mercoledì 21 marzo 2012

WOMB (2010), Benedek Fliegauf


Germania, Ungheria, Francia, 2010
Regia: Benedek Fliegauf
Cast: Eva Green, Matt Smith, Hannah Murray, Tristan Cristopher, Natalia Tena
Sceneggiatura: Benedek Fliegauf, Elizabeth Szasz


Trama (im)modesta – Quello di Rebecca e Tom è un amore innocente, infantile, quasi poetico. Un amore che viene spezzato sul nascere quando Rebecca dovrà partire per il Giappone, per vivere con sua madre. Dodici anni dopo, Rebecca torna nel villaggio della sua infanzia e incontra ancora Tom. Di nuovo il loro amore sta per sbocciare e di nuovo il loro amore è spezzato dalla tragica morte di Tom, travolto da una macchina. Ma Rebecca lo ama tanto da decidere di dargli una nuova vita: tramite un procedimento medico è possibile clonare le persone a patto di trovare una donna disposta a fare nascere il nuovo essere umano. Rebecca decide di clonare Tom e, ottenuto un frammento di DNA, si fa inseminare e partorisce un bambino che è il clone di Tom. Ma quanto può essere autentico questo amore?


La mia (im)modesta opinione – Da qualche anno, il genere fantascientifico, abbandonata la veste di baraccone chiassoso e rutilante assunta da Indipendence Day in poi, si è concentrato sugli effetti di una scienza ormai sempre più vicina al miracoloso e su come questi miracoli scientifici possano influire sul nostro modo di sentire e pensare.
Il caso di Rebecca è esemplare: dà alla luce un figlio che non è suo figlio ma il clone esatto dell’uomo che ama, si fa chiamare “Mamma”, accompagna il piccolo Tom lungo tutta la sua infanzia, ma il suo non è amore materno: è attesa speranzosa e dolorosa di un amore che lei impone a se stessa e agli altri, natura compresa.


Ma è la Natura la grande protagonista di questo film. Spazi interminati, orizzonti sconfinati, silenzi sovrumani rotti solo dal perpetuo e onnipresente sciabordare del mare, quiete profonda. I colori della fotografia sono i toni neutri e sbiaditi dell’azzurro e della sabbia. L’occhio del regista si perde nell’infinità di un orizzonte onirico e silenzioso. Un canto di amore al Mare del Nord, scelto dal regista proprio per il senso di galleggiamento ed eternità che trasmette.
Ed è anche lo scorrere del Tempo che il film esplora con reverenziale commozione. Un tempo che scorre secondo procedimenti nascosti e segreti, un tempo che fa apparire sulla spiaggia antichi animali che si ritenevano estinti, un tempo sempre uguale e ogni volta diverso che si riavvolge e poi torna indietro, si incarta e, infine, si incrina.


L’oggetto dell’indagine filosofica del regista è il rapporto fra le leggi di Amore e quelle di Natura. In tutta la pellicola sono presenti l’acqua e il mare, intesi come veicoli di vita primigenia e segreta, e se il mare non si può vedere ci sono oggetti che lo ricordano: il lontano mugghiare delle onde, la pioggia ma anche il colore blu di cui Rebecca è sempre ammantata e rivestita.
Un amore, quello di Rebecca, sconcertante e problematico. Screziato di incesto, morbosità e una larvata vena necrofila (il riportare in vita coloro che sono morti); la tacita relazione fra Rebecca e il suo figlio/amante perduto si dipana attraverso il tempo e la natura.


Ma non è solo una banale cotta quella che muove il personaggio di Rebecca a sacrificare vita e passioni alla relazione con Tom: è pure regressione all’infanzia perduta, espiazione di una colpa (quella di aver causato involontariamente la morte dell’amato), martirio interiore, passione di natura satanica.
E Rebecca è un vero concentrato di queste contraddizioni: da un lato santa e dall’altro inconsapevole diabolique, madre amorevole e amante gelosa. Il suo dissidio è anche il nostro, il suo dilemma è tanto enorme da diventare quasi universale. Ma se all’inizio ci si potrebbe aspettare un’esplorazione dell’amor morboso, il film ci costringe a ricrederci. La tematica diventa sfaccettata, complessa, insolubile. 


Un quesito filosofico posto in uno sfondo puramente simbolico: la casa sulla palafitta dove Rebecca porta Tom dopo che il resto della società li ha riconosciuti come individui contronatura (i cloni sono odiati, per il loro essere artificiali, quasi una perversione vivente che sfida con la sua stessa esistenza tutte le leggi della natura) non è altro che un grembo materno cosmico, isolato, senza tempo e dimensioni e ognuno che va via da questo grembo (la fidanzata del nuovo Tom e poi Tom stesso, dopo aver acquistato la dura consapevolezza del suo essere sia il Tom vivente sia quello morto, originario) lo fa perché ha acquistato una nuova consapevolezza di sé e del mondo ed è pronto a rinascere.


Su tutto questo domina la figura dai contorni quasi mistici di Rebecca, vera Madonna maliconica e silenziosa (ma anche la Madonna è stata protagonista di un evento miracoloso come la resurrezione e la nascita di una creatura quasi divina), autentica martire e Stella Maris, ardente e triste, crudele e amorevole nei suoi silenzi, nei suoi sguardi, nelle sue ansie e nelle sue paure.
Un gioiello di filosofia e naturalismo, quello di Fliegauf, che lontano dall’epica di The Tree of Life di Malick e dal poema sinfonico Melancholia di Von Trier (le cui domande sulla fenomenologia del mondo e della natura sono più o meno le stesse) imbastisce in un semplice e acutissimo lirismo il rapporto fra l’essere umano (creatura relativa e contraddittoria, strappata e tirata da ogni parte dai limiti della sua natura) e la Natura (assoluta, eterna e sublime).


Se ti è piaciuto guarda anche...The Tree of Life (2011) di Terrence Malick, perché è una commossa e stupefatta contemplazione di un Ideale puro, misterioso, che viene proposto allo spettatore in forma di pura e (eventualmente) incomprensibile intuizione a priori. Never Let Me Go (2010) di Mark Romanek, perché esplora il cuore dell’idea della clonazione come vero e proprio furto violento di identità e spiritualità. Antichrist e Melancholia (rispettivamente del 2009 e del 2011) di Lars Von Trier, perchè esplorano filosoficamente i meccanismi intimi di una natura vista come perversa e satanica e fanno porre inquietanti interrogativi sugli orrori della fecondità e del male. 


Scena cult – La definitiva e traumatica consumazione dell’amore incestuoso tra Tom e Rebecca.

Canzone cult – Può essere una canzone il rumore del mare?

3 commenti:

  1. ce l'ho lì da un po' ma non l'ho ancora visto..
    mi sa che è arrivata l'ora di recuperarlo!

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  2. Fallo, sono ansioso di leggere la tua lettura del film. Io, personalmente, l'ho adorato. Sono certo che piacerà anche a te!

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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