martedì 24 luglio 2012

HOLY ROLLERS (2010), Kevin Asch


USA, 2010
Regia: Kevin Asch
Cast: Jesse Eisenberg, Justin Bartha, Ari Graynor, Danny Abeckaser, Q-Tip, Jason Fuchs
Sceneggiatura: Antonio Macia


Trama (im)modesta – Brooklyn, 1998. Samuel Gold ha vent’anni, è un giovane ebreo ortodosso che si prepara a diventare rabbino, a celebrare un matrimonio combinato dalla sua devote famiglia e a lavorare nel negozio del padre. Inutile dirlo, questo rassicurante ma estremamente asfissiante clima di rigidi dogmi morali e religiosi comincia a star stretto a Sam che accetta subito la proposta del fratello del suo migliore amico, Yosef, di un lavoro internazionale: trasportare da Amsterdam a New York “medicine per gente ricca”. Queste “medicine” sono in realtà pasticche di ecstasy e Sam, da semplice corriere, sedotto da una mondanità che mai aveva sperimentato, diventerà un esponente di punta del gruppo.


La mia (im)modesta opinioneHoly Rollers è un film che si muove costantemente sul ghiaccio sottile. Non che inciampi da qualche ma noi crediamo di vederlo barcollare e ci immaginiamo il pesante e rovinoso tonfo senza che questo mai accada. Tutto questo è perché ciò che il film riproduce, è insieme l’affresco e la diagnosi di un preciso spaccato di mondo, ovvero la comunità ortodossa ebraica, che resiste sempre di meno alle incessanti spinte della modernità e, nel suo ostinato arroccarsi su costumi atavici ed esclusivisti, finisce per porsi sotto una luce ora drammatica ora grottesca ma che comunque ne denuncia sempre la soffocante grettezza. Personaggio-simbolo della decadenza di questa comunità è il sopraffino Sam Gold di Jesse Eisemberg, personaggio esemplare, sì, ma che sfugge ad ogni analisi semplicistica a cui lo si potrebbe sottoporre.


Il personaggio di Sam può essere spiegato attraverso un episodio del film. Il rabbino, alla sinagoga, sta leggendo un passo della Torah in cui Dio chiede ad Adamo: «Dove sei?». Il rabbino commenta questo passo dicendo che ogni uomo deve sempre essere in grado di dire dove stia, se più vicino o più lontano da Dio. Sorvolando su tutte le facezie esistenzial-religiose a cui questo episodio si presta, Sam Gold è un individuo che comincia a chiedersi quale sia il suo posto: vicino a Dio (e dunque vicino alla famiglia, ai suoi valori e via dicendo) o lontano da Dio? Il dilemma, purtroppo, è irrisolvibile. Perché, specialmente per un personaggio dell’estrazione di Sam, vicino o lontano da Dio sono due concetti che non prevedono gradazioni intermedie. Il mondo là fuori o la famiglia sicura e amorevole? Non solo non si può scegliere ma della scelta non esiste nemmeno la semplice speranza come si vedrà dall’inatteso finale.


Bisogna ringraziare, ovviamente, l’abilità della regia e la solidità dello script che anche se non conducono il film con la robusta sicurezza che sarebbe stata necessaria, riescono a farlo funzionare bene. Certo una migliore gestione dei tempi sarebbe stata più apprezzabile dato che il film risulta assai lento e meditativo, privo di avvenimenti, ma anche così la pellicola riesce a farci non solo gustare il sapido aroma della ribellione e l’opprimente peso dei gravi valori familiari ma anche a farci vivere in prima persona tutto il dissidio di Sam, un personaggio che sceglie di non scegliere, rifiuta il carcerario abbraccio del nido familiare ma anche la vita, spesa sul filo della dissipazione, di Yosef e Jackie, due personaggi invero alquanto eterei. Inutile dirlo, la storia non ha un lieto fine ma nemmeno uno brutto. Diciamo che finisce come ci si aspetta che finisca, né più né meno.


Un bel film, in definitiva, quello di Kevin Asch. Avrebbe potuto volare più alto ma già così fa un lavoro più che sufficiente coadiuvato da un sublime cast di attori capeggiato da un superlativo Jesse Eisenberg (che fa un lavoro addirittura migliore di quello, già validissimo, fatto nel fincheriano The Social Network) e dalla bionda vamp Ari Graynor, toccante fidanzata dello spacciatore Jackie Salomon simile, per levità e mestizia, alla Penny Lane di Quasi Famosi. Altro valore aggiunto al film è la sbalorditiva fotografia capace di riprodurre alla perfezione le umidi caligini di Amsterdam, la cristallina e gelida aria di New York e lo squallore da salotto macerato dagli anni e dalle tradizioni dei malinconici quartieri ebraici.



Se ti è piaciuto guarda anche... – Ancora più inquietante affresco del fondamentalismo religioso di stampo ebraico è il Kadosh (1999) di Amos Gitai. Meno socialmente impegnato ma assolutamente più affascinante sono lo stupendo The Believer (2001) di Henry Bean, la commedia dolceamara Arranged (2007) di Diane Crespo e Stefan C. Schaefer, il drammatico Europa Europa (1990) di Agnieszka Holland e il più affascinante Camminando sull'acqua (2004) di Eytan Fox. In ambito israeliano abbiamo interessanti pellicola, fra cui Eyes Wide Open (2009) di Haim Tabakman, su un padre di famiglia ebreo che scopre la propria omosessualità, e Ajami (2009) di Scandar Copti e Yaron Shani.


Scena cult – L’involontariamente comico incontro fra i due “promessi sposi” in cui si rivelano tutte le piccole e grandi nevrosi che affliggono la gioventù ebrea ortodossa, ossessionata già a vent’anni dal numero (esorbitante) di bambini da avere e dai soldi che il marito è capace di portare in casa.

Canzone cult – Fra tutte Darkness Before the Dawn di MJ Mynarski e Paul Comaskey, Beat Box di Matisyahu e Donne Moi di Jaime Allen (a.k.a. Solaris).

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