USA, 2013
Regia: Greg
Yaitanes, SJ Clarkson, OC Madsen, Dean White, Miguel Sapochnik
Cast: Antony
Starr, Ivana Miličević, Ulrich Thomsen, Frankie Faison, Hoon Lee, Lili Simmons,
Ben Cross, Ryann Shane
Sceneggiatura: Jonathan Tropper, David Schickler
Trama (im)modesta – A volte inizia tutto con l’incontro, in
un bar di provincia, di opportunità e fortuna. Se un galeotto appena uscito di
prigione dopo quindici anni di gattabuia, alla ricerca di dieci milioni di
dollari in diamanti, finisce in mezzo alla rissa che porta alla morte del nuovo
sceriffo di Banshee, Pennsylvania – sceriffo che è appena arrivato in città,
che nessuno ha ancora mai visto, eccetto forse per un connivente barista... che
potrebbe succedere? Che potrebbe succedere se il galeotto decidesse di prendere
in prestito l’identità del nuovo sceriffo, di portare in città i suoi
eterodossi metodi da strada, facendo arrabbiare non poche persone: il capo
della malavita locale, un mafioso ucraino, una ex-complice e amante che,
nascosta sotto nuova identità, non vuole saperne di tornare alla vecchia
vita...
La mia (im)modesta opinione – Banshee è una figata. La
sceneggiatura fa acqua? Ahinoi, sì, ma non è nemmeno il colabrodo che molti amano
credere che sia. Le prime stagioni, si sa, tolte qualche eccezioni eccellenti
(vedi Breaking Bad o Mad Men) sono sempre un giro di prova, la serie deve
carburare, capire come avanzare da sola, farsi comprendere dai suoi autori.
Banshee è proprio così: eccessiva, funambolica, rutilante. Zoppica di tanto in
tanto, sì, a volte di certo non sfoggia particolare buon gusto, ma diverte.
Diverte eccome.
Se con Breaking Bad avevamo una mistura di pulp e drama con
preponderanza del lato drammatico, con Banshee vediamo un ribaltamento di
equilibri: più pulp che dramma, ma la serie comincia presto a scavare dentro ai
personaggi, prima ingenuamente poi sempre con maggiore precisione. Non
dimentica nemmeno il suo lato più sapido ed entusiasmante, anzi è uno show onnivoro:
ci sono la mafia ucraina, la mafia Amish, gli indiani, i furti milionari, un
hacker transgender (!!!), un ex-pugile galeotto, una mamma di provincia che è
un’assassina/ladra sotto copertura...
L’esagerazione è la cifra stilistica, ma proprio sul versante
dello stile abbiamo davanti un realismo di disarmante minimalità. La serie si
gioca tutta sul concitatissimo montaggio e sul maggiore uso di effetti speciali
analogici a dispetto dei digitali. I risultati? Scazzottate epiche,
violentissime. Scene di tortura assolutamente non sopra le righe (ma in un
contesto che lo è), battute epiche come se fossero noccioline (su tutte la
meravigliosa «Meet the new boss») e personaggi greater than life.
Andiamo dallo sceriffo Hood, l’uomo che non deve chiedere
mai, il macho perfetto, alla sfaccettatissima Carrie/Anastasia: singolare
fusione di madre coraggio e spietata killer esteuropea. Le macchiette sono
rigorosamente indimenticabili: svettano il transgender d’azione Job con la sua
lingua velenosa, il capo mafia Kai Proctor insieme al suo inquietante
assistente Burton, la amish zoccola Rebecca e il terrificante Albino, presente
solo per una parte minuscola ma che nessuno potrà mai dimenticare.
Fra gang di motociclisti violenti, pugili stupratori,
ex-compagni di galera con l’hobby del ricatto e torbidi intrighi politici, lo
sceriffo Hood colpisce tutti con la sua capacità di prendere a legnate gli
uomini, portarsi a letto le donne e risolvere ogni faccenda alla maniera dei
veri uomini. Banshee è una delle serie più interessanti dell’anno passato,
intrattenimento televisivo puro e disimpegnato che non prescinde
dall’approfondimento psicologico dei personaggi. Se siete amanti del
testosterone, questa è la serie che fa per voi.
Se ti è piaciuto guarda anche... – L’appena conclusasi
Breaking Bad (2008-2013) di Vince Gilligan, vertice e pietra miliare
dell’intrattenimento televisivo di tutti i tempi, è il fratello maggiore e più
figo di Banshee. Per i moderni western abbiamo poi il capolavoro Deadwood
(2004-2006) di David Milch, Hell on Wheels (2011-…) di Joe e Tony Gayton,
insieme alla solidissima Sons of Anarchy (2008-...) di Kurt Sutter. Se vi
sentite desiderosi di andare sul classico, non potreste mai perdervi il sommo
trash Walker, Texas Ranger (1993-2001) di Leslie Greif e Paul Haggis.
Scena cult – Le scazzottate: Hood/Sanchez, Hood/Albino,
Carrie/Olek. La sparatoria finale. Le battute del transgender Job.
Canzone cult – Svariate. La maliosa Madonna di Jude
Christodal, le aggressivissime So So Fresh di Nico Vega e We Got To Meet Death One Day di Luella and the Sun. Cito più di sfuggita Fifth of Whiskey di Verse &
Bishop e l’opening theme firmato dai Methodic Doubt.
la prima puntata non è un granché, ci mette un po' a carburare, però poi esalta parecchio...
RispondiEliminae con la seconda stagione credo possa ancora migliorare
L'unica cosa che gli rimprovero, è una certa faciloneria qui e lì nella sceneggiatura. L'inseguimento dopo il colpo al museo nella quarta puntata è proprio un pacco... ma quanto è bello vederli scannarsi a pugni!
EliminaE' stato il guilty pleasure della scorsa stagione! Quanto mi è piaciuto!
RispondiEliminaIl testosterone funziona sempre! Ma in attesa della seconda stagione dovrò trovare sostituti: suggerimenti?
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