USA, 2013
Regia:
Marcos Siega, Liz Friedlander, Henry Bronchtein, Phil Abraham, Nick Gomez, Joshua Butler, Adam Davidson, David Von
Ancken, Nicole Kassell
Cast: Kevin
Bacon, James Purefoy, Natalie Zea, Shawn Ashmore, Valorie Curry, Nico
Tortorella, Annie Parisse, Kyle Catlett
Sceneggiatura:
Kevin Williamson, Adam Armus, Kay Foster, Rebecca Dameron, Shintaro Shimosawa, Seamus
Kevin Fahey, Amanda Kate Shuman, David Wilcox, Vincent Angell
Trama (im)modesta – Dopo poco meno di dieci anni di
prigionia, il serial killer Joe Carroll evade di prigione, dopo aver massacrato
sei guardie carcerarie. L’ex-agente FBI Ryan Hardy, che l’aveva catturato la
prima volta, tenendosi un peacemaker e una cicatrice sul petto come ricordo,
viene richiamato in servizio. Il quadro è più complicato dalla presenza della
ex-moglie di Carroll, Claire, che con Hardy aveva intrecciato una relazione
amorosa. Quando Carroll viene riarrestato tutto pare essere tornato alla normalità,
ma gli omicidi continuano. Verrà poco a poco fuori l’esistenza di un culto di
seguaci di Carroll, trovati dopo anni e anni di visite in carcere e
affiliazioni a milizie di guerriglieri, che si muovono secondo un certo
percorso sconosciuto alle autorità. E quando il figlio di Carroll verrà rapito
dai suoi seguaci la trama s’infittirà come non mai. Quale è il piano di
Carroll? E chi sono i suoi seguaci, che paiono essere infiltrati in ogni dove?
La mia (im)modesta opinione – Come posso descrivere in poche
righe The Following? Non l’adoro come fanno altri, né la serie ha motivi per
farsi adorare: trama pedestre e confusa, evidente deficienza stilistica,
improbabili impennate narrative. Diciamo solo che seguire The Following vuol
dire allenare la nostra incredulità, più che a restare sospesa, a rimanere in
lunghissima apnea. Nulla di quello che succede sullo schermo è pur minimamente
verosimile, la trama (che vorrebbe essere così ampia) è grossolanamente
impalcata e fa acqua (o sangue) da tutte le parti. La serie è sciocca,
infantile, abnorme; eppure, come i feuilletons francesi che tanto ricorda (più
che Kevin Williamson pare che il creatore della serie sia stato Alexandre
Dumas), The Following è spazzatura televisiva che si fa guardare e che, alla
fin fine, fa desiderare allo spettatore di voler sapere che succede nella
puntata successiva.
Chiariamoci, circa a metà della serie anche io avevo pensato
di lasciarla perdere: ci mancava solo che gli alleati di Carroll annoverassero
fra le loro armi un drago e il bastone di Gandalf e che l’FBI arrivasse sulla
scena del crimine sopra l’Enterprise. Una fantasia troppo libera, che
facilitava più del lecito il lavoro agli sceneggiatori, lasciando peraltro
svariate questioni non concluse. E improbabile non è tanto il singolo colpo di
scena che ricorre di tanto in tanto, quanto l’intera idea di un culto di serial
killer fanatici come talebani, armati come un esercito, con computer e
sofisticate armi d’assalto, che vivono nel lusso d’una magione di campagna
mentre l’intera polizia federale gli va dietro. Banalissima e scontata è la
storia, al punto che basta un qualunque habitué per vedere a cento metri le
sorprese e per vedere negli altri colpi di scena abusatissimi espedienti
narrativi fra i quali primeggia uno stragonfiato deus ex machina che finisce, a
un certo punto, col perdere credibilità.
