mercoledì 25 luglio 2012

DEADGIRL (2008), Marcel Sarmiento, Gadi Harel


USA, 2008
Regia: Marcel Sarmiento, Gadi Harel
Cast: Shiloh Fernandez, Noah Segan, Jenny Spain, Eric Podnar, Candice Accola
Sceneggiatura: Trent Haaga


Trama (im)modesta – J.T. e Rickie, due liceali, dopo aver marinato la scuola, decidono di esplorare un manicomio abbandonato che si trova fuori città. Addentrandosi sempre più a fondo tra corridoi e scantinati, i due finiscono in una camera sotterranea in cui trovano una donna nuda, legata e semicosciente. Come presto scopriranno i due, la donna non può morire: può essere pugnalata a morte, strangolata, le si può spezzare il collo o spararle addosso, la donna torna sempre in vita ma sempre in uno stato animale. Inutile dirlo, presto la donna (essendo tra le altre cose, bellissima) diventerà il giocattolo sessuale di J.T. e di un altro suo amico, Wheeler, mentre Rickie si rifiuterà sempre di approfittare di lei. Cominciano a nascere problemi quando i tre ragazzi scoprono che un morso della donna può trasformare in non-morti gli esseri umani comuni.


 La mia (im)modesta opinioneDeadgirl è un film malato, perverso, disumano, crudele e assolutamente non raccomandabile a chiunque abbia scarsa sopportazione delle situazioni al limite. Ma, oltre a essere tutte queste cose, Deadgirl è anche, penso, uno degli horror indipendenti più profondi e geniali che io abbia mai visto. Il senso di disgusto morale e di “sporcizia” che viene dal film si prova proprio perché la storia, nella sua interezza, fa appello al lato più scuro dell’essere umano, alle sue pulsioni più crudeli, al lato più aberrante del suo desiderio. Qual è allora quel quid che fa prendere le distanze Deadgirl da un altro, anonimo, film di zombie con vaga componente necrofila come, ad esempio, Necromentia? Ma ovviamente la profondità e la complessità dei temi sollevati che vanno dalla scoperta del sesso come esperienza indissolubilmente e nascostamente legata alla morte, a quello della frustrazione nei confronti di una vita che oscilla fra apatia e desolante abbandono umano, a quello di una frustrazione che va risolta costruendosi un mondo a parte, uno squallido teatrino della perversione sessuale dove, per poche ore, si possa diventare i padroni della vita (o della morte, fate voi) e non i suoi succubi.


La forza di Deadgirl sta nel prendere gli stereotipi del genere horror e di rivestirli di un significato nuovo, misterioso, sovraccaricandoli di chiavi interpretative e barbagli di psicologia morbosa. È come se i registi avessero preso i conosciuti strumenti del genere e avessero ideato una maniera nuova di utilizzarli – una maniera che ricorda da lontano il primo Romero con i suoi malcelati e taglienti commentari sociali o il Craven di Scream che prende gli stilemi dell’horror e li svuota di qualsiasi significato, mostrandone tutta la ridicolaggine e la fallacia. Definire Deadgirl un film dell’orrore, dunque, mi pare semplicistico, anzi limitato. Questa pellicola potrebbe essere vista come la riproposizione, per immagini, della discesa dell’uomo nella follia. Spinto dalla paura (simboleggiata dal cane nero) l’individuo abbandona la via chiara del cosciente e si perde nei condotti polverosi e contorti della propria mente (ovvero del manicomio abbandonato diviso in una zona illuminata dal sole e una minacciosa e sotterranea) fino a toccare con mano la totale abiezione dei propri desideri e sprofondare in un vortice di pazzia.


Dentro la camera nascosta del manicomio (e della mente umana) non c’è più bisogno di mentire, non c’è più bisogno della convenzione sociale: il desiderio è spoglio, nudo e crudo e può manifestarsi in tutta la sua più lurida abiezione. Ma non è un desiderio inerte, supino è un desiderio disgustoso e animalesco, un desiderio feroce, sanguinario, bestiale. In questo senso si può dire che Deadgirl esprime una concezione piuttosto pessimistica della condizione umana. Chi è più animalesco? La misteriosa donna legata nello scantinato o coloro che si divertono a stuprarla a ripetizione per il puro gusto di farlo? Ma la donna dello scantinato non è altro che l’appalesamento esteriore della realtà interiore dei personaggi, una cruda (e crudele) fantasiola narcisistico-masturbatoria che prende carne (ma non vita!) per confondere la realtà di dentro con quella di fuori. Deadgirl è il primo horror puramente “filosofico” che mi capita di vedere e sono contento di questa potente e disturbante analisi del cuore di tenebra dell’uomo. Cosa è più disgustoso, dunque, l’orrore del film o quello dell’animo umano?


Deadgirl è un film miracoloso, un film che trascende lo stesso genere a cui appartiene e proprio questa profondità, questa spiegazione per simboli di uno stato mentale, sociale e umano che l’uomo moderno sperimenta giorno dopo giorno fa perdonare al film tutti i possibili difettucci (se così si possono chiamare) che solo a un esame parecchio fiscale della pellicola possono saltare fuori. Niente virtuosismi di regia o da parte degli attori, tutti qui fanno solo il loro lavoro e lo fanno con sufficiente dignità e disinvoltura. Con piacere, però, devo dire che quando la tensione dell’horror si allenta emerge un divertente e divertito (ma soprattutto iper-macabro) humor nero che arricchisce i film con tutti i succhi più corrosivi di un’ironia così acida che potrebbe ustionare. I miei più sperticati complimenti vanno a Jenny Spain, che interpreta la donna del seminterrato: bisogna avere l’intestino foderato d’acciaio per sostenere una parte così forte e dura, bisogna avere coraggio a recitare per tutto il film completamente nuda facendosi toccare e palpeggiare da metà del cast e soprattutto bisogna essere unici per mescolare in maniera tanto perfetta nel proprio viso bellezza e ferocia, grazia e ferinità.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Certamente vicino a Deadgirl è il francese À l'intérieur (2007) di Alexandre Bustillo e Julien Maury, non tanto per tematiche quanto per analisi della brutalizzazione dell’essere umano. Intriganti sono anche il grande classico Videodrome (1983) di David Cronenberg e il meditativo Session 9 (2001) di Brad Anderson. Variante divertente/orrifica sul tema è l’ormai proverbiale Denti (2007) di Mitchell Lichtenstein ma il vero fratello di sangue di questa pellicola è lo strabiliante The Woman (2011) di Lucky McKee insieme al poco, pochissimo riuscito episodio Jenifer (2005) di Dario Argento di Masters of Horror.



Scena cult – La divertentissima scena dell’uccisione del cane da parte della donna. Un mix di grottesca e spaventosa tenerezza, amore oltre la morte e humor macabro. Da fare impazzire.

Canzone cult – Non pervenuta.

3 commenti:

  1. La trama mi incuriosisce parecchio, mi sa che lo metto in lista :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Solo un consiglio prima della visione: "Occhio clinico e stomaco di ferro". ;-)

      Elimina
    2. uuuuuuuuuh davvero? Non ti preoccupare sono allenata, ho visto la trilogia della morte Fulciana, per stomaci d'acciaio, cmq grazie per il consiglio ^_^

      Elimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...