Regia:
Catherine Breillat
Cast:
Fu’ad Aït Aattou, Asia Argento, Roxane Masquida, Claude Serraute, Yolande
Moreau
Sceneggiatura:
Catherine Breillat
Trama (im)modesta – Il
libertino Ryno de Marigny (Aattou, al suo debutto cinematografico) sta per
sposare la virginale Hermangarde (Masquida) ma la sua reputazione è minata dai
mille pettegolezzi che si rincorrono sulla sua relazione con la torrida señora Vellini (Argento), una virago
spagnola dalla sessualità sbrigliata e focosa. Ryno racconterà la storia della
relazione con la Villini alla futura suocera, che vuol essere rassicurata sulla
moralità di lui. Ma, una volta celebrato il matrimonio, la fiamma del vecchio
amore verrà riattizzata.
La mia (im)modesta opinione
– Era il 1851 quando Jules Amédéé Barbey d’Aurevilly pubblicava il suo Une vieille maîtresse, non di certo il
suo libro più famoso o ben riuscito ma contenente in nuce tutti i temi che sarebbero stati esplorati più a fondo e
più estesamente nei successivi romanzi: il vizio, il libertinismo, l’amore
crudele, il sadismo. La grandezza di Barbey d’Aurevilly sta nella sua capacità
di rendere la sua prosa densa, espressiva, carica fino al parossismo ed
evocando atmosfere oscure, misteriose e fosche che rasentano quelle sublimate
di Poe ma hanno in più un tocco di perversione e blasfemia in più.
Detto questo, è facile
notare come questo adattamento di Une
vieille maîtresse, sia tanto attinente al romanzo originale quanto freddo
nella sua rappresentazione. Mi spiego meglio: se in Barbey d’Aurevilly si
percepisce come una realtà trasfigurata, sognante e cupa, questo film è troppo
luminoso, regolare, troppo poco compiaciuto del suo erotismo e dell’esplorazione
del vizio nelle sue ramificazioni più insospettabili. Insomma tratta un romanzo di ascendenza simbolista (dunque visionario, fosco e onirico) come dovrebbe essere trattato un romanzo naturalista, ad esempio di Zola o Maupassant. Gli elementi ci sono
tutti, ma la Breillat non è, in definitiva, capace di catturare l’essenza e
l’aroma del romanzo originario.
Gli
attori, come già detto si sforzano molto, non sempre riuscendo o, per meglio
dire, riuscendo solo in parte. In pole
position abbiamo Asia Argento che, manco a dirlo, interpreta il ruolo della
promiscua dai tratti belluini e feroci. Il ruolo le calza a pennello, come al
solito, ma questo alla lunga è un male: l’interpretazione finisce per stancare.
In seconda posizione c’è il modello Fu’ad Aït Aattou, al suo debutto
cinematografico (se non contiamo un fugace cameo ne L’età inquieta di Bruno Dumont), che, dove manca in talento,
compensa in bellezza, il che non sempre è bastevole ma che, alla fin fine,
accontenta. Ultima in lista è Roxane Masquida, che è più brava di quanto voglia
far credere, ma esagera nel chiudersi in una specie di inespressività autistica.
La caratterizzazione dei
personaggi è condotta non troppo bene. Ryno è una sorta di sagoma legnosa, Hermengarde è una statua di cera, immobile ma che vorrebbe e potrebbe muoversi. Su tutti vince la Vellini di Asia
Argento con le sue pose mascoline, il suo sigaro, la sua sensualità cruda e irruente.
Poi c’è Fu’ad Aït Aattou, con il volto dolce da bambino impertinente, lo
sguardo pallido e verde e il corpo efebico e muscoloso. Nella sua freddezza è
gustoso anche il personaggio di Hermangarde, ma i veri trionfatori sono i
figuranti Yolande Moreau e Michael Londsdale, che interpretano due nobili
salottieri e pettegoli.
Un
film piacevole, questo Une vieille
maîtresse, un po’ freddo ma un pasto tutto sommato accettabile e forse
anche gustoso di quando in quando. Ci sono film migliori, ci sono film
peggiori, ma quasi nessuno ha il privilegio di mettere in scena un romanzo di
Barbey d’Aurevilly, autore assai trascurato, ma che sarebbe pronto a dare
spunti narrativi a molti sceneggiatori di tutto il cinema mondiale. E concludo
il mio discorso sulle parole della Vellini: «Odio tutto ciò che è femminile, tranne nei giovani uomini, ovviamente».
La battuta più folgorante di tutto il film.
Se
ti è piaciuto guarda anche... – Altre storie di intrighi e passioni sono il
tenue Le Seduttrici (2005) di Mike
Baker, tratto da Wilde, stupendamente recitato, seppure un po’ freddo; il
grandissimo classico Le relazioni
pericolose (1988) di Stephen Frears e il suo “gemello” il Valmont (1989) di Milos Forman; il fosco
Quills (2000) di Philip Kaufman e il visivamente interessante The Libertine
(2004) di Laurence Dunmore.
Scena
cult – La scena più visivamente interessante dell’intera pellicola è
sicuramente il flashback della vita della coppia Vellini/Ryno nel deserto
dell’Algeria, con tanto di scena di sesso alla Jodorowsky davanti a una pira
funebre.
Canzone
cult – Non pervenuta.
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