Canada, 2008
Regia: Yves
Christian Fournier
Cast: Maxime
Dumontier, Chloé Bourgeois, Normand D'Amour, Niels Schneider
Sceneggiatura: Yves Christian Fournier, Guillaume Vigneault
Trama (im)modesta – Prima è il turno di Sacha, poi Alex,
Thomas, Simon. Uno si spara, uno si annega, uno si impicca. Josh è il quinto,
impotente membro di quel gruppo di amici che vede i suoi compagni morire uno
dopo l’altro. Digerire il lutto è difficile, la follia che scatena la morte è
soverchiante. Josh non può che non pensare ossessivamente a loro, muovendosi in
un mondo gelido e cementizio sospeso fra la rievocazione memoriale dei suoi
amici perduti e l’amore per Mia, che esorcizza la morte.
La mia (im)modesta opinione – Iniziamo, per analizzare
meglio Tout Est Parfait, dalle parole della canzone che apre il film: la
ballata Wash dei Calexico. «Death acts, / and Life reacts». Dunque prima c’è la
morte, poi la vita si organizza di conseguenza. Ed è proprio quello che traspare
dalle immagini del film. Il mondo di Tout Est Parfait è il mondo della morte,
non tanto nel senso che la morte viene celebrata o che il film vede la realtà
in chiave macabra ma che, nel film, quella della morte è una presenza
ammorbante, omnipervasiva, che invade anche i più piccoli gesti della vita
quotidiana. È una presenza che si fa oggetto nell’algido squallore della
provincia, nel monotono biancore dei poveri appartamenti, nella grigia
monotonia del paesaggio. Una presenza costante che raggela i nostri
protagonisti, facendoli assiderare a morte mentre questi si stringono
disperatissimi ai loro sentimenti.
Una monotonia, dunque, che è voluta e perfettamente riuscita
nel suo tentativo di dipingere un mondo che è come “un’ottava sotto”, un posto
senza luce e colore. Un luogo dove ogni spazio è aperto alla rievocazione degli
spettri del passato e dove la volontà della morte è come una malattia che
contagia dove e come può. La costante presenza di un senso sordo di morte
trasforma il ricordo in pugnalata, il sogno in terrore, l’amore in muto
esorcismo. Un mondo che è tanto pauroso (ma stranamente familiare, fidatevi)
quanto costruito. Proprio questo mondo così morto e cimiteriale è solo la
visione di Josh, il tormentatissimo protagonista, interpretato da Maxime
Dumontier (una specie di Ed Westwick più simpatico), un attore nè bello né
particolarmente bravo ma che riesce bene a trasmettere l’umor nero del suo
personaggio e la sua rabbia sorda e cocente.
Con questo suo stile così sublime, Fournier riesce a gestire
una pletora di personaggi svelando anche, poco a poco, le storie pregresse ai
suicidi ma senza mai rivelarne i fini ultimi. Perché se la morte ci tenta anche
all’ombra del sole, quella tentazione non ha un motivo vero. Il personaggio di
Sacha, il capo del gruppetto di amici al centro della vicenda, che ha il viso
di Niels Schneider, ovvero il meraviglioso Nicolas, de Les Amours Imaginaries
di Xavier Dolan, è l’unico a poter avanzare una scusa anche vagamente fondata
(il suicidio del padre avvenuto sotto i suoi occhi) ma tutti gli altri tre
giovani suicidi sono morti senza un particolare motivo, motivando i loro gesti
su dei video che noi vedremo, ma non sentiremo mai. Se non sappiamo i motivi di
quel gesto non è per colpa del regista malizioso ma perché le intenzioni di
Fournier non erano quelle di inquadrare un problema sociale dei giovani ma di
dipingere un mondo dove la morte è una presenza ossessiva, tutta mentale, ma
raggelante.
Diciamo allora, in definitiva, che Fournier ha imparato bene
dai suoi “maestri di scuola”: Van Sant, Clark, Bresson ma anche Malick e Thomas
Anderson. E come non vedere la presenza di Terrence Malick con le sue musiche
simbolico-descrittive e quella di Thomas Anderson per quel senso dell’epica
moderna, tutta incentrata con la lentissima agonia della società borghese. Una
capacità, sempre mutuata da Thomas Anderson, di portare alla ribalta personaggi
anche considerati “di contorno” con scene brevi ma taglientemente incisive
come, per esempio, quella del dialogo fra la giovane Mia e la madre di Sacha:
due personaggi così ‘strumentali’ che all’improvviso si trasformano in attori
principali. Un film sui teenager ma non un film da teenager. I più lo
troveranno lento e deprimente, ma chi ha occhi per vedere sarà abbagliato dallo
splendore. Tranne qualche piccolo neo, si può dire che tutto è perfetto, in questo Tout est Parfait.
Se ti è piaciuto guarda anche... – I maestri di Fournier
sono immediatamente riconoscibili. Si va dal Gus Van Sant della “Trilogia della
Morte” cioè Gerry (2002), Elephant (2003) e Last Days (2005) e anche dei
capolavori più recenti come Paranoid Park (2007) fino al nichilismo del
trittico di Larry Clark, Kids (1995), Bully (2001) e Ken Park (2002). E non
dimentichiamo le forti tracce de Il diavolo probabilmente… (1977) di
Robert Bresson insieme a vaghi parallelismi con il Detachment (2011) di Tony Kaye.
Scena cult – Lo spiazzante flashback che descrive i suicidi
intrecciandoli con le confessioni mute dei ragazzi che si uccidono. Tutto
gestito dal poetico sottofondo di Cat Power che canta la sua lenta Troubled Water.
Canzone cult – Oltre alle già citate Troubled Water di Cat Power,
Misery is a Butterfly dei Blonde Redhead e Wash dei Calexico, abbiamo il
western disperato di Gillian Welch Caleb Meyer, la Maybe Not sempre di Cat
Power, i pezzi rap Let’s Go di 2Faces e M’accrocher? Di Loco Locass.
pare roba interessante.
RispondiEliminama ci sono i sottotitoli?
Sì li trovi. Il film è abbastanza importante nel circuito. Lo presentarono alla Berlinale, a suo tempo. Veditelo, è stupendo.
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