Canada, 2010
Regia: Xavier Dolan
Cast: Xavier Dolan, Monica Chokri, Nils Schneider
Sceneggiatura: Xavier Dolan
Trama (im)modesta – Francis (Dolan) e Marie (Chokri) sono due amici insoddisfatti della routine quotidiana tanto prevedibile quanto frustrante e si innamorano entrambi dello
stesso ragazzo, il bellissimo Nicolas (Schneider). Inizierà una sorta di bizzarro ménage à trois basato sulle fantasie dei due e sulle loro tattiche (spesso anche meschine) per la conquista di un amore molto favoleggiato ma che di reale ha ben poco.
La mia (im)modesta opinione – Dolan non è propriamente un
genio, ma ha un grande senso del bello, un fortissimo gusto estetico e una
naturale tendenza al dialogo minimale e al monologo, tipici stilemi
tarantiniani. Tutto questo traspare dal suo film. Prima degli Amours, Dolan
aveva diretto, scritto e interpretato il deludente J’ai Tué Ma Mere ed era
apparso di sfuggita in quello spettacoloso grand-guignol che è stato Martyrs e, più recentemente, nella dark comedy Good Neighbors. Ma è solo con i suoi Amours che Dolan dispiega le sue ali alla perfezione, ed stupisce non poco che a soli 22 anni il suo stile registico sia tanto maturo e compatto. Trama ed episodi di questo
film minimali e ridotti all’osso, lunghi e densi monologhi e conversazioni
futili e brillanti, lunghe sequenze al ralenty (lo ammetto, le adoro!) e una
cornice originale come può esserlo quella del sottobosco indie/hipster/omo-bisessuale
della Montreal giovane.
Un film scintillante, coloratissimo, fotografato con perizia,
insomma puro godimento audiovisivo. Dolan ama sospendere i movimenti,
concentrarsi su gesti plastici e scultorei (mentre Nicolas balla si vedono
fugaci frames che ritraggono il David di Michelangelo), tirare fuori vere e
proprie foto artistiche dalla realtà in movimento. Proprio per questo la realtà
va fotografata, condensata in gesti essenziali e il film è essenzialmente
questo: una foto in posa ma, come tutte le foto in posa, l’imprevisto è in
agguato e quindi vediamo questa altrimenti patinata realtà incrinarsi e
lasciare trasparire piccole e grandi nevrosi, insoddisfazioni, infantilismi.
Dolan è un fotografo più bravo di quanto voglia far credere.
Coglie tutte le sfumature cromatiche sia del paesaggio cittadino che dell’animo
umano. Cattura alla perfezione la sensualità di questo o quel gesto e le
piccole grandi fragilità che ci gonfiano il cuore di lacrime, conosce
l’alchimia bizzarra dei colori, delle forme e degli sguardi, coglie con
maestria giochi di luce e accordi segreti fra suoni e geometrie. Ma la sua
visione non è soltanto estetizzante: i dettagli che racconta e fotografa sono
anche privati, forse imbarazzanti, dettagli di cui ci potremmo vergognare noi
stessi dato che sono così comuni e, soprattutto, umani. Sì, ed è l’umanità il
punto forte di Dolan: i suoi film sono personali, raccontano perché ci
raccontano tutti, nei nostri piccoli drammi personali.
Il suo film si pone come pomo della discordia all'interno del dibattito sulla natura dell'amore tra i vari film romantici (o presunti tali). L’intervento di Dolan
è, insomma, sconvolgente: e se l’amore moderno fosse possibile solo come immaginario? Un sogno, una fantasia?
Forse l’amore, pieno di orrore per il cinismo moderno, ha deciso di diventare
fenomeno puramente mentale e nevrotico, staccandosi e staccando tutto il resto
dalla realtà. I protagonisti di Dolan siamo proprio noi: tanto desiderosi di
calore umano che siamo disposti a inventarcelo. Ma il quadro non è certo
tragico: c’è una sorta di ironia nel ripetersi degli eventi, delle nevrosi,
delle musiche che ci risuonano nell’animo. Insomma, abbiamo davanti un
autentico maestro, uno stupefacente enfant prodige del cinema. Un Tarantino dei
sentimenti, un Wong Kar-Wai più turgido e spirituale, un Almòdovar più
essenziale e penetrante. Aspettiamo Xavier Dolan con il tuo terzo, meraviglioso
(si spera) parto intellettuale: Laurence Anyways, storia dell’amore impossibile
fra una donna e un uomo transgender, attualmente in produzione.
Se ti è piaciuto guarda anche... – The Dreamers (2003) di
Bernardo Bertolucci, perché è un film molto intellettuale, radical chich e ha
nel suo centro giovani e triangoli amorosi. My Blueberry Nights (2007) di Wong
Kar Wai, perché è bello, è malinconico, commovente fino all’ultimo
fotogramma, chiaro ispiratore di Dolan. A Single Man (2009) di Tom Ford, perché questo film è una corda
testa così tanto sull’arco del lirismo che pare spezzarsi in singhiozzi in ogni
momento. Splendidi Amori (1999) di Gregg Araki, perchè è un altro ménage à trois, sempre ispirato, sempre lirico e soprattutto il film più accessibile di tutta la filmografia di Araki, solitamente regista astruso e volutamente lambiccato. Jules e Jim (1962) di François Truffaut, perché è un film a cui gli Amours devono molto in termini di stile e contenuti, e anche perché Truffaut è un autore meraviglioso.
Scena cult – Il geniale epilogo, autentico sugo di tutta la storia. Perfetta chiusura ad anello che gioca sull'ironia, la malinconia, l'allegria malinconica che sta alla base del lavoro di Dolan.
Canzone cult – Scelta scontata: il Bang Bang di Dalida che ricorre come leitmotiv a evocare quella sorta di speranza ridente e malinconica a un tempo che domina nel cuore di ogni innamorato "immaginario".
anch'io avevo trovato deludente il suo primo film e splendido questo.
RispondiEliminaora non ci resta che aspettare la sua opera terza...
Dalle foto teaser dal backstage pare bello. Però mi chiedo se la storia possa permettergli di lavorare sul lato lirico della faccenda. Speriamo che riesca a inventarsi qualcosa di über-cool come gli Amours!
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