USA, 2010
Regia: Kevin Asch
Cast: Jesse
Eisenberg, Justin Bartha, Ari Graynor, Danny Abeckaser, Q-Tip, Jason Fuchs
Sceneggiatura: Antonio Macia
Trama (im)modesta – Brooklyn, 1998. Samuel Gold ha
vent’anni, è un giovane ebreo ortodosso che si prepara a diventare rabbino, a
celebrare un matrimonio combinato dalla sua devote famiglia e a lavorare nel
negozio del padre. Inutile dirlo, questo rassicurante ma estremamente
asfissiante clima di rigidi dogmi morali e religiosi comincia a star stretto a
Sam che accetta subito la proposta del fratello del suo migliore amico, Yosef,
di un lavoro internazionale: trasportare da Amsterdam a New York “medicine per
gente ricca”. Queste “medicine” sono in realtà pasticche di ecstasy e Sam, da
semplice corriere, sedotto da una mondanità che mai aveva sperimentato,
diventerà un esponente di punta del gruppo.
La mia (im)modesta opinione – Holy Rollers è un film che si muove
costantemente sul ghiaccio sottile. Non che inciampi da qualche ma noi crediamo
di vederlo barcollare e ci immaginiamo il pesante e rovinoso tonfo senza che
questo mai accada. Tutto questo è perché ciò che il film riproduce, è insieme
l’affresco e la diagnosi di un preciso spaccato di mondo, ovvero la comunità
ortodossa ebraica, che resiste sempre di meno alle incessanti spinte della
modernità e, nel suo ostinato arroccarsi su costumi atavici ed esclusivisti,
finisce per porsi sotto una luce ora drammatica ora grottesca ma che comunque
ne denuncia sempre la soffocante grettezza. Personaggio-simbolo della decadenza
di questa comunità è il sopraffino Sam Gold di Jesse Eisemberg, personaggio esemplare, sì,
ma che sfugge ad ogni analisi semplicistica a cui lo si potrebbe sottoporre.
Il personaggio di Sam può essere spiegato attraverso un
episodio del film. Il rabbino, alla sinagoga, sta leggendo un passo della Torah
in cui Dio chiede ad Adamo: «Dove sei?». Il rabbino commenta questo passo
dicendo che ogni uomo deve sempre essere in grado di dire dove stia, se più
vicino o più lontano da Dio. Sorvolando su tutte le facezie
esistenzial-religiose a cui questo episodio si presta, Sam Gold è un individuo
che comincia a chiedersi quale sia il suo posto: vicino a Dio (e dunque vicino
alla famiglia, ai suoi valori e via dicendo) o lontano da Dio? Il dilemma,
purtroppo, è irrisolvibile. Perché, specialmente per un personaggio
dell’estrazione di Sam, vicino o lontano da Dio sono due concetti che non
prevedono gradazioni intermedie. Il mondo là fuori o la famiglia sicura e
amorevole? Non solo non si può scegliere ma della scelta non esiste nemmeno la
semplice speranza come si vedrà dall’inatteso finale.
Bisogna ringraziare, ovviamente, l’abilità della regia e la
solidità dello script che anche se non conducono il film con la robusta
sicurezza che sarebbe stata necessaria, riescono a farlo funzionare bene. Certo
una migliore gestione dei tempi sarebbe stata più apprezzabile dato che il film
risulta assai lento e meditativo, privo di avvenimenti, ma anche così la
pellicola riesce a farci non solo gustare il sapido aroma della ribellione e
l’opprimente peso dei gravi valori familiari ma anche a farci vivere in prima
persona tutto il dissidio di Sam, un personaggio che sceglie di non scegliere,
rifiuta il carcerario abbraccio del nido familiare ma anche la vita, spesa sul
filo della dissipazione, di Yosef e Jackie, due personaggi invero alquanto eterei. Inutile dirlo, la storia non ha un
lieto fine ma nemmeno uno brutto. Diciamo che finisce come ci si aspetta che
finisca, né più né meno.
Un bel film, in definitiva, quello di Kevin Asch. Avrebbe
potuto volare più alto ma già così fa un lavoro più che sufficiente coadiuvato
da un sublime cast di attori capeggiato da un superlativo Jesse Eisenberg (che
fa un lavoro addirittura migliore di quello, già validissimo, fatto nel
fincheriano The Social Network) e dalla bionda vamp Ari Graynor, toccante
fidanzata dello spacciatore Jackie Salomon simile, per levità e mestizia, alla
Penny Lane di Quasi Famosi. Altro valore aggiunto al film è la sbalorditiva
fotografia capace di riprodurre alla perfezione le umidi caligini di Amsterdam,
la cristallina e gelida aria di New York e lo squallore da salotto macerato
dagli anni e dalle tradizioni dei malinconici quartieri ebraici.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Ancora più inquietante
affresco del fondamentalismo religioso di stampo ebraico è il Kadosh (1999) di
Amos Gitai. Meno socialmente impegnato ma assolutamente più affascinante sono
lo stupendo The Believer (2001) di Henry Bean, la commedia dolceamara Arranged
(2007) di Diane Crespo e Stefan C. Schaefer, il drammatico Europa Europa (1990)
di Agnieszka Holland e il più affascinante Camminando sull'acqua (2004) di Eytan
Fox. In ambito israeliano abbiamo interessanti pellicola, fra cui Eyes Wide
Open (2009) di Haim Tabakman, su un padre di famiglia ebreo che scopre la
propria omosessualità, e Ajami (2009) di Scandar Copti e Yaron Shani.
Scena cult – L’involontariamente comico incontro fra i due
“promessi sposi” in cui si rivelano tutte le piccole e grandi nevrosi che
affliggono la gioventù ebrea ortodossa, ossessionata già a vent’anni dal numero
(esorbitante) di bambini da avere e dai soldi che il marito è capace di portare
in casa.
Canzone cult – Fra tutte Darkness Before the Dawn di MJ Mynarski
e Paul Comaskey, Beat Box di Matisyahu e Donne Moi di Jaime Allen (a.k.a.
Solaris).
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