venerdì 25 maggio 2012

WUTHERING HEIGHTS (2011), Andrea Arnold


Regno Unito, 2011
Regia: Andrea Arnold
Cast: James Howson, Solomon Glave, Shannon Beer, Kaya Scodelario, Lee Shaw, Nichola Burley
Sceneggiatura: Andrea Arnold, Olivia Hetreed


Trama (im)modesta – North Yorkshire, 1771. Heathcliff è un povero ragazzo dalla pelle nera e dalle origini sconosciute adottato dal patriarca della famiglia Earnshaw che intreccia una relazione sentimentale con la propria “sorellastra”, Catherine. Alla morte di Earnshaw, Hindley, erede della proprietà e fratello di Catherine, mosso dal razzismo sottopone Heathcliff alle più pesanti vessazioni. Heathcliff si aggrappa all’amore verso Catherine ma quando lei accetta la proposta di matrimonio del ricco Edgar Linton, scappa via. Passano diversi anni e Heathcliff, diventato misteriosamente ricco, torna a Wuthering Heights per reclamare Catherine e vendicarsi dei suoi oppressori di un tempo.


La mia (im)modesta opinione – Quando un autore cinematografico si approccia a un soggetto non originale, si trova davanti un dilemma: aderire al soggetto originario con precisione o distaccarsene per suggerire una rilettura magari diversa e personale dell’opera? Tutte e due le strade sono pienamente praticabili ma bisogna dire che i migliori risultati sono ottenuti quando l’autore si distacca dal testo a monte per innestare la propria creatività personale sui rami di un’opera letteraria. È proprio a questo genere, dunque, che appartiene il Wuthering Heights di Andrea Arnold: la regista ha preso il romanzo della Brontë e lo ha scarnificato, gli ha strappato di dosso ogni fronzolo letterario, romantico e ogni suggestione gotico/onirica. Ciò che rimane dopo questo scorticamento brutale (ma anche necessario) è un dramma in costume singolare, affascinante e, soprattutto, molto molto realistico.


Iniziamo parlando della brughiera. In Wuthering Heights i personaggi, i loro drammi e le loro psicologie vengono trascinati via dal vento di un feroce panismo che riduce gli umani e le loro pulsioni a puri elementi naturali, non differenti da animali o piante. È la Natura a giganteggiare in questo film, in tutta la sua prepotenza e brutalità. Si potrebbe dire che la Arnold porta la storia originale indietro prima fino alla sua attuale realtà storica e poi ancora più indietro in un mondo galleggiante fatto di orizzonti roridi e brumosi, dove le stagioni sono cicliche, il sesso e la morte, la brama creatrice e la fame di crudeltà si confondono, si mescolano e stridono con prepotenza. Il North Yorkshire della Arnold è una landa malinconica e barbara, le brughiere invase da sterpaglie sono selvagge e stoppose e giacciono sotto un cielo perennemente uggioso e gravido di pioggia e tempeste.


Un panismo naturalistico così appassionato e dettagliato che fa quasi sfigurare Malick e il suo lucreziano The Tree of Life, che al confronto pare più un documentario della National Geographic. E dico questo perché nel film di Malick mancava totalmente la dimensione organica e corporea dei fenomeni e tutta la realtà si sublimava in un torrido vulcano di pura visione e sensazione uditiva. La natura della Arnold è invece pervasiva, crudele, potentissima. Non viene messo in scena nessuno spettacolo naturale ma se Malick cercava la grandezza nelle profondità dello spazio e nei cieli, la Arnold guarda alle piccolezza. E allora vediamo una disturbante galleria di frutta marcia, fiori delicati, animali morti, paludi caligionose, umidi prati, piogge furiose e sentiamo quasi ossessivamente i rumori della natura: versi di animali, il vento. La presenza umana è schiacciata, azzerata da tanta infinitesima immensità.


