USA, 2002
Regia: Lucky McKee
Regia: Lucky McKee
Cast: Angela Bettis, Jeremy Sisto, Anna Faris,
James Duval
Sceneggiatura: Lucky McKee
Trama (im)modesta – May (una
perfetta Angela Bettis) è giovane, carina e vagamente psicotica. Emarginata sin
da piccola per via del suo occhio pigro, ha come unica amica una bambola che
non ha nemmeno mai toccato perché troppo delicata e dunque chiusa in una teca
di vetro. Un giorno May incontra un fascinoso ragazzo con velleità registiche,
Adam (Sisto), che, al manifestarsi della sua ingenua nevrosi, la abbandona
senza troppi indugi. Lo stesso succede con la svampita segretaria lesbica che
lavora nella sua clinica veterinaria, Polly (Faris), che, dopo averla sedotta,
la abbandona per una bambolona bionda dalle gambe mozzafiato. Realizzando di
voler bene solo a certe parti delle persone a lei vicine, May decide di unire
insieme quelle parti per creare Amy: l’amico perfetto. Insomma, scorrerà
parecchio sangue.
La mia (im)modesta opinione – Ho
sempre amato l’ibridazione di genere. Il genere chiuso, a sé stante è qualcosa
di povero, chiuso, dalle risorse limitate. Aprendosi a tutti i possibili generi
narrativi, invece, un film (ma anche una qualsiasi opera) riesce a scoprire
incroci strani, originali innesti che danno vita a pellicole, come questa,
forse non bellissime e coinvolgenti ma di cui si apprezzano le fosforescenze
psicologiche e i vicoli segreti dell’animo dei loro personaggi.
May è un film di questo genere:
storia di formazione, macabra commedia romantica, body horror, thriller
psicologico. Quello che sorprende, nel film, è la sottigliezza psicologica che,
con le sue sfumature, disegna un potente crescendo di riferimenti e situazioni.
Vediamo (o meglio indoviniamo) le idee di May formarsi nella sua mente,
guardiamo con i suoi occhi, sentiamo con le sue orecchie.
E May è un personaggio magari non
statuario ma che di certo lascia il segno. Rotto il sottile guscio della sua
consapevolezza, ignorante del mondo e dei suoi processi, May prova a ristabilire
una sorta di nucleo di normalità all’interno della sua vita basandosi su indizi
vaghi, fuorvianti che la porteranno inevitabilmente all’omicidio. Già lo
vediamo nella sua bambola: inquietante manichino rinchiuso per l’eternità nella
sua bara di cristallo dove può vedere ed essere vista ma non partecipare, non
vivere.
La rottura della teca di vetro è
la rottura del guscio in cui May era rinchiusa. Questo processo è chiaramente
visibile nella profetica sequenza dell’apertura della teca: vetri rotti e sangue
e ferite degli occhi di May. Vedere è soffrire. Ma poi viene Halloween, May si
rimbocca le maniche, si veste come la sua bambola e va a creare il suo amico
perfetto. E la sequenza della creazione di Amy (una specie di
simil-Frankenstein) è un vero capolavoro di esplorazione psicologica e amaro e
tetro umorismo macabro.
Inutile dirlo, il film ha il suo
punto di forza nella superba Angela Bettis, con le sue forme nervose, il suo
sguardo sgusciante, i suoi sorrisi intimi e amari, le sue passioni torbide. Grande
prova di recitazione al fianco di quella un po’ sopra le righe e inverosimile di
Anna Faris, stupenda ochetta svampita e sensuale. Per il resto il film è un
horror senza horror. Il regista gioca con l’orrore come un prestigiatore
raffinato mostrandolo e facendolo scomparire nella manica, mostrandoci senza
esitazione la degradazione, l’imbarazzo a cui May è sottoposta e anche la sua
crescita in negativo, la sua sanguinosa presa di sé, e poi la ribellione finale
che la vedrà cavarsi il suo “occhio malefico”. Perché a May è stato insegnato a
non accettarsi, a non socializzare (si dice nel film «Se non riesci a farti un
amico, inventatelo») e non ha mai
imparato a interagire, a giudicare.
Altra genialità del regista è
quella di non narrare la storia di May dall’alto di un registro orrifico (che
avrebbe preferito trasformare May in mostro ripugnante e sanguinolento) ma dal
punto di vista distorto della deformazione grottesca. Ed è infatti il grottesco
che regna sovrano nella pellicola: grottesco è il comportamento della lesbica
Polly, grottesco è il film diretto da Adam (dove una coppia di fidanzati invece
di fare l’amore si cannibalizza a vicenda, ponendo un inquietante parallelismo
con la realtà delle azioni successive di May), grottesche sono le proporzioni e
l’anatomia del corpo di Amy, l’amico perfetto fatto su misura di May.
Il film
dunque assume i cupissimi colori burtoniani di una favola nera (naturale è l’associazione
fra May e la Selina Kyle di Batman Returns, compresa la mania del cucito) con
una morale perversa e incerta. Ci si chiede infatti che cosa finisca per
rappresentare il film: non è certo un horror convenzionale, non è uno slasher
movie né un semplice thriller psicologico, non parla di una vera storia d’amore
(il rapporto May/Adam fallisce quasi subito) né è splatter, non ha i toni del
morality play né del quesito esistenziale, non è denuncia o provocazione. È
solo May. May dovunque, con le sue disturbanti bambole e il suo inquietante
cucito. Del resto, è risaputo, l’uomo è un burattino ed è il Diavolo che tira i
fili.
Se ti è piaciuto guarda anche...
– Batman Returns (1992) di Tim Burton, perché è il miglior Burton e perché
parla, come May, dell’emarginazione sociale a cui sono costretti i diversi e i
freaks. Willard (2003) di Glen Morgan, perché quanto a essere inquietante,
Willard Stiles, con i suoi topi addestrati e il suo sguardo acquoso e
tagliente, è il principe di tutti i mostri segreti che si nascondono nelle
pieghe della società cosiddetta civile. Psycho (1960) di Alfred Hitchcock,
perché è il più grande classico che parla della tremenda follia dei “figli di
mammà” e perché Anthony Perkins raggiunge livelli di spaventosità che rasentano
il sublime. Profumo (2006) di Tom Tykwer, perché è stato il film che, tramite
le immagini, è riuscito a creare i profumi facendoci sentire la frescura delle
carni, le abiezioni degli spiriti e le infinite e segrete palpitazioni del
sangue e del cuore.
Scena cult – Ma ovviamente lo
splatterissimo cortometraggio di Adam, dove eros e cannibalismo si incrociano in
un singolarissimo ed efficace matrimonio di suggestioni psicologiche.
Canzone cult – Difficile
scegliere in un film dalla colonna sonora tanto ben fornita di polverosi pezzi
di musica vintage ed elettronica ma, devo ammetterlo, i miei preferiti sono la
triste canzone Do You Love Me Now? dei The Breeders e il divertente brano
vintage Hanky Panky di Tommy James & The Shondells.
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