mercoledì 18 luglio 2012

CRACKS (2009), Jordan Scott


Regno Unito,  Irlanda, 2009
Regia: Jordan Scott
Cast: Eva Green, Juno Temple, María Valverde, Imogen Poots, Ellie Nunn
Sceneggiatura: Jordan Scott, Ben Court, Caroline Ip


Trama (im)modesta – Stanley Island, Inghilterra, 1934. Di è il membro più promettente della squadra di nuoto della scuola, una squadra composta da varie ragazzine capitanate dalla maliarda Miss G. (una Eva Green che, questa volta, m’ha fatto davvero innamorare). Un giorno arriva nella scuola una bella aristocratica spagnola, Fiamma, che col suo fascino mondano si attira l’ammirazione e l’invidia di tutte le ragazze della squadra. La tensione cresce ancora di più quando l’affascinante Miss G. comincia a nutrire una insana affezione nei suoi confronti. E la crosta di ghiaccio sottile su cui camminano tutte le protagoniste farà presto a incrinarsi, mostrando quanto sia nero il cuore dell’animo umano.


La mia (im)modesta opinione Cracks è un film strano, a suo modo; fascinoso come pochi, tutto olezzante di segreto e di mistero, completamente costruito su doppi sensi, allusioni e fraintendimenti, nulla viene mai detto ad alta voce, tutto sussurrato, comunicato attraverso gesti e sguardi distratti. Ambientate sullo sfondo di una brumosa e molle isola inglese, le sue scene risuonano di musiche pervasive e avvolgenti che restituiscono come l’impressione di un ammorbante senso di segreto e mistero il cui significato autentico, allo spettatore, è precluso per tutta la durata del film. La pellicola, come si intuisce chiaramente fin dall’inizio della storia, è tutta una sovrastruttura cristallina che copre col suo scintillio e la sua levigatezza tutto un cuore di acque torbide e scure, che tanto somigliano alle opache e nerastre acque marine in cui le giovani protagoniste si tuffano. Motore del vortice che sconvolgerà la quiete oleosa di questo mare così tetro è la Fiamma Coronna di Marìa Valverde, in pratica l’unico personaggio genuino e sincero della pellicola, che sarà vittima delle doppiezze innocenti delle ragazze sue compagne e di quelle molto meno candide della splendida Miss G.


Ma prima di parlare della grande stella di questo film (ovvero la superba Eva Green, che si sta avvicinando sempre di più al gotha dei miei attori di culto) bisogna descrivere bene il contesto in cui le vicende si svolgono. La Stanley Island su cui galleggiano le vicende delle protagoniste di Cracks è un posto certamente concreto, mai sfumato nel sogno, eppure nella sua concretezza è un luogo immaginario, isolato, un improbabile teatro in cui i protagonisti sentono il bisogno di straniarsi, di lambiccarsi in sogni impalpabili. Da qui il tono cerebrale e direi quasi acquatico del film, sottolineato anche da una fotografia plumbea, piovigginosa, quasi acquitrinosa. Dove c’è la possibilità di una situazione idilliaca o luminosa, la regia preferisce virare tutto al nero. Non che in Cracks manchi la luce, anzi, ma la luce, quando c’è, è smorta, caliginosa, offuscata. Stanley Island è un mascheramento dell’Inferno in Terra perché una volta arrivati non la si può lasciare e, come i castelli incantati delle favole, è un luogo che piega il desiderio, intorpidisce la volontà e muffisce il pensiero.


 Vittima suprema e suprema carnefice di questo luogo è la Miss G. di Eva Green. Ex-studentessa della scuola che non ha mai lasciato e in cui, adesso, lavora, Miss G. è agitata da una turbinosa ma svigorita volontà di evasione e da una sottesa e ammorbante lussuria che si sfoga segretamente nel suo rapporto di saffica e costante confidenza con le belle allieve. Miss G. è una femme fatale, una diabolica, un vampiro e una sirena. Come non vedere la sua natura perversa nelle sue pose da imperatrice e nei suoi sguardi ora furenti ora febbricitanti ora profondamente dolorosi? Con quel suo pallore chimerico e la sua liquida mutevolezza sia d’umore che d’espressione, Miss G. sembra non tanto far parte del paesaggio dell’isola ma essere tutt’uno con esso. Un’emanazione spirituale e fisica di un torpido enclave, sigillato dal resto del mondo, che è insieme rifugio e carcere. Ma non bisogna farsi ingannare: Miss G. è la forma più compiuta di un’influenza malevola che scorre in ogni fibra e in ogni sasso dell’isola, un’influenza che plasma lentamente anche le ragazze del collegio che però, in extremis, riescono a liberarsene e a fuggire.


Se la bellezza vampiresca e acquatica della Green ruba i riflettori a tutti quanti, non bisogna sottovalutare le performances delle altre due attrici principali: la stupenda Juno Temple e la di poco inferiore Marìa Valverde. Non che il film sia privo di difetto alcuno, anzi, un altro regista avrebbe dato un apporto più onirico-psicologico alla vicenda usufruendo anche di mezzi tecnici ed espedienti artistici più efficaci ma, alla fin fine, il film della Scott (che è la figlia del più famoso Ridley) è più che accettabile come esordio alla regia di una figlia d’arte e anche se di tanto in tanto si presenta un po’ disorganizzato e inorganico l’elegante script e la convinta performance di Eva Green lo fanno tirare avanti più che dignitosamente. Un film, dunque, lento e affascinante, non esente da macchie, certo, ma certamente degno di una visione (che sia una, però!) anche di striscio.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Per ammirare Eva Green in tutta la sua bellezza e potenza attoriale in un film altrettanto bello e potente nulla è meglio dello stupendo Womb (2010) di Benedek Fliegauf, vera rêverie acquatica e filosofica. Per le insane passioni di esimi dottori e insegnanti ci sono il grande classico crepuscolare Morte a Venezia (1971) di Luchino Visconti e il meraviglioso La Pianista (2001) di Michael Haneke e il magistrale Diario di uno Scandalo (2006) di Richard Eyre. E, per concludere, l’esplorazione di una psiche attraverso le “crepe” della normalità: Il Cigno Nero (2010) di Darren Aronofsky.


Scena cult – Due su tutte: il banchetto di mezzanotte nel dormitorio delle ragazze, autentico momento di estasi pagana, e la culminazione del dramma della storia (una scena che non descrivo, per non rovinare il film a nessuno) dove Eva Green pare diventare un’autentica nosferatu.

Canzone cult – Tutta musica di violini e due sole canzoni retrò. Ne cito solo una, Puttin’ on the Ritz, cantata da Fred Astaire, protagonista anche di una famosissima scena del mio amato Frankenstein Jr. (1974) di Mel Brooks.

1 commento:

  1. Ah, ecco, tu l'hai visto. Perché non lo conosce nessuno. Io, in piena fase "cotta per Eva Green", l'ho recuperato oggi e l'ho trovato veramente affascinante. Lei stupendissima. Solo lei poteva interpretare un ruolo simile: seducente e intensa. Wow.

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