domenica 26 maggio 2013

HAPPY FAMILY (2010), Gabriele Salvatores


Italia, 2010
Regia: Gabriele Salvatores
Cast: Fabio de Luigi, Valeria Bilello, Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Margherita Buy, Carla Signoris, Corinna Agustoni, Gianmaria Biancuzzi, Alice Croci
Sceneggiatura: Alessandro Genovesi, Gabriele Salvatores


Trama (im)modesta – Ezio è uno sceneggiatore indeciso. Ha una bella storia: due ragazzi, entrambi sedicenni che non potrebbero essere più diversi, che decidono di sposarsi. Due famiglie diversissime: una appartiene all’altissima borghesia milanese, un’altra di classe media. Una bella storia, si diceva, ma senza sviluppo o finale. Dietro la protesta dei personaggi, Ezio deciderà di infilare se stesso nella storia, salvo per poi pentirsene un’ultima volta. Ma il finale ci sarà, e dei più lieti. Perché se la vita è sogno, sogno è anche il risveglio. E quelle figure che ci sorridono da sotto il guanciale, o dietro la cortina fuggevole d’un sogno a occhi aperti, non sono meno reali d’un gabbiano inconsulto che veleggia bianco sul cielo azzurro dell’estate milanese.


La mia (im)modesta opinione – Un’assolata corsia d’ospedale. Ecco che mi pare il cinema italiano d’oggi. E fra truci epidemie, infami diarree, disperati gesti di lamento e cancri implacabili, ci deve pur essere qualcuno che guarisce e si salva. Qualcuno trova la salute con l’aria più salubre d’altre longitudini (qualcuno ha detto Paolo Sorrentino?), qualcuno si bea del melodramma del proprio male, come un Tornatore d’altri tempi; qualcuno guarisce e basta. Sarà quella strana miscela di nuove farmacopee e inclita spinta alla vita, ma qualcuno è capace di guarire e, soprattutto, di ricordare. Salvatores c’è riuscito.


C’è tutto il cinema italiano, nel suo Happy Family. C’è la lirica circense di Fellini, la spezia esotica di un tardivo Wes Anderson, forse anche le poesie senza requie di Antonioni e De Sica. C’è Milano, non Roma. E questo è importante. Non la capitale vetusta, non la sua bellezza molle e lontana; ma la metropoli giovane, dalle vie scattanti, dai mali moderni. Eppure quella di Happy Family non è una storia milanese, è una storia italiana e, più che italiana, una storia universale. E Salvatores riesce a narrarla, con malizie e amarezze, insaporendola d’un aroma che nessuno sarebbe capace di confondere con un altro.


C’è la visione onirica d’alta significanza, il lirismo d’un bianco e nero che abbraccia la placida gloria sia de La dolce vita che la cupezza de Ladri di biciclette. Manifesto e memento, dunque, il film di Salvatores, ma senza nemmeno il reazionario veleno d’un passatismo eccessivo: l’occhio spazia dovunque, dunque anche al presente. E allora ci troviamo davanti alle tavolate di Ozpetek e agli imbastimenti sontuosi e le nevrosi altoborghesi de I Tenembaum. Ma nemmeno Salvatores dimentica se stesso: c’è tutto quello che a lui è sempre piaciuto. Gli sconfinati spazi del mare luminoso, i rimpianti e le nostalgie, le stupende impennate al di sopra delle righe...


Molti lo definirebbero un film manierato. Ebbene? La maniera è quella che ci salva la vita quando una mareggiata di banalità ci spinge la testa sotto la cresta dell’onda. Quando mi capita di vedere un bel film sono emozionato, tutt’al più; con Happy Family sono felice: siamo ancora capaci, noi italiani, di fare qualcosa di bello e di nostro, di produrre qualcosa che abbia anima e pensiero, che sappia guardare al passato senza scordare il presente o sperare in un futuro migliore. Perché questo siamo noi italiani, un popolo di sognatori che non vuole mai svegliarsi e lotta, lotta indefessamente pur d’abbracciarsi un minuto di più a quelle lenzuola ormai rancide che solo un tempo lontano furono capaci di accoglierci.


Di tutto il resto non parlerò: il cast, le simmetrie e le inquadrature. Sarebb, e scontato, sarebbe come dire che l’Italia è al passo con il resto del mondo. Non lo è. Happy Family è un film fortunato, uno che si è salvato, ma è uno dei pochi. Temo (e forse a ragione) uno degli ultimi. La speranza, allora, è l’unica compagna che ci resta. Una compagna che è l’ultima a morire ma la prima a nascondersi. Concludo con brevità: guardate Happy Family, non sarà il vostro preferito, ma l’ameremo come uno dei pochi superstiti al naufragio che ha ucciso tutti i nostri cari.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Nonostante i tempi che corrano siano indubbiamente bui, l’eccellenza italiana poco vuole saperne di sopirsi. Consiglio dunque il Gomorra (2008) di Matteo Garrone, La Grande Bellezza (2013) di Paolo Sorrentino, le Mine Vaganti (2010) di Ferzan Ozpetek, il Tutta la vita davanti (2008) di Paolo Virzì. Strizziamo l’occhio anche al passato glorioso: La Dolce Vita (1960) e l’Amarcord (1979) di Federico Fellini, i Ladri di Biciclette (1949) di Vittorio de Sica, La Notte (1961) di Michelangelo Antonioni e Il bell’Antonio (1960) di Mauro Bolognini (si nota che sono un fan di Mastroianni?)


Scena cult – Lo stupendo intro alla Wes Anderson e la discussione sulla vita fra Diego Abatantuono e Fabrizio Bentivoglio.

Canzone cult – In mezzo a un tripudio di Paul Simon & Art Garfunkel, io segnalo il commovente (sebbene rigidamente eseguito) Notturno in Do Minore di Frédéric Chopin.

7 commenti:

  1. Qui Salvatores scimmiotta Anderson alla grande. E' più che citazione o adattamento "all'italiana", è una esplicita copia del suo stile. Non ci vedo niente di nuovo, soprattutto non ci vedo niente di nostro. Sarà che ho alcune difficoltà con i film in cui per metà del tempo gli attori guardano e parlano in camera...;)

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    1. C'è dell'Anderson, ma trovo impossibile negare la presenza sia dei rimandi a Fellini che alla commedia all'italiana nelle parti più comiche del film. Inoltre Salvatores ci mette anche del suo. Personalmente, sono molto contento di questo film!

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  2. anche a me non è dispiaciuto.
    però magari con me entusiasmo rispetto a te :)

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    1. Più che entusiasmo direi sorpresa. Vedere un bel film italiano ormai è una sorpresa.

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  3. io ho una vera e propria dipendenza da fabio de luigi, e sebbene questo non sia il suo miglior film, io me lo sono vista volentieri (più di una volta!)

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  4. Oh! Sì, un bel film italiano, non c'è che dire! Idee molto alla Kaufman ma comunque veloce, stiloso e più che gradevole!

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