mercoledì 13 marzo 2013

SKYFALL (2012), Sam Mendes


Regno Unito, 2012
Regia: Sam Mendes
Cast: Daniel Craig, Javier Bardem, Judi Dench, Ralph Fiennes, Naomie Harris, Albert Finney, Ben Wishaw, Bérénice Marlohe
Sceneggiatura: Neal Purvis, Robert Wade, John Logan


Trama (im)modesta – Mentre si trova a Istanbul, cercando di proteggere un prezioso disco rigido contenente le identità di tutti gli agenti NATO sotto copertura, James Bond viene ferito per sbaglio e dato per morto. Dopo essersi goduto una vacanza dalla vita di agente segreto, Bond viene a sapere che l’MI6 è accusata di negligenza e inefficienza a causa della perdita del disco. L’agente segreto decide di tornare così in Inghilterra e riprendere il servizio ma, per farlo, dovrà dimostrare di essersi completamente ristabilito. Difficile dato che il nostro Bond è ormai avanti con gli anni e non ha né il fisico né lo spirito di una volta; come se non bastasse Raoul Silva, un ex-agente dell’MI6, geniale hacker, decide di vendicarsi di M, capo dei servizi segreti, colpevole di averlo “venduto” ai colleghi cinesi che l’hanno torturato quasi fino alla morte. E così, fra una Londra messa a ferro e fuoco da attentati terroristici e oscuri destini che tornano a bussare alla porta, l’agente Bond dovrà affrontare la più importante resa dei conti della sua vita.


La mia (im)modesta opinioneSkyfall, lo dico subito, è il miglior Bond mai girato. Una assoluta pietra miliare della longevissima serie: se prima del salvifico Casino Royale, le storie del tostissimo agente segreto inventato da Ian Fleming s’erano cristallizzate sempre di più in trame stanche e ripetitive, l’avvento congiunto di Daniel Craig e Martin Campbell, rispettivamente davanti e dietro la cinepresa, e del nuovo team di autori aveva resuscitato l’agente 007 dal baratro in cui pareva definitivamente intrappolato. Aboliti definitivamente i clichés della serie, aboliti i gadget fantascientifici che ai tempi del barocco bondiano di Roger Moore avevano visto il loro massimo splendore, abolite le figure fisse del cattivo accompagnato dall’immancabile aiutante malvagio, aboliti i piani malefici stessi. Sobrietà e forza, innanzi tutto. La formula aveva funzionato alla grandissima per lo spettacolare Casino Royale, un po’ meno per Quantum of Solace che, persa la spinta dell’innovazione iniziale, risultava alquanto noiosetto, tanto noiosetto da far sospettare la definitiva dipartita della serie. Ma Skyfall ha dimostrato come, per la serie dell’agente segreto più famoso del mondo, la morte possa benissimo attendere.


Un riciclo e un ritorno, ecco cosa vedo in questo Bond firmato Sam Mendes: due spinte convettive e opposte. Una fa tornare indietro il passato glorioso, l’altra mette al bando il vecchio. Il film è, a una primissima visione, costellato di riferimenti più o meno espliciti agli storici film di Bond: la Aston Martin e gli scenari montani ricordano il mitico Goldfinger, la fossa dei draghi di Komodo con tanto di balzo finale è un rimando a Vivi e lascia morire, il dipinto arpionato da Bond in Moonraker appare nell’ufficio di M, il cervo che svetta sui cancelli della antica casa di 007 lo si vede in Thunderball e via dicendo. Il film fa di più: riporta sullo schermo le versioni ringiovanite e rinnovate delle due storiche spalle di Bond, ovvero la segretaria Moneypenny e il quartermaster Q. Una cornice di splendido anticato per racchiudere un quadro moderno che ci parla di temi dolorosi: l’inevitabilità del tempo e della morte, l’inesorabile caduta di ogni certezza, la fragilità e la debolezza cui tutti siamo soggetti. Ne risulta un Bond singolare, fastoso e decadente, stranamente intimistico, incantato da una specie di sublime melanconia; un Bond crepuscolare e cupo, un film di fosca potenza cui la sempre umanissima regia di Sam Mendes regala un tono in più di lirismo senza togliere nemmeno un briciolo di ironia, azione e brillantezza.


