martedì 25 giugno 2013

HANNIBAL, Stagione 1 (2013), Bryan Fuller


USA, 2013
Regia: David Slade, Michael Rymer, Peter Medak,  Guillermo Navarro, James Foley, Tim Hunter, John Dahl
Cast: Hugh Dancy, Mads Mikklesen, Laurence Fishburne, Caroline Dhavernas, Lara Jean Chorostecki,   Raúl Esparza, Gillian Anderson, Kacey Rohl
Sceneggiatura: Bryan Fuller, Jim Danger Gray, David Fury, Chris Brancato, Jennifer Schuur, Scott Nimerfro, Kai Yu Wu, Jesse Alexander, Steve Lightfoot, Andy Black, Chris Brancato


Trama (im)modesta – Will Graham è uno schivo e giovane professore dell’FBI che, grazie alle sue particolari capacità d’empatizzare alla perfezione con gli assassini, scorgendone in pochi attimi modus operandi e dinamiche dell’omicidio, lavora anche come investigatore speciale per conto di Jack Crawford, il capo dell’Unità di Scienze Comportamentali. Il complesso caso di un serial killer che ha ucciso già otto studentesse, i cui cadaveri sono tutti scomparsi, e pare seguito nei suoi omicidi da un secondo assassino che copia quasi alla lettera le uccisioni del primo, porta Crawford a chiedere l’aiuto di Graham: una mossa azzardata dato che la mente di Will, troppo provata dal continuo e strettissimo contatto con la follia, rischia di spezzarsi in ogni momento. È per questo che, a seguire Will, viene messo il dottor Hannibal Lecter. Ma Lecter è egli stesso un pericoloso e astutissimo assassino che comincerà una partita a scacchi con la mente di Will, destinata a distruggerlo per sempre.


La mia (im)modesta opinione – Tema scottante, quello dell’Hannibal di Bryan Fuller. Nulla ha più diviso il popolo delle serie tv quanto questa serie che, con tutte le sue mancanze e inefficienze, s’è presentata come una delle (potenzialmente) saghe più radicali e sconvolgenti di questa ultima stagione televisiva. Tralasciando i pregi e i difetti della narrazione, tralasciando la figura stessa dell’Hannibal di Mads Mikklesen di cui parleremo più giù, ciò che m’ha colpito maggiormente è anche la maggiore scusante per le falle di una serie che, se correggerà i suoi problemi di sceneggiatura, potrà aspirare a scardinare gli stessi meccanismi del dramma procedurale: lo stile. Hannibal, prima d’ogni cosa, si caratterizza per la sua cifra stilistica improntata ad assoluta sobrietà ed eleganza: elaborate scenografie, stupende orchestrazioni figurative, decisione e levigatezza del taglio registico che ricorrono in ogni puntata della serie.
  

Ma partiamo dalle dolenti note: la trama. Il problema principale è l’apparente indecisione degli sceneggiatori: trama unitaria o procedurale autoconclusivo? Se gli inizi facevano pensare alla prima opzione, gli sviluppi riportano alla seconda. Ma ecco un ritorno sui propri passi verso la fine, insieme all’evoluzione che verrà proseguita nella seconda stagione. Un procedurale nella sua maggior parte, dunque, ma un procedurale come non se ne sono mai visti: non analisi della scena del crimine, ma analisi della mente del detective. Non bruta violenza ma raffinatezza quasi poetica (cadaveri trasformati in macabri angeli e violini, totem di morti, carni usati come vivai per funghi) che mostra veramente, non evitando notevoli concettosità ed errori logici, un talento visivo e immaginativo senza pari.


L’assassinio come arte, dunque. E ancora più inquietanti e bellissime sono le visioni di Graham (interpretato da un Hugh Dancy di sopraffina bravura: una performance, la sua, raramente così estrema e viscerale, degna certamente di un Emmy o un Golden Globe): ghiacciai che caracollano in acque torrenziali, funebri sonate su cadaveri-violoncelli, cervi dalle corna infuocate, demoni neri... Pare di vederlo, giorno a giorno, rompere sempre di più, centimetro dopo centimetro, nella follia più selvaggia. E dunque questo il lato positivo del lato negativo: se la trama ha poveri sviluppi, la psiche è sviscerata e anatomizzata con una freddezza da folle chirurgo.


Di nuovo: la serie non è perfetta. C’è almeno un gravissimo buco della trama (le vicende legate a un arto tagliato trovato dentro un osservatorio astronomico, e non dico altro) che la serie può dimenticare o risolvere. Speriamo lo risolva. Per il resto, se nella prima parte della stagione si raggiungono basse vette, sul finale la serie s’invola e promette evoluzioni delle più entusiasmanti. Ma il punto è proprio questo: siamo troppo abituati al melodramma. Ci aspettiamo azioni, azioni e solo azioni e abbiamo finito per smettere di concepire prodotti televisivi dall’andare più lento e sottile – andare lento e sottile che non preclude di certo a movimenti della trama che con sicurezza andrà avanti, data l’apparentemente trascorsa insicurezza degli autori circa gli obiettivi della serie stessa.


Veniamo ora a discutere di quello che di questa serie m’ha fatto innamorare: la perpetua, inedita tensione verso il maggior formalismo possibile. Hannibal ha pochi appigli per lo spettatore-tipo: mancano vicende amorose, mancano vere indagini poliziesche, non c’è azione, l’intrigo è solo velato. Collante ideale della serie è la finissima manipolazione psicologica: Hannibal tira con sottigliezza di burattinaio tutti i fili della vicenda. Quello che abbiamo davanti è la sua capacità, già presente e decantata nei numerosi film precedenti, di entrare nella testa delle persone rimanendo perfettamente sfuggente. La serie procede con pianezza, senza apparente incisività fino agli ultimi episodi finali con un’unica eccezione: la mirabolante settima puntata dove Hannibal si scatena in una killing spree a ritmo di clavicembalo barocco.


