Francia,
2008
Regia: Pascal-Alex
Vincent
Cast:
Alexandre Carril, Victor Carril, Anaïs Demoustier, Samir Harrag
Sceneggiatura: Pascal-Alex Vincent, Olivier Nicklaus, Martin
Drouot
Trama (im)modesta – Antoine e Quentin, due gemelli, si
stanno recando in Spagna per assistere al funerale della madre che non hanno
mai conosciuto, all’insaputa del padre. Completamente squattrinati, i due
scroccano passaggi a camion, saltano sui treni merci, fanno l’autostop oppure
camminano a piedi. Nel corso del loro tragitto incontrano svariate persone:
ragazze (e un ragazzo) con cui vanno a letto, famiglie, stranieri sognatori. Il
viaggio, però, e l’indole litigiosa dei due li separano fino a quando Antoine, dopo
quella che pare una definitiva rottura, non capisce di aver bisogno del
fratello, se non come figura fraterna almeno come polo conflittuale.
La mia (im)modesta opinione – Film scivoloso, questo
Donne-Moi la Main. Film per soli esperti. Vederlo significa camminare su
ghiaccio sottile, rischiare di affondare nella trappola di un radical-chic
subdolo e pressoché invisibile. Un radical-chic fatto di silenzi e sguardi,
musica minimale, sceneggiatura ridotta all’osso e situazioni strappate a forza
da film d’autore americani, quelli di Gus Van Sant in primis, fino allo
Zabriskie Point di Antonioni. E radical-chic è l’approccio nouvellevaguista
alla storia, l’insistenza sul realismo e la mescolanza di suoni naturali e
musica minimale. Si può dire, in definitiva, che Donne-Moi la Main è un film di
forte maniera; ben fatto, senza dubbio, ma troppo modaiolo, troppo lanciato
incontro ai gusti dei cinefili duri e puri. Un po’ come quel meretricio
cinematografico che sono le tre ore di Les Amants Reguliers di Philippe Garrel.
Ho detto che, dopo tutto, il film è valido sotto certi
aspetti. Il primo è certamente la straordinaria accoppiata dei gemelli Carril.
Due attori capacissimi, molto superiori alle aspettative di chi li vede sul
poster del film (sì, lo ammetto, giudico i libri dalla copertina e i film dalla
locandina) dove paiono più due belle facce per narrare questa storiella da
niente, condita alla buona con suppostamente profondi simbolismi e condita qui
e lì con exploit sessuali che si vorrebbero artistici ma che al massimo paiono
inappropriati e perfettamente evitabili. Altro punto a favore del film è la
bella cinematografia: tanta luce e aria fresca, colori genuini e la natura a
far da terzo protagonista. Ma nemmeno questa e nemmeno i simboli riescono a
tutorare il magro scheletro di uno script inefficace e quasi fastidioso con
quei mille silenzi pseudo-artistici. Lo ammetto qualche brivido lo fanno
correre lungo la schiena gli sguardi verdi di Alexandre Carril, il più capace
dei due fratelli (senza nulla togliere al secondo gemello), che perforano
letteralmente lo schermo.
Impegnato com’è a orchestrare chissà quale poetica
dell’insulso e a farcire di sottesi filosofico/simbolici tutta la sua
narrazione, il regista/autore si dimentica di rendere la propria storia coesa,
interessante, di fornire appigli al fruitore, di tracciare anche una remota
larva di psicologia nei suoi personaggi che vengono fatti agire senza
particolare (o intuibile) criterio, sebbene le due figure dei gemelli in
conflitto siano ben interessanti e incarnate con forza dai due Carril. Con un
accostolata tanto esile, è ovvio che curatissima cinematografia, belle musiche
e valide performances attoriali finiscano per precipitare nell’unanime fondo di
noia che pervade la pellicola; che, invece di commuovere con la sua bellezza,
finisce per innervosire con la sua supponenza e arroganza, mascherata da
semplicità bucolica e minimale raffinatezza. Insomma, io vi ho avvertito. Se
cercate la bellezza in francese, la nuova patria sono le Fiandre e il Canada.
La Francia è stanca. Passo e chiudo.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Paragone scontato: My OwnPrivate Idaho (1991) di Gus Van Sant. Altri interessanti road movies sono Into
the Wild (2007) di Sean Penn, il cult personale Il treno per il Darjeeling
(2007) di Wes Anderson, che, per altro, tocca anche in maniera molto pungente
il tema dell’amore fraterno; il must-have-seen del cinema indie, ovvero Little
Miss Sunshine (2006) di Jonathan Dayton e Valerie Faris, il tarantiniano
sconfessato Assassini nati (1994) di Oliver Stone e il grottesco Rat Race
(2001) di Jerry Zucker.
Scena cult – Non pervenuta.
Canzone cult – La stupenda Melocoton di Colette Magny.
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