martedì 22 maggio 2012

GOD BLESS AMERICA (2011), Bobcat Goldthwait


USA, 2011
Regia: Bobcat Goldthwait
Cast: Joel Murray, Tara Lynne Bar, Mackenzie Brooke Smith, Melinda Page Hamilton
Sceneggiatura: Bobcat Goldthwait


Trama (im)modesta – Dopo aver perso il lavoro e aver scoperto di avere un cancro al cervello, Frank (Murray) decide di suicidarsi. Mentre la pistola è nella sua bocca, la televisione mostra un reality show dove l’ennesima squinzia viziata fa l’isterica con i suoi genitori. Così Frank decide di intraprendere una crociata contro tutta l’odiosa fauna pseudo-televisiva che vomita spazzatura a valanghe sulla società avvelenandola con cattiveria, superficialità e stereotipi. Dopo aver ucciso la ragazza del reality, Frank incontra Roxy (Lynne Bar), una ragazza in conflitto con il mondo che decide di unirsi a lui. Inizia così una selvaggia, divertentissima, caustica e commovente killing spree che li porterà a giustiziare col sorriso sulle labbra tutta la terribile schiatta che prolifera nel putrido sottobosco televisivo americano: predicatori fanatici, giudici di reality show, opinionisti politici...


La mia (im)modesta opinione – Non si dovrebbero amare i protagonisti di God Bless America. A onor del vero sono individui dissociati e violenti che uccidono persone (non tanto) innocenti per motivazioni sciocche. Ma credere in questo significherebbe essere dei lassisti. Frank e Roxy sono due superuomini, due eroici crociati che, esasperati dalla crescente idiozia della società in cui vivono, scelgono di ucciderla. Nessuno viene risparmiato: anche il più piccolo disturbatore è pernicioso, ogni tagliaborse è un terrorista. Roxy e Frank sono i paladini di un’umanità che sceglie di tornare sul cammino della civilizzazione, dopo aver attestato il progressivo e inesorabile degrado in cui versa il mondo intero.


God Bless America è pauroso, sbalorditivo, divertente, commovente. Pauroso perché dipinge una società in cui l’esagerazione, il kitsch, la cafoneria, il materialismo dominano in una specie di clima di isteria generale, una oscena pantomima dell’umanità civilizzata, un carnevale demente, una guittoneria degna del peggior teatrino da taverna. Sbalorditivo perché la sceneggiatura (che è un vero capolavoro di acidità e veleno) colpisce con mira infallibile i punti caldi dei nostri problemi: la regressione sociale che stiamo vivendo, il culto dell’osceno, il gusto sadico dell’altrui umiliazione, le tronfiaggini di una superbia imperante, la negazione della vita e l’esaltazione della depersonalizzazione. Una società tremenda e balorda che scarica ad altri le proprie responsabilità e preferisce essere esagerata non tanto nella menzogna quanto nella sincerità perché può pubblicizzare meglio lo shock.


Divertente perché Frank e Roxy fanno tutto ciò che ogni persona di spirito che vive anonimamente nel mondo (ma i nomi sono fuori moda per le persone di spirito, oggigiorno) ha sempre sognato di fare: uccidere quelle grottesche scimmiottature di esseri umani che bazzicano i nostri teleschermi. E non parlo solo della televisione americana: la televisione di ogni paese è stata americanizzata, infettata dalle sanie sputate dalla macchina mediatica made in USA. Proviamo a immaginare di spostare la storia in Italia: chi non vorrebbe fare sparire per sempre i vari Signorini, Malgioglio, d’Urso, la disgustosa morchia umana che si umilia pubblicamente nei reality, l’oceanica e indistinta ridda delle veline, delle letterine, delle gatte nere, il turbinoso pattume di opinionisti e celebrità di terza mano riciclate all’infinito in fiction scadenti e talk show di terza, quarta categoria?


Commovente? Ebbene sì, God Bless America riesce a essere anche commovente. Come si fa a non sentirsi toccati quando i due eroi ridono fra loro, chiacchierano del più e del meno e, infine, si sacrificano sul palcoscenico? I due eroi di questo film sono commoventi alla maniera di Don Chisciotte, eroi tragicomici e falliti in partenza, paladini di una giustizia bislacca e male in arnese, goffi e impacciati ma fatti così forti e potenti da un ideale da potersi permettere di sfidare il destino stesso e la società. Strappano sorrisi pure i riferimenti alla cultura pop moderna: si spara a zero su Glee e le moderne serie di fantascienza, sui film cosiddetti alternativi (anche se su Juno e Diablo Cody non mi sento di dichiararmi d’accordo), sull’improponibile sottobosco di cialtroni e decerebrati che brulica dovunque, in ogni città e paese.


God Bless America è uno di quei film (originalissimi, chi lo ha visto sa con quale grazia salta sopra a ogni cliché) che ci dà il polso della situazione, uno di quei film che ci fa capire che forse non c’è nulla da ridere e forse dovremmo davvero tagliare fuori dalla società una serie di creature grottesche che assurgono a modelli, a falsi idoli per delle generazioni derubate della propria linfa, del proprio sangue e delle proprie ossa. Un rimprovero gettato con violenza in faccia a una società beota e stolida dove si preferisce fotografare un tramonto piuttosto che vederlo e affannarsi a essere al contempo da entrambi i lati della telecamera: testimoniare una vita che non c’è e poi anche viverla fino in fondo, ignorando quel sordo sottofondo di frustrazione che ci ricorda che viviamo tutti in un vile cabaret.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Sulla scia della «coppia criminale» il primo film che viene in mente è Natural Born Killers (1994) di Oliver Stone, poi c'è il mitico Léon (1994) di Luc Besson, che ritrare alla perfezione un altro dinamico duo di assassini: l'erculeo Léon e la piccola e incattivita Mathilda. Per quanto riguarda i film che fanno il ritratto di una società nei suoi principi fondamentali abbiamo American Psycho (2000) di Mary Harron, in cui un personaggio e la sua ossessione sadica e omicida diventano emblema di un’epoca intera, a seguire il classico fondamentale Un giorno di ordinaria follia (1993) di Joel Schumacher, che presenta inquietanti familiarità con God Bless America. Non si può non citare il grande classico sull’iperviolenza: Arancia Meccanica (1971) di Stanley Kubrick. E, per finire, il gioiellino indie-satirico Idiocracy (2006) di Mike Judge, che mescola allegramente critica sociale e comicità demenziale.


Scena cult – Tutto in questo film è un cult: dai dialoghi alle scene degli omicidi, ai personaggi, alla storia e al finale. La scena cult di God Bless America è il film stesso: troppo brillante per essere vero.

Canzone cult – La colonna sonora è, al pari del resto del film, altresì stupenda. Un amalgama di pezzi dall’aria blues e rock anarchico. I pezzi più notevoli sono l’ipnotica Beat The Devil’s Tattoo dei Black Rebel Motorcycle Club e i pezzi vintage It’s Oh So Quiet di Betty Hutton e School’s Out e Hello, Hooray di Alice Cooper.

2 commenti:

  1. ottima recensione!
    film strepitoso, e in effetti ha qualche punto di contatto con idiocracy, non riuscito come questo, però con qualche spunto niente male...

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  2. Naturalmente Idiocracy è di molto inferiore a God Bless America però nella sua demenzialità tratteggia un quadro sociale inquietantemente realistico...

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