domenica 24 giugno 2012

DETACHMENT (2011), Tony Kaye


USA, 2011
Regia: Tony Kaye
Cast: Adrien Brody, Sami Gayle, Betty Kaye, Marcia Gay Harden, James Caan, Christina Hendricks, Lucy Liu
Sceneggiatura: Carl Lund


Trama (im)modesta – Henry è un supplente del liceo con un passato doloroso alle spalle che si sofferma spesso a pensare al mondo e alle persone che lo circondano e nasconde la desolazione che prova sotto un garbato distacco. È così che si protegge dal dolore che la visione delle vite altrui gli trasmette e magari è così che cerca di aiutare, seppur con il più grande distacco possibile. Le persone che popolano la sua vita sono delle più problematiche: psicologhe scolastiche frustrate dai futili problemi di studentesche sempre più vacue e superficiali, professori ‘invisibili’, nostalgici, solitari, che prendono il Valium, genitori assenti e aggressivi, ragazze incomprese e tristi, prostitute-bambine abbandonate a loro stesse. Come Henry scoprirà, però, quella del distacco è un’arma a doppio taglio.


La mia (im)modesta opinione – Taglientemente intellettuale, freddamente chirurgico eppure appassionatamente poetico, profondamente commosso e assolutamente totale. Posso dire senza ombra di dubbio che Detachment è uno dei film più belli che mi sia capitato di vedere ma anche uno dei più tristi, commossi e disperati in cui mi sia mai imbattuto: un pessimismo contrito e austero fatto nobile e scintillante da una morale crudele e adamantina, un senso di paralisi profonda, di stagnamento, di inevitabile morte e freddo, tanto freddo irradiano da questo film. Come anche dalle sue anime perdute quasi esiliate in un mondo desolato e tutto pervaso come da un impalpabile algore (e il regista si preoccupa di straniarci quando e come può: ogni inquadratura del film sembra irreale, idealizzata quasi teatrale), un mondo dove in pochi capiscono la loro lingua, un mondo dove la santità si è fatta spogliata dall'esaltazione del misticismo e si è ritirata a vivere in case dalle pareti imbiancate e vuote.


In questo mondo (che, non fatevi ingannare, è il nostro mondo, trasposto in simboli idealizzanti) l’attività dell’insegnante, che comporta la quotidiana attestazione dello stato di desertificazione spirituale e ghiacciamento culturale delle vuote masse della odierna generazione, diventa una missione salvifica, un mandato divino, quasi un martirio appassionato il cui senso ribolle sotterraneo nelle vene del mondo e poi esplode in apoteosi del dolore e rari raggi di fredda luce biancastra. Detachment è un film metallico, freddo e acre, ma, come il metallo, conduce bene il calore dei cuori infranti e l’elettricità dei pensieri che corrono veloci come iscrizioni lapidarie a suggellare la pellicola. Molti lo chiamerebbero un film poetico, ma Detachment è diverso. Non di certo un film filosofico perché appare troppo estasiato dalle inaspettate bellezze della vita quotidiana, dai suoi giochi di luce, dalle sue sfumature rosate e lontane. Detachment è un misto di tutto: è un vero e proprio poema filosofico.


Il film procede come viaggio nella mente e nel ricordo di Henry Barthes, docente e (suo malgrado) filosofo che va predicando la propria dottrina sulla vita e sul mondo. Gli eventi di questo film non vengono messi in atto: vengono rimembrati. E della rimembranza hanno la struttura: l’arrivo dell’emozione trascritta con disegni di gesso sulla lavagna, la memoria per telecamera per mettere a fuoco dettagli fatali, quadri generali o anche solo per immaginare eventi, reazioni. Quando vediamo gli altri personaggi nel loro privato si tratta sempre di un’immaginazione, un sogno a occhi aperti scaturito dall’intimo e doloroso bisogno di empatizzare con un altro essere umano che soffre e smettere di patire il distacco, il distacco che è indossato come una tuta da palombaro per sfuggire all’affogamento del dolore. Adesso quello dell’insegnante diventa un simbolo: il professore si fa profeta, angelo e crocifisso dal mondo in cui vive e che cerca di salvare vagando in mezzo alle masse degli enfants perdus, naufraghi del mostruoso ventunesimo secolo. L’impostazione filosofica di Detachment, infatti, non va assolutamente trascurata.


