e incrostate e tutte le storture e sporcizie di un’umanità bestiale e involuta dove i bambini giocano nell’intingolo di fango, polvere e sterco animale, dove le case sono squallide pareti coperte da un ancor più squallido tetto.


Ed è vero: lo squallore (umano ed estetico) che regna nella pellicola disturba, lascia nauseati e straniati. Ottima scelta di regia quella di ricreare un falso bianco e nero, che sbiadisce i colori più chiari e crea un’atmosfera ora raffinata ora sordida ora laida e sozza. La povertà è ovunque. Una povertà che degrada e abbrutisce, che trascina al sopruso, alla corruzione, alla lussuria, alla violenza, all’assassinio. Il mondo descritto da White Lightnin’ è un mondo che non lascia scampo, dove la redenzione è solo un ultimo passo verso l’inferno, dove la pace sta nell’implosione della mente e dove la morte non è riposo ma estremo scempio e dissacrazione della carne. Esemplare, in questo senso la storia-aneddoto dei fratelli Sam e Tally, novelli Caino e Abele (con la differenza che è Abele, e non Caino, di essersi macchiato della colpa più grave), il cui rapporto di reciproca violenza porta a vedere una delle sequenze più visivamente disturbanti del film.


Il film non è un horror ma dell’horror assume registri e stilemi: dalle musiche distorte e angoscianti al racconto di torture e sevizie (più psicologiche che fisiche) che sono più agghiaccianti di qualsiasi Saw e Hostel messi insieme, non per il livello di violenza grafica, beninteso. Reggere un film come White Lightnin’ per tutta la sua durata, ingollare quel suo parto amaro di violenza, squallore e devianza è qualcosa che, personalmente, mi è risultato abbastanza difficile. Dopo aver finito di vedere il film non sono riuscito a liberarmi di quella sensazione stringente alla gola mista di desolazione, miseria, indigenza e abbandono. La fosca visione che questo film costituisce è ancor più profonda che in certi horror e perseguita, almeno nel mio caso, più a lungo di molti altri film sulla carta più disturbanti.


Ma oltre a una regia, una direzione artistica e una sceneggiatura praticamente perfetta nel suo mescolare religione appassionata e infame bruttura, bisogna anche incensare gli attori del dramma, tutti capaci, tutti perfetti, tutti bravissimi. Cominciamo dallo sbalorditivo seppur (come già detto sopra) un po’ acerbo Edward Hogg con i suoi occhi verdi cristallini e allucinati, la sua voce innocente e assassina, i suoi raptus di violenza omicida, le sue convulsioni epilettiche, il suo sguardo ora di visionario profetico ora di brutale assassino. Altrettanto stupenda, nella sua miseria, è Carrie Fisher (mi viene spontanea la battuta “Dalle stelle alle stalle... letteralmente!”) nel ruolo di malinconica MILF (io direi pure GILF), improbabile amante di Jesco White, figura salvifica e benedetta in un oceano di morchia, abiezione e omicidio. Altri inchini a Muse Watson, il padre di Jesco, e al giovane Jesco ovvero Owen Campbell, che recita un ruolo alquanto difficile per un ragazzo della sua età.


Non saprei dire, alla fine, se White Lightnin’ sia più suggestivo che bello o viceversa, certo è che la sua fotografia cinerea e triste, il suo racconto scosso dai singhiozzi e dalle convulsioni, quegli stupendi intermezzi in cui un predicatore del sud tuona la sua omelia contro il Demonio mentre sullo schermo scorrono immagini della natura sublime e puerpera dei Monti Appalachi, le sue canzoni nauseanti e bifolche, le sue musiche opprimenti, i suoi protagonisti così irrimediabilmente dannati m’hanno lasciato un segno. Questo è un film che faticherò a dimenticare.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Per rivivere l’atmosfera misera e degradata del film nulla è meglio del recentissimo Un gelido inverno (2010) di Debra Granik. Per assaporare il fascino hillbilly del film (singolare è come gli hillbillies siano stati usati come cattivi di metà dei film horror americani) basterà riguardarsi gli horror Non aprite quella porta (1974) di Tobe Hooper e La casa dei 1000 corpi (2003) di Rob Zombie. Se invece volete schiarirvi le idee sulla vita di Jesco White (quella vera) nulla è meglio dei tre documentari Dancing Outlaw (1999) di Jacob Young e The Wild and Wonderful Whites of West Virginia (2009) di Julien Nitzberg.


Scena cult – Il film di scene cult è pieno da scoppiare. Ne sceglierò due: il commovente e durissimo finale che vede la “redenzione” di Jesco White compiersi in tutta la sua tragicità e la novella dei fratelli Tally e Sam, piccolo gioiello ripescato da una tasca del film, esemplare parabola di violenza e infanzia rubata.

Canzoni cult – Normalmente, con un film così straripante di canzoni, avrei l’imbarazzo della scelta ma due canzoni m’hanno colpito più di tutte: la nostalgica It Wasn’t God Who Made Honky Tonk Angels cantata nel film da Carrie Fisher e la dolcissima Amazing Grace nella versione di Judy Collins.

 

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