martedì 12 giugno 2012

KEITH (2008), Todd Kessler


USA, 2008
Regia: Todd Kessler
Cast: Elisabeth Harnois, Jesse McCartney, Margo Harshman, Ignacio Serricchio
Sceneggiatura: Todd Kessler, David Zabel


Trama (im)modesta – Natalie (Harnois) è la classica bella ragazza alto-borghese di buona famiglia, campionessa di tennis che cerca disperatamente di raggiungere l’obiettivo di entrare in un prestigioso college. Nonostante sia fidanzata con un ambito ragazzo latinoamericano, Rafael (Serricchio), Natalie inizia a frequentare Keith (McCartney), un malinconico outsider, suo partner nella classe di chimica. Natalie rimane sempre più affascinata dal carattere triste e inusuale di Keith, ma il ragazzo evita sempre di aprirsi con lei, per questo Natalie comincia a sacrificare impegni scolastici e anche a lasciar perdere il suo ragazzo per stare con lui e scoprire la verità su di lui.


La mia (im)modesta opinione – Dopo aver visto Keith, l’unica cosa che al cinefilo verrà da dire sarà: «Che peccato!». Proprio così. Che peccato. Che peccato che una sceneggiatura così brillante e delicata possa rimanere schiacciata e parzialmente nascosta dalle inevitabili banalità di una regia troppo scolastica, dallo scarso appeal della protagonista femminile (McCartney, invece, è abbastanza bravo) e dall’odiosa e umiliante sciatteria di una colonna sonora pseudo-rockettara che seppellisce l’esplosivo potenziale del film sotto una stanca patina melodrammatica. Peccato. Keith è proprio un bel film e avrebbe potuto avere l’opportunità di essere una gemma indie di rarissimo splendore. Ma analizziamolo meglio.


Il principale punto di forza del film è, come ho detto, la sceneggiatura. Una storia e uno script brillanti, originali, dotati di singolare forza che distaccano con così tanta potenza narrativa il film dagli altri romantic flicks di genere che fanno sembrare Keith quasi come un superamento e insieme un risolvimento del genere. Il tema della depressione, della morte, dell’adolescenza spezzata sono trattati con una delicatezza (non esente da una certa maniera, attenzione) che lasciano stupiti. No, Keith non è un film perfetto, anzi, presenta risoluzioni narrative eccessivamente affettate e che tradiscono un attaccamento eccessivo verso il modello della love story classica ma l’originalità generale fa certamente perdonare la sciatteria particolare.


Un Gus Van Sant (quello degli anni ’90, non il relitto avariato che è approdato alle spiagge inquinate del Millennio) avrebbe fatto di questa sceneggiatura pura dinamite. Purtroppo il regista è un narratore sufficiente ma non tanto bravo da gestire il potenziale dello script. E se qua e là vediamo delle affettazioni tutto sommato perdonabili e la retorica da storiella adolescenziale al saccarosio non manca di certo, il film merita di brillare di quella sua luce offuscata. Colpa anche della Harnois. Biondina un po’ troppo liscia che è nella parte ma manca di espressività e di capacità di esplorare il mondo interiore della protagonista, lavoro che invece fa Jesse McCartney, una sorta di Justin Bieber ante litteram, riciclatosi attore e che fa bene il suo lavoro e dunque mi aspetto di vedere migliorato in un altro film, magari più “adulto” di questo.


La colonna sonora, ahimè, è una scomoda co-protagonista ed è così brutta, ma così brutta che potrebbe gareggiare con una delle fiction della nostra televisione nazionale, che a mio parere sono il sommo e assoluto paradigma della bruttezza estetica, del buonismo melenso e della scarsa qualità tecnica della televisione italiana. Keith è un film paralitico, uno storpio reduce da un errore dei medici che avrebbero dovuto portarlo al mondo sano, bello e vigoroso. Avrebbe potuto sfolgorare (anche perché l’alchimia fra i due protagonisti era potente) ma noi ci dobbiamo accontentare di un vago scintillio. Vizio di forma, ma, si sa, nel cinema la forma è tutto. Ripeto, che peccato.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Sommo capostipite del genere è il caramelloso Love Story (1970) di Arthur Hiller, altra pietra angolare è l’altrettanto depresso Autumn in New York (2000) di Joan Chen insieme all’odioso Ghost (1990) di Jerry Zucker. Sorvolando sulle storie d’amore in stile Nicholas Sparks (Dio ce ne scampi e liberi!) classici dell’adolescenza intristita sono il capolavoro Romeo + Giulietta (1996) di Baz Lhurmann, il più intimista Griffin & Phoenix (2006) di Ed Stone, il Crazy/Beautiful (2001) di John Stockwell e il gustosissimo e nevrotico Elizabethtown (2005) di Cameron Crowe, che è meno tragico di Keith e stilisticamente superiore a tutti i livelli, ma meno innovativo e originale, seppur ugualmente brillante e intelligente, ma non dimentichiamo la perla nera del genere, ovvero il dolcissimo e stupendo A Swedish Love Story (1970) di Roy Andersson.


Scena cult – Due: l’inaspettato  tentativo di suicidio di Keith che tenta di trascinare con sé anche Natalie e lo spassosissimo scherzo sul sadomaso che Natalie e Keith fanno alle due secchione sedute davanti a loro.

Canzone cult – Dico solo che se sento altre chitarre elettriche pseudo-giovanili mi butto dalla finestra.

2 commenti:

  1. jesse mcbieber, volevo dire jesse mccartney non mi invoglia molto a recuperare il film. :)
    però come leggera visione estiva sembra passabile...

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  2. Il film è tutto sommato piacevole e originale. McCartney è più bravo di quanto sembri, e poi l'hanno imbruttito così tanto che è molto più sopportabile di quella infinita schiera di pseudo-modelli che ci propinano i film americani di argomento, per così dire, collegiale.

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