Ma la serie si fa guardare, e nonostante episodi totalmente
riempitivi, passaggi imperdonabilmente fumosi e un eccesso di fiducia richiesto
allo spettatore, si fa apprezzare. Si fa apprezzare per la profondità con cui
una manciata di personaggi, supportati da ottimi attori, riesce a emergere
dalla folla di comparse che popola le scene del serial. I primi due sono i
protagonisti: Ryan e Carroll, due antieroi violenti, disturbati, distrutti chi
dalla vita (e dall’alcolismo) e chi dalla follia che combattono su due opposti
fronti; basti dire che con The Following Kevin Bacon sembra aver trovato il
personaggio della propria vita, tanto gli calza a pennello il volto e lo
spirito dell’agente Hardy. Non lo stesso si potrebbe certo dire per James
Purefoy che riesce però a trovare la propria dimensione solo negli episodi
finali della serie e, per tre quarti degli episodi, pare la copia macellaia di
Hannibal Lecter. Ma laddove il dottore cannibale era un uomo di gusto squisito,
il nostro Carroll manca tragicamente in arguzia e conoscenza, come anche in
brutalità. Solo negli episodi finali vediamo il personaggio maturare veramente
– e nemmeno si può dire che maturi eccessivamente tardi...
Le altre quattro rivelazioni assolute della serie rispondono
al nome di Shawn Ashmore, Nico Tortorella, Valorie Curry e Kyle Catlett,
rispettivamente il collega di Ryan, due seguaci di Carroll e il figlio di
quest’ultimo. Ognuno dei quattro attori crea un personaggio assolutamente
originale e sbozzato se non con finezza, almeno con grande precisione. E se da
uno come Ashmore potevamo aspettarcelo, la vera sorpresa viene da Nico
Tortorella che pareva solo un belloccio piantato lì a far vedere il bel
faccino, dalla camaleontica Valorie Curry (che spereremmo di vedere in un film
di più ampio spessore) che alterna vezzi di ragazza della porta accanto a
scatti di inquietante efferatezza, e dalla rivelazione assoluta Kyle Catlett
che, sebbene la giovanissima età, è già un attore di strabiliante bravura e
forse uno dei migliori personaggi che gli autori sono riusciti a dipingere.
Il verdetto finale su The Following? Guardatelo e
guardatevene. Non fatevelo piacere troppo perché sarebbe sporcarsi le mani, ma
apprezzatelo, divertitevene e godetevi il giro di giostra di questa prima,
troppo lunga, stagione che, proprio come una giostra che non vuol saperne di
fermarsi, intrattiene prima, nausea poi ma, in quale modo, soddisfa. Un
polpettone americano, dunque, totalmente diverso da altri prodotti che
circolano adesso come il raffinatissimo Hannibal (per quanto conservi le sue
evidenti manchevolezze di serie) o il più giovanile Bates Motel. E ormai non ci
resta che attendere la seconda stagione (che guarderò: ormai devo capire come
va a finire la storia, anche se già lo sospetto grandemente) in arrivo l’anno
prossimo, un po’ con malavoglia, un po’ con entusiasmo.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Ma ovviamente il
torbidissimo e iperstiloso Hannibal (2013) di Bryan Fuller, il più disimpegnato
Bates Motel (2013) creata da Carlton Cuse, Kerry Ehrin e Anthony Cipriano,
abbiamo poi The Killing (2011) di Veena Sud, recentemente rinnovato per una
terza stagione e poi la serie Haven (2010) di Sam Ernst e James Dunn. Quanto a
riferimenti filmici, richiamiamo al grande classico Il silenzio degli innocenti
(1991) di Jonathan Demme, il mitico Seven (1995) di David Fincher, il debole ma
efficace dramma psicologico Mr. Brooks (2007) di Bruce A. Evans, Assassini Nati
(1994) di Oliver Stone, ci sono poi le altre buone prove Surveillance (2008) di
Jennifer Chambers Lynch, il Behind the Mask (2006) di Scott Glosserman.
Scena cult – Senza dubbio i veri colpi di scena degli ultimi
tre-quattro episodi, insieme al triangolo creato dai personaggi di Nico
Tortorella, Valorie Curry e Adam Canto.
Canzone cult – Non pervenuta.
Devo ancora vederla, ma provvederò a breve anche solo per averne un personale punto di vista. ;)
RispondiEliminaCon cautela, mi raccomando!
EliminaDall'esaltazione iniziale a visione che ci sta, senza troppe pretese. Davvero grossi buchi di sceneggiatura ma sì, hai ragione, si vuole sempre sapere dove andranno a parare!
RispondiEliminaIn fondo Williamson è sempre Williamson.
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