venerdì 23 marzo 2012

RAMPART (2011), Oren Moverman


USA, 2011
Regia: Oren Moverman
Cast: Woody Harrelson, Ned Beatty, Ice Cube, Robin Wright, Sigourney Weaver, Steve Buscemi
Sceneggiatura: Oren Moverman, James Ellroy


Trama (im)modesta – Dave Brown è un inglorious basterd, brutto, sporco, cattivo e corrotto. Ha una famiglia (e due mogli!) che ignora e tradisce, evade le tasse, picchia i sospetti, non ha troppi scrupoli nell’uccidere. Un giorno picchia un messicano reo di aver investito la sua macchina. Lo insegue, lo pesta selvaggiamente. È ripreso dalle telecamere. L’opinione pubblica lo mette alla berlina. E qui comincia l’inesorabile caduta. Una per una le sue colpe vengono fuori, per ognuna si profila una condanna. A nulla servono le scappatoie poco lecite di Dave: l’ombra dell’arresto sembra già allungarsi sopra la sua testa.


La mia (im)modesta opinione – Un film, questo Rampart, troppo vero nel suo ruvido realismo per essere anche bello, troppo biografico nel suo ostinato accentrarsi sulla caduta (o meglio presa di consapevolezza) di un singolo, grande personaggio per preoccuparsi di avere una trama o una storia decenti. Dunque no, non mi è piaciuto affatto Rampart. L’ho trovato noioso, monotono, grigio e ripetitivo. Non bastano a salvarlo le fugaci apparizioni di una Sigourney Weaver in stato di grazia o di un pallido Steve Buscemi, che fa solo una rapidissima affacciata, per salvare il film. Non bastano gli ampi scenari conurbati  e assetati dal sole di questa Los Angeles che mai fu tanto silenziosa e borghese: il film è vuoto per il suo realismo, troppo sincero per essere artistico, troppo verosimile per essere organico, troppo normale (ma dopo aver visto questo film la normalità sarà come un insulto) per essere memorabile.


Si salva solo Woody Harrelson. Onnipresente bandito dal cuore (non poi così tanto) d’oro, non tanto angelo caduto quanto diavolo riabilitato. Con quella sua faccia dura e insolente, cotta dal sole californiano, da yankee bigotto e terricolo ci spiazza con la sua sincerità bestiale. Il personaggio è negativo, non diabolico, corrotto, non compiaciuto, violento, non sadico. Non c’è nulla in lui che possa trasformarlo in un antieroe affascinante. E forse è proprio questo l’obiettivo del regista: non affascinare, non compiacere, non appagare. Moverman ci presenta una pellicola nuda e cruda, un boccone stopposo e duro da masticare e mandare giù perché non vuole colpirci, non pensa allo spettatore. Descrive come se vedesse. Non moraleggia, non filosofa. E a volte questo è un bene, ma poi sorge un dubbio: che questo film sia gratuito. Forse lo è.


Grande è solo il carattere di Dave. Il caso di Dave Brown è il nostro caso. Il mondo che tanto velocemente sembra crollargli addosso è il nostro mondo. Dave è violento, misogino, omofobo, rozzo, puttaniere e corrotto. La corruzione è l’unico tramite che gli permette di comunicare e interagire con l’altro. La sua è una anti-morale. Quando gli si chiede ragione dei suoi crimini di odio, violenza, traffici illeciti lui risponde che non ci sono crimini, per tutto il film non fa che spergiurare di essere il poliziotto migliore di tutta Los Angeles. Una Los Angeles, a suo dire, corrotta, schifosa, putrida e infernale.
Ma noi vediamo solo strade quiete, quartieri residenziali magari non eleganti ma nemmeno infestati dal crimine. Un film di poliziotti senza criminali. E questo è curioso dato che gli stessi criminali sono vittime dalla anti-giustizia di Dave. Lui uccide, picchia, estorce e ruba, ma si sente perfettamente innocente.


Perché è così, dice, che vanno le cose. Strano. Strano soprattutto perché tutti coloro che lo circondano non fanno che indicargli i suoi crimini mentre lui scuote la testa stupito. Ma Dave è di un altro mondo, di un altro tempo, di un’altra morale: l’unica persona con cui ha un dialogo civile e, per così dire, normale è il corrottissimo ex-poliziotto Hartshorn, ormai vecchio, con cui parla, si confessa e si rapporta.
Con tutti gli altri c’è aggressività, odio, durezza. Ma Dave Brown è capace anche di dolcezza, una dolcezza tutta rude e virile, intrisa inevitabilmente di pregiudizio culturale e razziale.
Una mezza delusione, Rampart, considerato che fra gli sceneggiatori del film c’è il multiforme ingegno di James Ellroy, uno scrittore che non mi ha mai fatto impazzire, ma a cui va riconosciuto il merito che si è giustamente meritato come instancabile verista di genere, che ha dato nuova e più attuale forma al noir metropolitano.


Se ti è piaciuto guarda anche… - L.A. Confidential (1997) di Curtis Hanson, perché è il più nobile figlio di Casa Ellroy, perché è il più malinconico neo-noir mai scritto e perché Kim Basinger è bella da mozzare il fiato. Il braccio violento della legge (1971) di William Friedkin, perché anche se non ho mai veramente amato questo film, che è un classico, non si può che prostrarsi e adorare la performance di Gene Hackman, vero portento dello schermo cinematografico.Training Day (2001) di Antoine Fuqua, perché è duro e sporco e cattivo e perché c’è Denzel Washington al suo meglio, prima che si rovinasse con gli squallidi thriller d’azione in cui s’è ormai impantanato. Il cattivo tenente (1992) di Abel Ferrara, perché è puro vintage reduce di Cannes, perché l’accoppiata Keitel/Ferrara è qualcosa di magico e spiazzante, perché è un film duro, forte ma anche potente e profondamente autoriale.

Scena cult – La discoteca a luci rosse frequentata da un Dave ubriaco e drogato. Neon rosa, prostitute affascinanti e musica martellante fanno la sequenza più visivamente interessante di tutto il film.

Canzone cult - Lo sgargiante e rabbioso rap dei Delinquent Habits: Tres Delinquentes. Perfetta sinfonia urbana da barrio rabbioso e sovrappopolato.

2 commenti:

  1. non sembra fondamentale..
    se lo recupero, è solo per il grande woody!

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  2. Ed è la sola cosa che ne valga la pena, fidati. Il film è formalmente bello ma di una noia mortale.

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