Ancora una volta in questa Natura non manca un elemento anti-idillico che rende una potenziale digressione bucolica in stile Wordsworth in una visione cruda e ferina della campagna selvaggia. La crudeltà e la crudezza emergono a spezzare quel senso di quiete e galleggiamento che ci danno sia gli orizzonti grigi e brumosi sia i movimenti della telecamera a mano di cui si serve la Arnold. Wuthering Heights non ci risparmia sgozzamenti di capre, cani impiccati, oche dal collo spezzato, conigli morti, scene di pseudo-necrofilia dolci e disturbanti a un tempo che però si sciolgono tutte nel turbinio panista della brughiera. Anche gli esseri umani si comportano da bestie: vivono con la terra e il fango, si accoppiano come bestie sul prato, vengono sepolti nella terra grassa di lumache.


Ma, in tutto questo, dove sono finiti i protagonisti? Non saprei dirlo. La dimensione umana e tratteggiata nei punti essenziali, ma non abbozzata malamente. Semplicemente l’approfondimento psicologico non interessa all’autrice che vuole piuttosto fondere la dimensione umana (e la trama complicata e ritorta del romanzo originale) con quella naturale ed evocare un mondo strano, primigenio dove le tracce di civilizzazione causano quasi disagio, dove il rumore dei cristalli di una lampada è fonte di indicibile disturbo e i cui abitanti sono esseri snervati e molli, figurine inutili  e inette, prive di qualsiasi importanza. Insomma Wuthering Heights è figlio di Cime Tempestose ma come figlio e madre si somigliano molto differenziandosi praticamente dovunque così sono queste due opere. Stesso codice genetico ma impostazione radicalmente diverse.


Qui la dimensione umana è carnale e sanguigna, oltre che civile, e comunque prevale la Natura, la grande Natura. In una scena la telecamera riprende Catherine ma poi la mette fuori fuoco per estasiarsi davanti alla muta danza della polvere dorata nell’aria. Le vicende del romanzo avvengono, sì, ma sono prive di interesse, le passioni umane sono diluite fino allo sfinimento e tutto ciò che nel romanzo c’è di languido e svenevole viene estirpato con sommaria e bruta violenza. Questo pregiudica alquanto la struttura del film stesso, che vede un’azione differita all’infinito e una tragedia che non si consuma mai, senza catarsi, senza scioglimento ma anche senza inizio, eternamente ascritta nel titanico e brutale ciclo delle stagioni e nella paurosa crudezza del clima della brughiera.


Dunque il film procede fra grandiosità liriche e difetti non certo trascurabili. I due protagonisti sono bravi ma paiono castigati e la loro interpretazione risulta insufficiente e manchevole. Lo stupendo personaggio di Heathcliff viene totalmente svuotato della sua carica distruttiva e satanica, Catherine diventa eterea e insensata, così come la trama e la narrazione. Il duo non ha alchimia e la storia è troppo poco interessante così svuotata ma forse era ciò che alla regista interessava. Ma qui pongo una domanda finale: perché scomodare il romanzo della Brontë quando gli obiettivi estetici e cinematografici erano tutti diversi? Perché attingere nomi e situazioni da una storia che risulta (paradossalmente) adulterata proprio perché resa troppo realistica? Non penso lo sapremo mai.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Altre audaci riscritture di romanzi con stravolgimento totale di trama e tematiche avviene in due dei miei film preferiti il Dracula di Bram Stoker (1992) di Francis Ford Coppola, vera pietra miliare del cinema, e lo stupendo A Single Man (2009) di Tom Ford, clamorosa riscrittura del romanzo originale di Isherwood. Per l’estasi naturalistica che pervade ogni angolo della pellicola suggerisco The Tree of Life (2011) di Terrence Malick, epica grandiosa ma qui e lì manierata, Womb (2010) di Benedek Fliegauf, sperticato inno d’amore al mare del Nord, e infine il disturbante e luciferino Antichrist (2009) di Lars Von Trier, che vede la Natura come divinità malevola e crudele incarnata nel corpo di un satanico Eterno Femminino.


Scena cult – Il battesimo di Heathcliff. Che rifiuta di inginocchiarsi ai sacramenti e scappa dalla chiesa ricevendo un diverso battesimo: quello della pioggia battente e furiosa che lo bagna e lo purifica dalle incongruenze di una società sbagliata e scorretta.

Canzone cult – Non pervenuta.

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