USA, 2012
Regia: Gary
Ross
Cast:
Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Woody Harrelson, Lenny Kravitz, Stanley
Tucci, Donald Sutherland
Sceneggiatura:
Gary Ross, Suzanne Collins, Billy Ray
Trama (im)modesta – In un futuro lontano, il mondo ha preso
il nome di Panem, è diviso in dodici distretti e Capitol City, il cuore di
questa società dominata dal Presidente Coriolanus Snow, chiama ogni anno
ventiquattro giovani, due per ogni distretto, per partecipare agli Hunger
Games: una brutale gara di sopravvivenza atta a favorire il dominio delle
masse. La giovane Katniss (Lawrence), offrendosi al posto della sorella minore,
insieme a Peeta (Hutcherson) rappresentano il distretto più povero di tutta
Panem. E quando entreranno nel meccanismo perverso degli Hunger Games, nulla
sarà più come prima.
La mia (im)modesta opinione – I libri della Collins, ovvero
la trilogia di The Hunger Games,
hanno fatto il passo più lungo della gamba. Sono nati come young adult fiction,
ma si sono rivelati una profonda riflessione sui meccanismi che regolano la
nostra società. Personalmente, non ho letto i libri (ma a breve li leggerò
certamente) ma ad un osservatore attento non può sfuggire che la potente
sintesi attuata nel film deriva da un lavoro assai più profondo e complesso e
ciò che nel film è solo suggerito (ma non per questo meno forte nei suoi significati), nel libro deve essere, per forza di cose, eviscerato e analizzato
con maggiore cura.
Non voglio correre il rischio di finire nella trappola della
critica paraintellettuale. Se dico che The
Hunger Games è una riflessione abbastanza lucida e inquietante sulla nostra
società odierna lo faccio con coscienza critica: di solito mi avvicino con
implacabile cautela ai blockbuster/eventi letterari giovanili di qualunque tipo
per evitare sonore mazzate alla mia pazienza (vedi la saga di Twilight con annessi e connessi) ma la
regia convincente e franca, le interpretazioni perfettamente calibrate e una
sceneggiatura densa eppure semplice (anche se qualche complicazione se la
riserva sempre) mi hanno fatto apprezzare questo film, facendomi per una volta
andare d’accordo con il profanum vulgus
che infesta le sale italiane e non.
Dicevo, dunque, che questa pellicola è una forte denuncia
sociale. Non mi riferisco ai reality show o alle manipolazioni dei media, temi
sì presenti ma comunque strabusati e adusti, quanto piuttosto alla
rappresentazione di una casta politica grottesca e ridicola, che fa del kitsch
la sua nuova eleganza e non è troppo lontana dalle sordide creature che
popolano quel luogo viscido e marcio che è il sottobosco televisivo italiano,
coacervo immondo di ganimedi sessantenni e strinati dalle lampade, vizze arpie
scolpite nel silicone, guitti degeneri che impersonano rivoltanti parodie di
opinionisti, politici e intellettuali. Insomma, le alte personalità di Capitol
City, con i loro occhi bistrati, le loro facce verniciate di trucco, i loro
capelli ipercolorati e cotonati sono la derivazione dell’inquietante bestiario umano già da tempo istallatosi nelle nostre televisioni e nei nostri salotti.
Quanto all’argomento del cinismo e della cattiveria espressi
dagli Hunger Games (dilemma amaro: tradurre il termine Hunger Games,
rovinandolo, o lasciarlo in inglese aumentando il tono di bambinata dell’intera
storia? Ogni soluzione era, più o meno, un suicidio), parlarne è inutile: il
film si commenta già da solo. Voglio invece lodare la validissima regia di Gary
Ross che, girando pur sempre un blockbuster e mantenendone i registri, riesce
miracolosamente a evitare di cadere in luoghi comuni idioti e detestabili: i
momenti drammatici sono sottolineati dal silenzio piuttosto che da una
stereotipata musica drammatica, i protagonisti non hanno una love story vera e propria (alleluia!) e
i momenti più tristi non sono patetici e melensi ma commossi e sostenuti, e
questo può solo essere un bene.
