USA, 2011
Regia:
Bobcat Goldthwait
Cast: Joel
Murray, Tara Lynne Bar, Mackenzie Brooke Smith, Melinda Page Hamilton
Sceneggiatura: Bobcat Goldthwait
Trama (im)modesta – Dopo aver perso il lavoro e aver
scoperto di avere un cancro al cervello, Frank (Murray) decide di suicidarsi.
Mentre la pistola è nella sua bocca, la televisione mostra un reality show dove
l’ennesima squinzia viziata fa l’isterica con i suoi genitori. Così Frank
decide di intraprendere una crociata contro tutta l’odiosa fauna
pseudo-televisiva che vomita spazzatura a valanghe sulla società avvelenandola
con cattiveria, superficialità e stereotipi. Dopo aver ucciso la ragazza del
reality, Frank incontra Roxy (Lynne Bar), una ragazza in conflitto con il mondo
che decide di unirsi a lui. Inizia così una selvaggia, divertentissima,
caustica e commovente killing spree che
li porterà a giustiziare col sorriso sulle labbra tutta la terribile schiatta
che prolifera nel putrido sottobosco televisivo americano: predicatori
fanatici, giudici di reality show, opinionisti politici...
La mia (im)modesta opinione – Non si dovrebbero amare i
protagonisti di God Bless America. A
onor del vero sono individui dissociati e violenti che uccidono persone (non
tanto) innocenti per motivazioni sciocche. Ma credere in questo significherebbe
essere dei lassisti. Frank e Roxy sono due superuomini, due eroici crociati
che, esasperati dalla crescente idiozia della società in cui vivono, scelgono
di ucciderla. Nessuno viene risparmiato: anche il più piccolo disturbatore è
pernicioso, ogni tagliaborse è un terrorista. Roxy e Frank sono i paladini di
un’umanità che sceglie di tornare sul cammino della civilizzazione, dopo aver
attestato il progressivo e inesorabile degrado in cui versa il mondo intero.
God Bless America
è pauroso, sbalorditivo, divertente, commovente. Pauroso perché dipinge una
società in cui l’esagerazione, il kitsch, la cafoneria, il materialismo
dominano in una specie di clima di isteria generale, una oscena pantomima
dell’umanità civilizzata, un carnevale demente, una guittoneria degna del
peggior teatrino da taverna. Sbalorditivo perché la sceneggiatura (che è un
vero capolavoro di acidità e veleno) colpisce con mira infallibile i punti
caldi dei nostri problemi: la regressione sociale che stiamo vivendo, il culto
dell’osceno, il gusto sadico dell’altrui umiliazione, le tronfiaggini di una
superbia imperante, la negazione della vita e l’esaltazione della depersonalizzazione.
Una società tremenda e balorda che scarica ad altri le proprie responsabilità e
preferisce essere esagerata non tanto nella menzogna quanto nella sincerità
perché può pubblicizzare meglio lo shock.
Divertente perché Frank e Roxy fanno tutto ciò che ogni
persona di spirito che vive anonimamente nel mondo (ma i nomi sono fuori moda
per le persone di spirito, oggigiorno) ha sempre sognato di fare: uccidere
quelle grottesche scimmiottature di esseri umani che bazzicano i nostri
teleschermi. E non parlo solo della televisione americana: la televisione di
ogni paese è stata americanizzata, infettata dalle sanie sputate dalla macchina
mediatica made in USA. Proviamo a
immaginare di spostare la storia in Italia: chi non vorrebbe fare sparire per
sempre i vari Signorini, Malgioglio, d’Urso, la disgustosa morchia umana che si
umilia pubblicamente nei reality, l’oceanica e indistinta ridda delle veline,
delle letterine, delle gatte nere, il turbinoso pattume di opinionisti e
celebrità di terza mano riciclate all’infinito in fiction scadenti e talk show di terza, quarta categoria?
Commovente? Ebbene sì, God
Bless America riesce a essere anche commovente. Come si fa a non sentirsi
toccati quando i due eroi ridono fra loro, chiacchierano del più e del meno e,
infine, si sacrificano sul palcoscenico? I due eroi di questo film sono
commoventi alla maniera di Don Chisciotte, eroi tragicomici e falliti in
partenza, paladini di una giustizia bislacca e male in arnese, goffi e
impacciati ma fatti così forti e potenti da un ideale da potersi permettere di
sfidare il destino stesso e la società. Strappano sorrisi pure i riferimenti
alla cultura pop moderna: si spara a zero su Glee e le moderne serie di fantascienza, sui film cosiddetti
alternativi (anche se su Juno e Diablo Cody non mi sento di dichiararmi
d’accordo), sull’improponibile sottobosco di cialtroni e decerebrati che
brulica dovunque, in ogni città e paese.
God Bless America
è uno di quei film (originalissimi, chi lo ha visto sa con quale grazia salta
sopra a ogni cliché) che ci dà il
polso della situazione, uno di quei film che ci fa capire che forse non c’è
nulla da ridere e forse dovremmo davvero tagliare fuori dalla società una serie
di creature grottesche che assurgono a modelli, a falsi idoli per delle generazioni
derubate della propria linfa, del proprio sangue e delle proprie ossa. Un
rimprovero gettato con violenza in faccia a una società beota e stolida dove si
preferisce fotografare un tramonto piuttosto che vederlo e affannarsi a essere
al contempo da entrambi i lati della telecamera: testimoniare una vita che non
c’è e poi anche viverla fino in fondo, ignorando quel sordo sottofondo di
frustrazione che ci ricorda che viviamo tutti in un vile cabaret.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Sulla scia della «coppia
criminale» il primo film che viene in mente è Natural Born Killers (1994) di Oliver Stone, poi c'è il mitico Léon (1994) di Luc Besson, che ritrare alla perfezione un altro dinamico duo di assassini: l'erculeo Léon e la piccola e incattivita Mathilda. Per quanto riguarda i film che fanno il ritratto di una società nei suoi principi fondamentali abbiamo American Psycho (2000) di Mary Harron,
in cui un personaggio e la sua ossessione sadica e omicida diventano emblema di
un’epoca intera, a seguire il classico fondamentale Un giorno di ordinaria follia (1993) di Joel Schumacher, che
presenta inquietanti familiarità con God
Bless America. Non si può non citare il grande classico sull’iperviolenza: Arancia Meccanica (1971) di Stanley
Kubrick. E, per finire, il gioiellino indie-satirico Idiocracy (2006) di Mike Judge, che mescola allegramente critica
sociale e comicità demenziale.
Scena cult – Tutto in questo film è un cult: dai dialoghi
alle scene degli omicidi, ai personaggi, alla storia e al finale. La scena cult
di God Bless America è il film
stesso: troppo brillante per essere vero.
Canzone cult – La colonna sonora è, al pari del resto del film,
altresì stupenda. Un amalgama di pezzi dall’aria blues e rock anarchico. I
pezzi più notevoli sono l’ipnotica Beat The Devil’s Tattoo dei Black Rebel Motorcycle Club e i pezzi vintage It’s Oh So Quiet di Betty Hutton e School’s Out e Hello, Hooray di Alice Cooper.
ottima recensione!
RispondiEliminafilm strepitoso, e in effetti ha qualche punto di contatto con idiocracy, non riuscito come questo, però con qualche spunto niente male...
Naturalmente Idiocracy è di molto inferiore a God Bless America però nella sua demenzialità tratteggia un quadro sociale inquietantemente realistico...
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