USA, 2008
Regia: Todd
Kessler
Cast:
Elisabeth Harnois, Jesse McCartney, Margo Harshman, Ignacio Serricchio
Sceneggiatura:
Todd Kessler, David Zabel
Trama (im)modesta – Natalie (Harnois) è la classica bella
ragazza alto-borghese di buona famiglia, campionessa di tennis che cerca
disperatamente di raggiungere l’obiettivo di entrare in un prestigioso college.
Nonostante sia fidanzata con un ambito ragazzo latinoamericano, Rafael
(Serricchio), Natalie inizia a frequentare Keith (McCartney), un malinconico outsider, suo partner nella classe di
chimica. Natalie rimane sempre più affascinata dal carattere triste e inusuale
di Keith, ma il ragazzo evita sempre di aprirsi con lei, per questo Natalie
comincia a sacrificare impegni scolastici e anche a lasciar perdere il suo
ragazzo per stare con lui e scoprire la verità su di lui.
La mia (im)modesta opinione – Dopo aver visto Keith, l’unica cosa che al cinefilo
verrà da dire sarà: «Che peccato!». Proprio così. Che peccato. Che peccato che una
sceneggiatura così brillante e delicata possa rimanere schiacciata e
parzialmente nascosta dalle inevitabili banalità di una regia troppo
scolastica, dallo scarso appeal della
protagonista femminile (McCartney, invece, è abbastanza bravo) e dall’odiosa e
umiliante sciatteria di una colonna sonora pseudo-rockettara che seppellisce
l’esplosivo potenziale del film sotto una stanca patina melodrammatica.
Peccato. Keith è proprio un bel film
e avrebbe potuto avere l’opportunità di essere una gemma indie di rarissimo
splendore. Ma analizziamolo meglio.
Il principale punto di forza del film è, come ho detto, la
sceneggiatura. Una storia e uno script brillanti, originali, dotati di
singolare forza che distaccano con così tanta potenza narrativa il film dagli
altri romantic flicks di genere che
fanno sembrare Keith quasi come un
superamento e insieme un risolvimento del genere. Il tema della depressione,
della morte, dell’adolescenza spezzata sono trattati con una delicatezza (non
esente da una certa maniera, attenzione) che lasciano stupiti. No, Keith non è
un film perfetto, anzi, presenta risoluzioni narrative eccessivamente affettate
e che tradiscono un attaccamento eccessivo verso il modello della love story classica ma l’originalità
generale fa certamente perdonare la sciatteria particolare.
Un Gus Van Sant (quello degli anni ’90, non il relitto
avariato che è approdato alle spiagge inquinate del Millennio) avrebbe fatto di
questa sceneggiatura pura dinamite. Purtroppo il regista è un narratore
sufficiente ma non tanto bravo da gestire il potenziale dello script. E se qua
e là vediamo delle affettazioni tutto sommato perdonabili e la retorica da
storiella adolescenziale al saccarosio non manca di certo, il film merita di
brillare di quella sua luce offuscata. Colpa anche della Harnois. Biondina un
po’ troppo liscia che è nella parte ma manca di espressività e di capacità di
esplorare il mondo interiore della protagonista, lavoro che invece fa Jesse
McCartney, una sorta di Justin Bieber ante
litteram, riciclatosi attore e che fa bene il suo lavoro e dunque mi
aspetto di vedere migliorato in un altro film, magari più “adulto” di questo.
La colonna sonora, ahimè, è una scomoda co-protagonista ed è
così brutta, ma così brutta che potrebbe gareggiare con una delle fiction della
nostra televisione nazionale, che a mio parere sono il sommo e assoluto paradigma della
bruttezza estetica, del buonismo melenso e della scarsa qualità tecnica della
televisione italiana. Keith è un film
paralitico, uno storpio reduce da un errore dei medici che avrebbero dovuto
portarlo al mondo sano, bello e vigoroso. Avrebbe potuto sfolgorare (anche perché
l’alchimia fra i due protagonisti era potente) ma noi ci dobbiamo accontentare
di un vago scintillio. Vizio di forma, ma, si sa, nel cinema la forma è tutto.
Ripeto, che peccato.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Sommo capostipite del
genere è il caramelloso Love Story
(1970) di Arthur Hiller, altra pietra angolare è l’altrettanto depresso Autumn in New York (2000) di Joan Chen
insieme all’odioso Ghost (1990) di
Jerry Zucker. Sorvolando sulle storie d’amore in stile Nicholas Sparks (Dio ce
ne scampi e liberi!) classici dell’adolescenza intristita sono il capolavoro Romeo + Giulietta (1996) di Baz
Lhurmann, il più intimista Griffin &
Phoenix (2006) di Ed Stone, il Crazy/Beautiful
(2001) di John Stockwell e il gustosissimo e nevrotico Elizabethtown (2005) di Cameron Crowe, che è meno tragico di Keith e stilisticamente superiore a
tutti i livelli, ma meno innovativo e originale, seppur ugualmente brillante e
intelligente, ma non dimentichiamo la perla nera del genere, ovvero il dolcissimo e stupendo A Swedish Love Story (1970) di Roy Andersson.
Scena cult – Due: l’inaspettato tentativo di suicidio di Keith che tenta di
trascinare con sé anche Natalie e lo spassosissimo scherzo sul sadomaso che
Natalie e Keith fanno alle due secchione sedute davanti a loro.
Canzone cult – Dico solo che se sento altre chitarre elettriche pseudo-giovanili mi butto dalla finestra.
jesse mcbieber, volevo dire jesse mccartney non mi invoglia molto a recuperare il film. :)
RispondiEliminaperò come leggera visione estiva sembra passabile...
Il film è tutto sommato piacevole e originale. McCartney è più bravo di quanto sembri, e poi l'hanno imbruttito così tanto che è molto più sopportabile di quella infinita schiera di pseudo-modelli che ci propinano i film americani di argomento, per così dire, collegiale.
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