Regno
Unito, 2012
Regia: Joe
Wright
Cast: Keira
Knightley, Aaron Taylor-Johnson, Jude Law, Kelly McDonald, Domhnall Gleeson,
Emily Watson
Sceneggiatura: Tom Stoppard
Trama (im)modesta – Russia, XIX Secolo. La giovane Anna è
un’aristocratica sposata a un vecchio e grigio funzionario di governo, Karenin,
da cui ha un figlio. Intrappolata in un matrimonio senza amore o passione, Anna
s’innamora perdutamente del bellissimo conte Vronsky, figlio di un’importante nobile.
Anna e Vronsky intrecciano dunque una relazione intensa e sensuale, fino al
punto in cui Anna s’innamorerà del bel nobile e resterà incinta di suo figlio.
Karenin, nel frattempo, verrà a conoscenza del tradimento (divenuto materiale
di chiacchiere da salotto per l’alta società russa) e inviterà Anna a
rinunciare alla sua storia d’amore sia per evitare lo scandalo, sia per evitare
il divorzio che l’avrebbe lasciata umiliata e senza nome. Anna abbandona lo
stesso suo marito ma la situazione comincia a peggiorare sempre di più quando
il peso dello stigma sociale si fa insopportabile e Vronsky diventa sempre più
distante.
La mia (im)modesta opinione – Un film geniale. Non si
potrebbe dire diversamente alla vista di questa rivoluzionaria rilettura dell’Anna
Karenina di Tolstoj, uno dei più grandi romanzi della letteratura occidentale,
affrontata da un lato con precisa vicinanza allo spirito del testo originale,
dall’altro con esaltante sperimentalismo che porta il regista Wright a tradurre
lo stile piano e corposo dell’autore in una prospettiva di brillantezza
estetica (ed estatica) che non solo ricrea stupendamente le atmosfere fastose
del romanzo ma ammanta d’onirismo e leggerezza sgargiante tutta la storia – una
storia in cui musica, gesti, parole e immagini si fondono gli uni negli altri
nel non-luogo ideale: il teatro. Pochissime sono infatti le riprese in esterno,
tutto si svolge al chiuso in stanze che si aprono e si chiudono su altre
prospettive elaborate ed elegantissime.
Di incredibile acume è infatti la scelta registica di
ambientare tutte le scene (o quasi) che vedono protagonista la vita cittadina
russa in luoghi fissi e chiusi che vengono decorati sul momento dalle stesse
comparse nel corso di elaborate coreografie che culminano nel lunghissimo e
stupendo valzer durante il quale Anna e Vronsky s’innamorano. Alle riprese in
esterni, stranianti non meno di quelle in interni, sono affidati invece
purissimi orizzonti, oceani d’alte erbe, prospettive insieme pulitissime e
monumentali. Interessante rendimento, questo, di quella dicotomia fra vita di
città e vita di campagna che Tolstoj si premurava di evidenziare nelle pagine
del suo Anna Karenina tramite le storie parallele di Anna e del suo amante e di
Levin e della sua sposa Kitty che trovano la felicità immersi nella rurale
semplicità della campagna, fatta di austerità, duro lavoro e saldi precetti
morali (saldi, mai bigotti).
Anna Karenina dovrebbe essere il film stilizzato per
antonomasia, ma proprio questo adattamento così sperimentale e rivoluzionario,
che già a poche ore dalla visione io considero leggendario, finisca per far
perdere al film effettivo mordente, facendolo sprofondare in una preziosissima
superficie ma in qualche modo lenendo ruoli e personaggi. Effetti collaterali
dello straniamento radicale, si dirà, ed è proprio questa la diagnosi che si
esprime. Esaltati e stupefatti da tanto piacere per occhi, orecchie e cervello;
ma vagamente delusi e frustrati dall’appiattimento che subisce un film che,
sebbene diventi un vero e proprio quadro in movimento, riesce solo ad accennare
vagamente agli importanti temi trattati da Tolstoj nel suo libro, che erano
quelli della salvezza e del perdono, la critica all’ipocrisia, i significati
delle passioni e l’importanza della volontà scevra da ebbrezze e scompensi.
