USA, 2008
Regia: Marcel Sarmiento, Gadi Harel
Cast:
Shiloh Fernandez, Noah Segan, Jenny Spain, Eric Podnar, Candice Accola
Sceneggiatura: Trent Haaga
Trama (im)modesta – J.T. e Rickie, due liceali, dopo aver marinato
la scuola, decidono di esplorare un manicomio abbandonato che si trova fuori
città. Addentrandosi sempre più a fondo tra corridoi e scantinati, i due
finiscono in una camera sotterranea in cui trovano una donna nuda, legata e
semicosciente. Come presto scopriranno i due, la donna non può morire: può
essere pugnalata a morte, strangolata, le si può spezzare il collo o spararle
addosso, la donna torna sempre in vita ma sempre in uno stato animale. Inutile
dirlo, presto la donna (essendo tra le altre cose, bellissima) diventerà il
giocattolo sessuale di J.T. e di un altro suo amico, Wheeler, mentre Rickie si
rifiuterà sempre di approfittare di lei. Cominciano a nascere problemi quando i
tre ragazzi scoprono che un morso della donna può trasformare in non-morti gli
esseri umani comuni.
La forza di Deadgirl sta nel prendere gli stereotipi del
genere horror e di rivestirli di un significato nuovo, misterioso,
sovraccaricandoli di chiavi interpretative e barbagli di psicologia morbosa. È
come se i registi avessero preso i conosciuti strumenti del genere e avessero
ideato una maniera nuova di utilizzarli – una maniera che ricorda da lontano il
primo Romero con i suoi malcelati e taglienti commentari sociali o il Craven di
Scream che prende gli stilemi dell’horror e li svuota di qualsiasi significato,
mostrandone tutta la ridicolaggine e la fallacia. Definire Deadgirl un film
dell’orrore, dunque, mi pare semplicistico, anzi limitato. Questa pellicola
potrebbe essere vista come la riproposizione, per immagini, della discesa
dell’uomo nella follia. Spinto dalla paura (simboleggiata dal cane nero)
l’individuo abbandona la via chiara del cosciente e si perde nei condotti
polverosi e contorti della propria mente (ovvero del manicomio abbandonato
diviso in una zona illuminata dal sole e una minacciosa e sotterranea) fino a
toccare con mano la totale abiezione dei propri desideri e sprofondare in un
vortice di pazzia.
Dentro la camera nascosta del manicomio (e della mente
umana) non c’è più bisogno di mentire, non c’è più bisogno della convenzione
sociale: il desiderio è spoglio, nudo e crudo e può manifestarsi in tutta la
sua più lurida abiezione. Ma non è un desiderio inerte, supino è un desiderio
disgustoso e animalesco, un desiderio feroce, sanguinario, bestiale. In questo
senso si può dire che Deadgirl esprime una concezione piuttosto pessimistica
della condizione umana. Chi è più animalesco? La misteriosa donna legata nello
scantinato o coloro che si divertono a stuprarla a ripetizione per il puro
gusto di farlo? Ma la donna dello scantinato non è altro che l’appalesamento
esteriore della realtà interiore dei personaggi, una cruda (e crudele)
fantasiola narcisistico-masturbatoria che prende carne (ma non vita!) per
confondere la realtà di dentro con quella di fuori. Deadgirl è il primo horror
puramente “filosofico” che mi capita di vedere e sono contento di questa
potente e disturbante analisi del cuore di tenebra dell’uomo. Cosa è più
disgustoso, dunque, l’orrore del film o quello dell’animo umano?
Deadgirl è un film miracoloso, un film che trascende lo
stesso genere a cui appartiene e proprio questa profondità, questa spiegazione
per simboli di uno stato mentale, sociale e umano che l’uomo moderno sperimenta
giorno dopo giorno fa perdonare al film tutti i possibili difettucci (se così
si possono chiamare) che solo a un esame parecchio fiscale della pellicola
possono saltare fuori. Niente virtuosismi di regia o da parte degli attori,
tutti qui fanno solo il loro lavoro e lo fanno con sufficiente dignità e
disinvoltura. Con piacere, però, devo dire che quando la tensione dell’horror
si allenta emerge un divertente e divertito (ma soprattutto iper-macabro) humor
nero che arricchisce i film con tutti i succhi più corrosivi di un’ironia così
acida che potrebbe ustionare. I miei più sperticati complimenti vanno a Jenny Spain,
che interpreta la donna del seminterrato: bisogna avere l’intestino foderato
d’acciaio per sostenere una parte così forte e dura, bisogna avere coraggio a
recitare per tutto il film completamente nuda facendosi toccare e palpeggiare
da metà del cast e soprattutto bisogna essere unici per mescolare in maniera
tanto perfetta nel proprio viso bellezza e ferocia, grazia e ferinità.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Certamente vicino a
Deadgirl è il francese À l'intérieur (2007) di Alexandre Bustillo e Julien
Maury, non tanto per tematiche quanto per analisi della brutalizzazione
dell’essere umano. Intriganti sono anche il grande classico Videodrome (1983)
di David Cronenberg e il meditativo Session 9 (2001) di Brad Anderson. Variante
divertente/orrifica sul tema è l’ormai proverbiale Denti (2007) di Mitchell
Lichtenstein ma il vero fratello di sangue di questa pellicola è lo
strabiliante The Woman (2011) di Lucky McKee insieme al poco, pochissimo
riuscito episodio Jenifer (2005) di Dario Argento di Masters of Horror.
Scena cult – La divertentissima scena dell’uccisione del
cane da parte della donna. Un mix di grottesca e spaventosa tenerezza, amore
oltre la morte e humor macabro. Da fare impazzire.
Canzone cult – Non pervenuta.
La trama mi incuriosisce parecchio, mi sa che lo metto in lista :)
RispondiEliminaSolo un consiglio prima della visione: "Occhio clinico e stomaco di ferro". ;-)
Eliminauuuuuuuuuh davvero? Non ti preoccupare sono allenata, ho visto la trilogia della morte Fulciana, per stomaci d'acciaio, cmq grazie per il consiglio ^_^
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