Certo il film non è esente da certi difetti: lo stile del regista è costantemente teso al tragico e al sublime e di tanto in tanto preme tanto sul tasto dell’idealizzazione da debordare (ma solo in un paio di occasioni) in un'involontaria maniera. Ma sorvolando su questi bassi difetti (e il film vola alto), devo dire che poche altre pellicole erano riuscite ad analizzare così profondamente  non dico una generazione ma una società intera, una società fatta di assenza, di gelo pungente, di tundra degli affetti, di distruttivo dramma umano. Gli autori scelgono, come testimone di tanto deserto, un uomo qualunque, un uomo distaccato, un uomo che pensa, un viso umano che attorno a sé vede solo maschere di cartapesta, un individuo che assiste al crollo di qualunque speranza o ideale e che prova con sofferenza a distaccarsene. Chiariamoci, l’Henry Barthes di Adrien Brody (bravissimo, superlativo) non ha rinunciato a provare emozione ma prova a tenere lontana ogni cosa quando vorrebbe entrare in questa o in quella tragedia ma sa che non deve. Non deve per non essere distrutto. 


Lo ripeto, Detachment è la bellezza sotto forma di film, cinema elevato a letteratura, appena un gradino sotto Magnolia (che è imbattibile e imbattuto) e addirittura superiore (questa ha sorpreso anche me) alle due superpietre miliari della mia cinematografia personale: Kids ed Elephant. E tutto questo grazie ad una regia perennemente tesa al sublime, uno script degno di un  premio Nobel e un cast di attori superbo, strabiliante. Su tutti Adrien Brody insieme a Betty Kaye (che sembra Cathy Bates giovane e altrettanto brava) e Sami Gayle (che invece è una piccola Liza Minnelli), poi il redivivo James Caan (poco credibile nel ruolo di insegnante ma superlativo nel suo gigioneggiare sardonico), la figurante Blythe Danner che affianca la meravigliosa Marcia Gay Harden e la sorpresa Lucy Liu e un intenso cameo per il grande Bryan Cranston. In conclusione, è un film ad alto tassi di depressione maggiore e pessimismo cosmico ma perderlo sarebbe perdersi un classico.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Insegnanti e malinconia. Il genere è ricco: la figura dell’insegnante che cerca di aiutare i propri studenti a rinascere spiritualmente è sfruttata in ogni tipo di produzione, seria o comica che sia. La gemma del genere è ovviamente il lirico A Single Man (2009) di Tom Ford in cui la solitudine diventa un senso di poesia trascendente, poi abbiamo la solitudine che sfocia nella perversione con La Pianista (2001) di Michael Haneke e Diario di uno Scandalo (2006) di Richard Eyre, seguono l’insegnamento che trascina alla pazzia con L’Onda (2008) di Dennis Gansel. Poi c’è il film allegro sull’insegnamento ovvero il mitico School of Rock (2003) di Richard Linklater e, infine, il capolavoro verista La Classe (2008) di Laurent Cantet.


Scena cult – Due: la scena dell’assassinio del gatto a opera di un ragazzo annoiato e l’onirico finale con il sottofondo delle malinconiche parole di Edgar Allan Poe. Perché la casa degli Usher non è solo un edificio ma un modo di essere.

Canzone cult – Non pervenuta.

5 commenti:

  1. sì, un grandissimo film!
    in effetti sei stato sull'entusiasta andante come preannunciato :)
    però giustamente: è una pellicola piena di roba. come dici è freddo, però è anche poetico e per quanto pessimista fa anche intravedere un raggio (minimo) di luce

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    1. Più che freddo, questo è un film che parla del freddo. Ancora non avevo mai visto una tecnica registica così sprofondata nella mente umana. Il modo di gestire ricordi e impressioni è geniale.

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  2. un film che parla di scuola senza essere zuccheroso, davvero bello

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    1. Il film non è zuccheroso ma secondo me parla di cose che hanno centro nella scuola ma vanno molto al di là della scuola in sè.

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  3. anche secondo me la regia è grandissima: per me è un film sul vuoto che attanaglia alla stessa maniera la nuova generazione e la vecchia, rappresentata dagli insegnanti.La scuola è solo il punto di partenza per esporre le macerie delle vite di un pugno di bellissimi personaggi...

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