mercoledì 12 settembre 2012

BODY WITHOUT SOUL (1995), Wictor Grodecki


Repubblica Ceca, 1995
Regia: Wictor Grodecki
Cast: Pavel Rousek, Vaclav Cernogursky, Pavel Petroci, Martin Maca, David, Marek, David, Matthew, Sawannah, Ota, Jarda, Pavel, Thomas
Sceneggiatura: Wictor Grodecki


Trama (im)modesta – Il film è un documentario che contiene interviste a svariati hustlers (il termine gigolò è decisamente troppo frou-frou) di Praga e a Pavel Rousek, pornografo che usa gli stessi per i suoi film. Articolato in tre sezioni (sommariamente divise), il film parla all’inizio del background di questi ragazzi, nel suo mezzo del sottobosco pornografico illegale (nessuno fra gli intervistati supera i diciott’anni) con un grande approfondimento della figura del pornografo Rousek e della sua doppia vita: regista di porno la notte e anatomopatologo alla luce del giorno (e si vede pure un’autopsia, terrificante) e, alla fine, nella parte forse più melensa del film ma anche la più coinvolgente, si tratta del tema dei ragazzi con la morte, esposti come sono a malattie e rischi di ogni tipo.


La mia (im)modesta opinione – Come recensire un documentario? È uno strano problema, invero, specialmente se la recensione parla di un film come questo. Innanzitutto va detto che Body Without Soul è il secondo quadro del trittico sulla prostituzione minorile a Praga di Godrecki: prima di lui c’era No Angels But Angels, dopo di lui il film neorealista Mandragora. Un secondo, più inquietante problema è rappresentato dal mix di realtà è finzione. Il film ci viene descritto come documentario: ma siamo proprio certi che nulla sia artefatto? L’underworld della prostituzione di Praga, così come ce lo descrive Godrecki, è qualcosa di semplicemente pauroso, un vero inferno in terra – un inferno popolato da angeli. Angeli sì, forse anche santi, martiri e, al contempo, demoni tremendi. Ammesso e non concesso che tutti i ragazzi intervistati siano veri hustlers (ma lo sono, mi piace credere che il regista sia stato sincero), a sedici anni conoscono la vita più di qualunque altro uomo. Sono creature confuse, fragili sì, ma hanno ancora il coraggio di abbozzare un sorriso, provare amore, patire dolore.


Perché dubitare del fatto che il film sia un documentario? Non che se ne dica il contrario. C’è una bellezza nella caratterizzazione dei personaggi, una finezza che pare miracolosa per un film sul reale. Mi piace ricordare la recentissima intervista a Steven Soderbergh, che ha appena diretto il film Magic Mike, con Channing Tatum e basato sulla vera esperienza dello stesso, che ha affermato che, scrivendolo, c’era stato il bisogno di modificare le vere esperienze perché, mettendole sullo schermo, il pubblico le avrebbe giudicate improbabili. È quasi entusiasmante riflettere su questo trascolorare dell’arte con la vita e viceversa. L’arte è sempre verosimile, in un modo o nell’altro; è la vita a essere inverosimile. I ragazzi che vediamo nel film sono esseri umani preziosi, che si finisce per compatire; li si vorrebbe abbracciare, confortare, aiutare addirittura. Perfino la figura del pornografo Rousek è complessissima: un orco che reprime la sua stessa umanità per poter campare, un fallito, un attorucolo scalcinato che balbetta la sua parte nel teatrino della vita sperando in un vago sogno d'artista. Un essere di figura tremenda: occhi pesti cerchiati di un inverosimile nero, una chiostra di denti marci, pupille lacrimose...


I ragazzi, poi. Tutti i ragazzi. Degli angeli maledetti, forse; innocenti più di tutti, perché hanno dato fondo al peccato. Poveri caini, orfani, diseredati. Non esenti anche loro dalla depravazione che contamina la stessa aria che respirano, certo (raggelante è il prostituto Matthew che dice di gustarsi alquanto il sesso con ragazzini prepubescenti). Portavoce di chissà quanti battaglioni di loro coetanei e consimili che vagano per le strade, si disperano per un poco di denaro. Corpi senz’anima, appunto. E l’argomento è toccato proprio nel film dove i ragazzi stessi parlano di sé: uno teme la morte, uno l’ama; uno, bellissimo, dice di odiare il suo corpo (il disprezzo dell’omicida per il pugnale?), uno dice di essere solo un sacco di carne e ossa; uno racconta le proprie speranze di una vita normale e semplice, l’altro proclama il crollo di ogni futura speranza. Angeli sì, e ancora. Sono passati più di sedici anni dalle interviste di questo film: chi di loro è vivo? Qualcuno ce l’ha fatta, forse?


