USA, Regno Unito, 2006
Regia: Goran Dukić
Cast:
Patrick Fugit, Shannyn Sossamon, Shea Whigham, Tom Waits
Sceneggiatura: Goran Dukić
Trama (im)modesta – Zia è un ragazzo che, abbandonato
dall’amore della sua vita, decide di togliersi la vita. Dopo il suicidio, però,
si ritrova catapultato in un mondo grigio e scabro, una sorta di sezione
dell’aldilà riservata ai suicidi popolata da moltissime anime che vivono una
vita parallela sperimentando ogni giorno piccoli miracoli come il cambiamento
dei colori di un certo oggetto o la levitazione di questa o quella persona.
Scoperto che la sua fidanzata Desiree è morta suicida e si trova nel suo stesso
mondo e lo sta cercando, Zia si mette in viaggio per andarla a trovare con al
seguito Eugene, un chitarrista russo che porta un buco nero sotto il sedile
dell’auto, e Mikal, una ragazza morta suicida “per errore” (è morta di overdose
iniettandosi dell’eroina) che cerca i proprietari di quel mondo per poter
chiarire l’equivoco e tornare a casa. Durante il viaggio si imbatteranno in
Kneller, ambiguo capo di una congregazione di anime suicide che va alla ricerca
del proprio cane perduto…
La mia (im)modesta opinione – La trama di Wristcutters ha
dell’assurdo eppure, come si suol dire, riesce a far quadrare il cerchio.
Indubbiamente originale è un road movie ambientato nell’oltretomba e, per di
più, un particolare tipo di oltretomba dedicato ai suicidi dove tutti quanti
vivono tranquillamente conversando distrattamente della loro morte e di altre simili amenità.
Geniale è anche il dipinto di questo bislacco aldilà tutto desertico e
stopposo, pieno di città grigie di cemento grezzo e strade sporche, popolate da
affogati, impiccati, soldati che si sono sparati in testa nessuno dei quali
riesce più a sorridere (perché nel paese dei suicidi è bandita l'allegria). Un luogo surreale e malinconico eppure stranamente
vitale dove il miracolo e l’incredibile convivono anonimamente con le
sciocchezze più infime della vita quotidiana, miracoli bizzarri che accadono
solo quando non sono attesi.
Quello che più colpisce del film è la persistenza della
voglia di vivere che hanno tutti i protagonisti, l’insistere nel ritornare ai
vecchi schemi sfidando anche la morte. È un esempio la famiglia del burbero
chitarrista Eugene che, suicidatasi al gran completo, ha ripreso il tranquillo
ménage di ogni giorno anche dopo la morte. E poi ci sono mille e mille storie
sintetizzate con grazia e mestizia da Dukić che raccontano di questo o quel
suicidio rinchiudendo in poche inquadrature vicende di abbandono e perdizione
che lasciano ogni cosa alla nostra immaginazione. C’è una ragazza che ha
infilato la testa nel forno, c’è la giovane Nanuk (e la sua è una delle morti
più tremende) assiderata dopo essere svenuta sotto la neve per colpa
dell’alcool, c’è Kostya, fratello di Eugene, fanatico del suicidio, sempre in
attesa di una buona scusa per farla finita. Insomma una divertente e
malinconica marmaglia di esseri umani nevrotici e insicuri che sembrano uscite
dalle scenette di ordinaria follia di cui siamo protagonisti involontari ogni
giorno.
Passiamo al personaggio più misterioso di tutti: l’ambiguo
Kneller. Con addosso il volto legnoso e la voce ruvida del mitico Tom Waits,
Kneller dirige una sorta di campeggio per suicidi dove tutti vivono se non in
allegria (l'allegria è impossibile come è impossibile sorridere) almeno in perfetta
armonia e lo stesso Kneller insegna a «crescere forti e crescere strani»
raccontando strane favole morali e proiettando diapositive. Devo dire che, alla fine
del film, non si è sicuri dell’identità di questo Kneller, è uno delle people
in charge dell’oltretomba ma lavora illegalmente, corre fra un mondo e l’altro
e modifica eventi portando avanti e indietro il tempo. Un angelo? Un diavolo? Non
si sa, fatto sta che Tom Waits è, come sempre, meraviglioso con il suo umorismo
sardonico e i suoi apologhi misteriosi sui miracoli che «accadono quando non te
ne accorgi».
Con i suoi abitanti stramboidi, il suo terreno riarso e
sabbioso e i suoi bislacchi miracoli, l’aldilà di Wristcutters diventa, da
trionfo della morte, una forte e insolito inno alla vita, una vita che non è
mai troppo tardi per cambiare, anche dopo il passo fatale perché è sempre possibile trovare scappatoie, soluzioni, scorciatoie. La regia di Dukić è
assai buona ma la vera forza del film sta nella scoppiettante sceneggiatura e
nello stupendo cast che va da Patrick Fugit (ovvero il William Miller di Quasi
Famosi), la radiosa semisconosciuta Shannyn Sossamon e il vulcanico Shea
Whigham (che ricorderete per il suo ruolo di Eli Thompson in Boardwalk Empire)
che interpreta l’indimenticabile e baffuto chitarrista Eugene. Non un film
fondamentale, questo Wristcutters, ma di sicuro uno di quelli che non vorreste
perdere.
Se ti è piaciuto guarda anche… - Malinconia infinita, gusto
dell’assurdo, iperboli kitsch, bizzarri onirismi. Il cinema abbonda di film
così. Abbiamo il capostipite ovvero l’infinito The Rocky Horror Picture Show
(1975) di Jim Sharman, il classico moderno Donnie Darko (2001) di Richard
Kelly, poi c’è il figlio di un dio minore, ovvero il capolavorone visionario
The Cell (2000) di Tarsem Singh. Non dimentichiamo il valido Amabili Resti
(2009) di Peter Jackson e il sempre ipnotico Dead Man (1995) di Jim Jarmusch.
Scena cult – L’addio di Nanuk, per cui è stato decretato il
ritorno a casa, stranamente commovente e triste. A quanto pare a commuovere non è solo il dipartirsi dalla vita ma anche il ritornarci.
Canzone cult – La colonna sonora del film è assai ricca, ma
l’unico pezzo che mi ha conquistato è la Dead and Lovely del grandissimo Tom
Waits.
questo film aveva tutte le carte in regola per diventare un mio cult personale, dalla storia agli attori, e invece non mi ha convinto del tutto.
RispondiEliminacarino, però poteva essere molto meglio...