E nemmeno si potrebbe scusare Wright dicendo che la sua
pellicola completa e spiega il libro come sua traduzione in ambito di pura
visività e sensorialismo. Il film di Wright del libro è rappresentazione,
significante e derivato e solo avendo letto il libro di Tolstoj questa versione
cinematografica di Anna Karenina risulterà completa. Certo incredibile è la
capacità di teatralizzazione e sintesi, capace di rinchiudere un potenziale
kolossal in stile Il Gattopardo di Visconti in un solo spazio materiale, il
teatro appunto che diventa via via ippodromo, sala da ballo, stazione di treno,
opera, ristorante, salotto nobiliare... una serie di metamorfosi condotta con
sconvolgente eleganza, tanto che s’arriva a credere che in questo film cinema,
teatro e danza si siano fusi sfruttando le migliori caratteristiche di tutti i
generi in una architettura di puro cristallo, un carnevale di diamante in cui
la magia dell’arte può farsi autenticamente vera.
Gli interpreti sono tutti spettacolari. Keira Knightley è
un’Anna Karenina semplicemente perfetta: un cigno principesco e delicato che
trasforma anche il gesto più banale in finissimo movimento di danza. Simile
discorso si può fare per il Conte Vronsky di Aaron Taylor-Johnson, un attore
che normalmente mi sta antipatico, ma che è calato tanto a pennello nella parte
di homme fatale al contempo virile e raffinato da far sbigottire. E la parte di
Vronsky certo non poteva che essere affidata a lui, non solo perché è uno dei
migliori attori della Hollywood giovane (anche se mi sta pesantemente
antipatico, lo ammetto), ma anche perché ha l’ideale physique du rôle per
recitare quel modello d’uomo ottocentesco profondamente virile ma esteriormente
elegante quasi al limite dell’effeminatezza. Ma il vero sconvolgimento della
pellicola è un Jude Law da Oscar, con inedita pelata e faccia da barbosissimo
ragioniere.
E così, sommando superlativa fotografia a musica sublime, si
potrebbe avere l’idea di un film che compie la radicale scelta dello stile
sopra la sostanza – un parossismo di stile, varrebbe dire, che alla lunga può
stancare e ipertendere il cervello dello spettatore ma non ne sazierà mai
l’occhio o l’orecchio. Uno strano caso, dunque, di film la cui mancanza
d’imperfezione è imperfezione essa stessa; ma rimango comunque sorpreso che le
uniche nomination all’Oscar che abbia ricevuto siano quelle per gli aspetti
tecnici e non per quelli più strettamente artistici come regia o
interpretazioni (almeno per Keira Knightley, che riesce finalmente a far dimenticare
gli obbrobri di A Dangerous Method, e per Jude Law), ma si vede che l’Academy
ha preferito film certamente più commerciali. Un grande film, dunque, un
istantaneo classico (spero non solo) personale. È il caso di dirlo: è nata una
Leggenda.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Le stupende opere
storiche di Luchino Visconti. Mi riferisco ovviamente a Il Gattopardo (1963),
La Caduta degli Dei (1969) e Morte a Venezia (1971). Altro grande esempio è il
Fellini Satyricon (1969) e Il Casanova (1976) del grande Federico Fellini. Per
rispolverare le glorie passate di Wright c’è il delicato Espiazione (2007)
mentre altre grandi prove di stile sono A Single Man (2009) di Tom Ford, il
recentissimo Les Misérables (2012) di Tom Hooper, Elizabeth (1998) di Shekhar
Kapur e l’epocale Moulin Rouge! (2001) di Baz Luhrmann.
Scena cult – La scena del valzer. Pura estasi
visivo/uditiva.
Canzone cult – Una qualsiasi delle bellissime musiche di
Dario Marinelli.