Fantastici sono anche gli attori. Jennifer Lawrence che
fosse brava lo avevamo capito fin da subito, che fosse versatile pure (è
passata da adolescente campagnola di Un
gelido inverno alla Mistica di X-Man –
First Class con una grazia degna di una grande diva); Josh Hutcherson è da sempre stato uno dei
miei attori preferiti: è per via di quella sua aria perennemente triste e dolce
ma comunque forte e volitiva. Tutti e due, inutile dirlo, li considero veri e
propri astri nascenti della futura Hollywood. Menzione d’onore anche a Woody
Harrelson (che dopo la mezza delusione di Rampart si è fatto perdonare
combinandosi come il peggio tronista), Lenny Kravitz, Stanley Tucci (anche con
i capelli blu e la lampada fatta è un attore sopraffino!) e a Liam Hemsworth,
il classico attore belloccio e palestrato, che a fine film né si fa la ragazza né
ci asfissia con la sua presenza. Gran bel film, questo The Hunger Games,
bisogna guardarlo: sarà uno dei classici del domani.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Gli ispiratori diretti
del film sono Battle Royale (2000) di
Kinji Fukasaky, che non solo ha il magnifico Takeshi Kitano nel cast ma ha
anche una trama pressocchè uguale a quella di The Hunger Games; poi abbiamo il
grande classico Il signore delle mosche
(1990) di Harry Hook e la pietra miliare The
Truman Show (1998) di Peter Weir, autentica e sublime pietra miliare del
genere; se invece vogliamo andare sulle strade meno battute del genere “sopravvivi
a questo!” ci sono il The Beach
(2000) di Danny Boyle, il freschissimo Island
(2012) di Rehan Malik, il grande capolavoro The
Road (2009) di John Hillcoat e il gustoso e tarantiniano The Tournament (2009) di Scott Mann,
dove i migliori killer del mondo si scontrano fra loro in una tranquilla
cittadina americana.
Scena cult – Il saluto di Katniss agli abitanti del
Distretto 11 e la di loro rivolta. Un doloroso memento sulla tragedia dell’autarchia
e del totalitarismo. Una grande scena.
Canzone cult – Il film contiene ben dodici canzoni nella sua
soundtrack. Le mie preferite sono state la Abraham’sDaughter degli Arcade Fire, la malinconica Tomorrow Will Be Kinder dei The Secret Sisters, la The Ruler and The Killer di Kid Cudi,
reminiscente antiche danze tribali mescolate a musica elettronica, le spirituali
e folkeggianti Daughter’s Lament dei
The Carolina Chocolate Drops, KingdomCome dei The Civil Wars e Come Awayto the Water dei Maroon 5 insieme a Rozzi Crane. E infine la Run Daddy Run di Miranda Lambert e dei
Pistol Annies, dal forte sapore country.
Nonostante le premesse interessanti, io l'ho trovato molto, troppo buonista rispetto a Battle Royale.
RispondiEliminaPeccato, perchè il cast e le idee c'erano tutti.
Il buonismo c'era, è vero, ma l'ho perdonato. In fondo la critica che il film fa è profonda (anche se inconsapevole). Battle Royale è meglio, ovvio, ma si rivolge a un trend diverso dunque può permettersi sia perversione che cattiveria.
RispondiEliminafilm ricco di spunti di riflessione, mi fa piacere ti sia piaciuto.
RispondiEliminadi sicuro posso consigliarti il libro (gli altri due della serie non li ho ancora letti...). non è scritto in maniera chissà quanto elaborata, però è davvero accattivante e si legge che è un piacere!
Allora appena racimolo un po' di denaro (si dà il caso che io sia un compratore compulsivo di libri) mi prendo il primo volume. Poi si vedrà!
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