Il merito va, in grandissima parte, agli autori, capaci di aver creato un Bond veramente atipico, tematicamente densissimo, compiaciuto e nostalgico del crepuscolo a venire. Basti pensare che la convenzionale figura della Bond Girl, ormai ridotta a inutile appendice, ha un’importanza più che marginale. Interpretata dalla mozzafiato Bérénice Marlohe, con quell’aria indecisa fra la gorgone e la sirena, la bella Sévérine che viene tolta dal mezzo nel giro di tre scene scarse. Altra innovazione per il villain della serie: Raoul Silva non vuole né fare esplodere una bomba atomica a Fort Knox, né sabotare le missioni aereospaziali USA, né minacciare il pianeta con satelliti e cannoni esplosivi. Raoul Silva cerca, anzi, la morte, ma non vuole andarsene prima che se ne sia andata pure M, colpevole di averlo abbandonato a cinque mesi di indicibili torture per mani di agenti segreti rivali e averlo lasciato sfigurato dopo un tentativo di suicidio tragicamente fallito. Nel creare il suo Silva, Javier Bardem offre, come al solito, un’interpretazione semplicemente meravigliosa riuscendo a mescolare plausibilmente genio criminale, omosessualità (Raoul Silva, primo cattivo gay in un film bondiano, è un ibrido ossigenato e struccato fra il Joker di Heath Ledger e Frank-N-Furter del mitico Rocky Horror Picture Show) e inveterato rancore.


Anche Daniel Craig, solitamente inespressivo, riesce a darci il suo miglior Bond, ma vero plauso va alla regina assoluta del cinema inglese, mi riferisco ovviamente alla sublime Judi Dench, che vede finalmente approfondito il personaggio di M e a cui vengono regalate un paio di scene e battute realmente memorabili. Da un punto di vista visivo, poi, Skyfall si conferma ancora una volta come il miglior Bond di sempre: dalle fredde luci blu dei grattacieli di Shangai agli ori sfolgoranti di Macao, dalle grigie guglie londinesi ai ventosi e desolati altipiani della Scozia, il lavoro di fotografia e effettistica è impagabile. Di pauroso impatto è l’epica esplosione dell’antica casa di Bond e sempre al registro del sublime tendono le immagini della nebbiosa highland illuminata dal rogo del palazzo sventrato dal fuoco. Il capolavoro assoluto della saga bondiana? Sì, ma non scordiamoci che senza i ventidue film che aveva alle spalle, questo ultimo non sarebbe stato possibile. E qui sta la vera grandezza di Skyfall: riscattare tutti i suoi predecessori e insieme superali con un balzo, essere il necessario prodotto di cinquant’anni di film dall’alterna fortuna e insieme esserne il distillato migliore. Impossibile uno Skyfall senza i precedenti film di Bond (quelli brutti inclusi) e insensati i precedenti film di Bond senza uno Skyfall davanti a sé. Umilmente m’inchino.


Se ti è piaciuto guarda anche... – James Bond è uno dei principali responsabili del mio amore per il cinema, noterò di seguito tutti i film che costituiscono le pietre miliari della semisecolare serie: il primo, immenso è Licenza di Uccidere (1962) di Terence Young, lo segue a ruota il mitico Missione Goldfinger (1964) di Guy Hamilton, stendendo un pietoso velo sulla dolorosa parentesi di George Lazenby, ci troviamo di fronte al titano La spia che mi amava (1977) di Lewis Gilbert accompagnato dall’illustre fratello minore Solo per i tuoi occhi (1981) di John Glen e dal piccolo fratellino ritardato Octopussy (1983) sempre di John Glen. Abbiamo poi il debutto di Martin Campbell alla regia del suo primo Bond, ossia GoldenEye (1995) che segna anche l’esordio di Pierce Brosnan nel ruolo di 007, bolsissimi tutti gli altri e degno di nota è il La morte può attendere (2002) di Lee Tamahori che segna il punto di congelamento più grave per l’agente segreto più famoso del mondo. E consigliamo infine la meravigliosa resurrezione di Casino Royale (2006) ancora una volta di Martin Campbell.


Scena cult – L’intera mezz’ora finale. Uno spettacolo per gli occhi. E ovviamente il fascinoso casinò di Macao.

Canzone cult – Nemmeno a dirlo, l’immensa Skyfall di Adele, canzone più intima e lirica che non inneggia né alla sopravvivenza di Bond né a ormai esausti motivi di vendetta o rivalsa personale.

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