martedì 16 ottobre 2012

THE CAMPAIGN (2012), Jay Roach


USA, 2012
Regia: Jay Roach
Cast: Will Ferrell, Zach Galifianakis, Dylan McDermott, Brian Cox, Dan Aykroyd
Sceneggiatura: Chris Henchy,  Shawn Harwell


Trama (im)modesta – Cam Brady è un famoso politico, cinque volte membro del Congresso, corrotto fino al midollo con tutti i vizietti di italiana stirpe che il caravanserraglio del nostro ex-Premier ci ha insegnato: escort, volgarità gratuite, slealtà di ogni tipo, droghe, festini selvaggi. Dopo l’ennesima gaffe, due importanti e ricchissimi industriali decidono di creare dal nulla un nuovo candidato-fantoccio che risponda ai loro desideri. La loro scelta ricade su Marty Huggins, mite e delicato padre di famiglia, che, da un giorno all’altro, si trova catapultato nel mondo infuocato dell’agone politico. Così, fra un’ipocrisia e l’altra, la campagna elettorale va avanti senza esclusione di colpi, fino alla votazione finale.


La mia (im)modesta opinione – Si può dire di tutto, guardando questo The Campaign, opera partorita dal grande Jay Roach, papà cinematografico del mio santo personale: Austin Powers. Mentre lo guardavo, devo confessarlo, ero davvero entusiasta. Entusiasta non per la particolare grandezza cinematografica del film (che comunque è molto, molto valida) quanto per l’apparizione di un genere di commedia che ritenevo ormai scomparso per sempre: il comico puro, mescolato alla satira più perversa e spietata. Del resto, cosa ci si poteva aspettare dal produttore di Borat? The Campaign è un film che funziona su tutti i livelli, non c’è scena che non finisca in gag e non c’è gag che appaia stanca, o peggio ancora sciocca. Anche quando tutto questo fosse sufficiente da solo (e lo è) il film si porta ancora più avanti e rompe il muro del suono della modernità: la satira è affilatissima, scorretta al massimo; le citazioni alla cultura pop sono vulcaniche (il pugno al cagnolino di The Artist? Geniale); tutto, insomma, riesce a far ridere senza essere un comico troppo alla grossa.


Protagonisti del film sono i due “onorevoli” che si contendono il seggio. Due omuncoli paradossali, eccessivi; ma del tutto esilaranti. All’angolo destro del ring c’è Cam Brady (finto) padre di famiglia, puttaniere incallito, venduto fino all’ultimo centesimo a ogni industriale, del tutto disinteressato alle sorti dei suoi elettori. Davanti a lui sta Marty Huggins, rotondo ed effeminato signore di campagna, pieno di hobby delicati, amante dei suoi dolci carlini. Inutile dire che, nel corso del film, Marty subirà un completo restyling da parte di Tim Wattley (Dylan McDermott mi ha fatto morire dal ridere) che lo farà diventare il classico macho-man americano, fanatico di fucili e pistole, con due bei baffoni alla Tom Selleck. Inutile dire come entrambi i personaggi siano utili allo strumento satirico degli autori: con Cam Brady vediamo il lato scintillante e corrotto dell’arena politica, con tutte le volgarità nascoste, il perbenismo che nasconde torride telefonate a prostitute; con Marty Huggins la svendita della politica, la disponibilità degli elettori a farsi infinocchiare dal primo venuto a cui basta, per ottenere il trionfo, solo adattarsi a uno stereotipo nazionale.


La bassezza umana, poi, dell’intero circondario di politici e aiutanti è meravigliosa. La campagna stessa, tutta basata sulle bastardate reciproche, ne è un esempio. I due candidati che litigano per dare un bacio a un bambino, i dispetti da terza elementare, gli insulti, i reciproci sgambetti, tutto è teso a dipingere una classe politica rozza, corrotta, debosciata e disinteressata a elettorati e famiglie. Persino una velata allusione ai brogli elettorali è fatta. Tutto merito, dunque, di una grande sceneggiatura che, però, è colpevole, in certi momenti, di aver inanellato una serie di gag di sicuro effetto ma di quando in quando di scarsa pertinenza allo svolgimento della trama. Ma questo, per fortuna, capita solo per poche scene (la riunione di famiglia degli Huggins in cui ognuno racconta i propri segreti) che hanno la fortuna di essere divertentissime e, per questo, vengono senz’altro perdonate.


Il cast, poi, è azzeccatissimo. Si va da un Will Ferrell al suo meglio, a un Zach Galifianakis di rara bravura capace di impersonare, con assoluta credibilità, entrambi i lati del suo personaggio: delicato e morbido santarellino di provincia da un lato, e minaccioso guerrafondaio dall’altro. All’equazione si unisce un Dylan McDermott incredibile, stupendo nella sua impassibile freddezza. Una piccola parte la ha pure il grande Brian Cox e l’ex blues brother Dan Aykroyd nella parte del corrottissimo industriale. La regia di Jay Roach (ma non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo) giostra il film con arte consumata: la comicità è perfetta, sopra le righe al punto giusto, tagliente ma non offensiva, intelligente seppur sboccata. Grazie agli autori il film riesce a evitare la trappola della demenzialità fine a se stessa e così contribuiscono a confezionare un film che figurerà senza timore alcuno fra le migliori commedie dell’anno.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Il richiamo al grande classico è uno: l’augusto Mr. Smith va a Washington (1939) di Frank Capra. Per un altro filmone granitico sulla politica corrotta potete vedere l’acclamato ma, a mio parere, noioso Le Idi di Marzo (2011) di George Clooney, oppure il molto più esaltante Good Night and Good Luck (2005) sempre di George Clooney. Abbiamo inoltre il grandissimo Tutti gli uomini del presidente (1976) di Alan J. Pakula. Se vogliamo buttarla sul comico, invece, a venirne in mente è ovviamente The Dictator (2012) di Larry Charles.


Scena cult – La telefonata di Cam Brady alla prostituta, ascoltata erroneamente da una devota famiglia cristiana a tavola.

Canzone cult – Non pervenuta.

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