Di queste ambiguità il regista è ben consapevole. È consapevole del fatto che la sventura che perseguita questi poveri ragazzi rasenta l’artificioso; è consapevole del fatto che il mondo che descrive è tanto abietto da parere grottesco, forse quasi ridicolo; ma si giustifica, genialmente, con l’epigrafe di Susan Sonlag che inaugura il film: «Tutte le forme di arte seria e di conoscenza – in altre parole, tutte le forme della verità – sono sospette e pericolose». La verità è sospetta. Il vero non è verosimile. Questo film è stato tacciato di essere un film d’autore mascherato da documentario. Ci condiamo anche qui il beneficio del dubbio: le musiche sacre, l’eleganza delle inquadratura, perfino la concisa profondità, quasi aforistica, con cui i ragazzi rispondono a delle domande; tutto pare finto, simulato. La verità sembra sospetta e pericolosa. Ma poi si guarda in volto i ragazzi e si capisce che non sono loro a recitare ma siamo noi a fingere, fingere di non credere a questo mondo sotterraneo così infernale e disgustoso.


Girato con la massima eleganza stilistica, sorretto da un’arte sottile, Body Without Soul è uno dei documentari più scioccanti, commoventi e perturbanti che vi potrebbe mai capitare di vedere. Con questo suo affresco di un mondo tanto dannato, dove anche le supposte vittime sono carnefici e dove, dietro il male, possono nascondersi i sorrisi più sinceri, gli sguardi più luminosi e le fitte più dolorose. Questo film, come già da me argomentato, è un enigma, è vero – un enigma che andrebbe risolto, ma a nostre spese. Potreste trovarlo sensazionalistico, è vero, ma chi dice questo semplicemente non è capace di cogliere l’esatta natura dell’operazione che Godrecki mette in atto: il suo ritratto è impietoso? La vita di questi ragazzi lo è. Il suo mondo è tremendo? Quel mondo lo è davvero. La verità, rammentiamolo, può essere sospetta e pericolosa. Ustionante, sì, orrenda, efferata, commovente; ma, sopra ogni altra cosa, sospetta e pericolosa.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Ovviamente i fratelli di Body Without Soul, ovvero Not Angels But Angels (1994) e Mandragora (1997) sempre di Wictor Godrecki. Film di culto sulla figura dell’hustler di strada è ovviamente Flesh (1968) di Paul Morrissey, prodotto dal grandissimo Andy Warhol. Altro importante (e rarissimo) documentario è lo Street Kids (1985) di Peg Campbell, mentre eccellenti lavori di fiction sul tema sono Mysterious Skin (2004) di Gregg Araki, l’abbastanza sconvolgente L.I.E. (2001) di Michael Cuesta e le gemme My Own Private Idaho (1991) e Mala Noche (1986), entrambi di Gus Van Sant. Film più scanzonati ma, spesso, anche più intelligenti e acuti sono anche Strapped (2010) di Joseph Graham e Boy Culture (2006) di Q. Allan Brocka.


Scena cult – La scena più geniale: intervista doppia al pornografo Pavel Rousek: una, di giorno, mentre disseziona un cadavere (ed è una delle cose più splatter che abbia mai visto); una, di notte, mentre gira un film a luci rosse. Pornografia, macelleria, dissezione di gente morta (fisica o morale che sia), quello che capiamo è che la differenza non è poi tanta.

Canzone cult – Musica classica a palla. Due su tutte: l’atro Kyrie Eleison di Mozart e l’angelico Miserere di Gregorio Allegri.

5 commenti:

  1. Risposte
    1. La scena dell'autopsia ha messo in mutande anni e anni di Saw e Hostel...

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  2. La descrizione del film è fatta talmente bene , che chiunque è incuriosito dal vederlo...
    Molto bravo, complimenti!

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  3. Mi conforta constatare di non essere l'unico a non aver visto questo film!
    Davvero devastante... condivido il tuo pensierio riguardo la messa in scena, sembra che il regista abbia voluto dare espressione a questi ragazzi, dandoli la forma che meritavano.

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