E parliamo del maggior scoglio, alla fine: il dottor Hannibal Lecter. Il personaggio di Thomas Harris aveva cominciato la sua carriera sulla pagina scritta. La sua prima incarnazione, quella di Brian Cox nel Manhunter di Mann, era corpulenta e beffarda, ma poco inquadrava il personaggio. La sua più recente, quella di Gaspard Ulliel, non mancava di fascino. Ma quella che è passato alla storia è il dragone metafisico di Anthony Hopkins, un cattivo epocale, brillante e sopra le righe che terrorizzò il mondo nello storico Il silenzio degli innocenti. I più che hanno criticato l’interpretazione di Mikklesen erano i più abituati all’interpretazione di Hopkins. Le due incarnazioni, però, per quanto differenti fra di loro non necessariamente si contraddicono.


Il Lecter di Mikklesen è più vicino al personaggio originale di Harris di quanto non si creda: una creatura dall’involucro gelido il cui spirito s’impenna nelle più ardite contorsioni d’estetica e follia. Quelli che hanno criticato la mancanza di cattiveria del nuovo Hannibal ignorano il lato “pubblico” del crudele dottore: misuratissimo, sopraffino, d’immane algore. Mikklesen ha fatto un capolavoro di recitazione “fredda” alla Jeremy Irons, capace di un’impassibilità di rara vividezza, perfetta con il suo delicato emergere delle emozioni delle più feroci. Un Hannibal contemplante e implacabile, che raramente vediamo uccidere, ma che senza alcun dubbio è capace di bucare lo schermo con la sua diabolica sottigliezza.


Il resto del cast è alla stessa altezza. Di Dancy si è già parlato: la sua interpretazione sfiora semplicemente il sublime, con il culmine perfetto dell’ultima puntata. Laurence Fishburne è semplicemente perfetto insieme a tutti i suoi comprimari. Si segnala in particolare la dottoressa Bedelia “Regina-di-Ghiaccio” du Maurier, interpretata da una taglientissima Gillian Anderson. Altro punto di valore: le infinite citazioni e rimandi non solo a Il silenzio degli innocenti, ma anche ad altri capolavori come Shining, Carrie, Motel Hell, Seven, gli stessi libri di Harris, citati pressoché alla lettera, la musica classica, le fotografie di David Slade. Non un prodotto d’impatto, dunque, ma di grandissima densità, sontuose psicosi, sottilissima elaborazione. Non però ancora un cult, per i difetti che abbiamo detto sopra. Ma la certezza della sua grandissima ripresa è più che granitica.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Naturalmente tutti gli altri film del franchise del dottor Lecter: iniziamo dal malioso Manhunter (1986) di Michael Mann, fino alla “trilogia” di Hopkins che inizia con Il silenzio degli innocenti (1991) di Jonathan Demme, prosegue con Hannibal (2001) di Ridley Scott e finisce in grandezza con il grandemente sottovalutato Red Dragon (2002) di Brett Ratner. Abbiamo poi il figlio “nato per forza”: il comunque valido Hannibal Rising (2007) di Peter Weir. Citiamo poi l’immancabile Shining (1980) di Stanley Kubrick, La casa dei 1000 corpi (2003) di Rob Zombie e il perfetto Seven (1995) di David Fincher.


Scena cult – Il totem di corpi sulla spiaggia, il concerto di Handel in cui la musica si fa invisibilmente vedere, le visioni di donne incornate di Graham e l’intera settima puntata, assoluto capolavoro.


Canzone cult – L’aria handeliana Piangerò la sorte mia

8 commenti:

  1. Io ho visto la prima puntata e ho tranquillamente dormito per almeno 10 minuti. Noioso, prevedibile, con un Mikkelsen incomprensibile (ma non potevano metterci un inglese? Ho capito che Hannibal, se non rammento male, ha origini slave, ma l'amadonna...) nei dialoghi e un antagonista mollo come la panissa.
    Comunque, volevo recuperarla per dargli una seconda chance anche se sono molto poco convinta.

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    1. Come ho detto, è una serie in cui non avviene molto sul piano delle azioni. Colpa anche di sceneggiatori indecisi. Ma questa irrisolutezza pare passata (speriamo) e, soprattutto, l'estetica della serie è spettacolare.

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  2. No, a me proprio non mi ha convinta.

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    1. In fondo è una serie come un'altra. E' un po' diversa. Credo di essere l'unico a essere tanto entusiasta! ahah

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  3. alla fine me lo sono visto tutto.
    ottima analisi come al solito, però non mi hai parlato del personaggio migliore di tutti: il dr. gideon interpretato da eddie izzard, che in soli 2 episodi ha surclassato nettamente l'hannibal di mads mikkelsen. :)
    per me quelle 2 puntate sono state il meglio della serie, che per il resto come già sai non mi ha entusiasmato molto. se non ci fosse il masterchef hannibal, che se ne sta sempre lì a cucinare, sarebbe una serie molto più tesa, visto che tutti gli altri personaggi, soprattutto l'ottimo protagonista hugh dancy, sono molto più inquietanti di lui... peccato solo che la serie si chiami hannibal :D

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    1. Sono contento che l'abbia guardata tutta. Quanto a Izzard hai ragione, è stato meraviglioso. Un po' una ricalcatura dell'Hannibal di Hopkins ma ugualmente stupendo. Spero che darai una chance anche alle seconda stagione: se la merita tutta!

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  4. Ciao, sono un grande follower dell tuo altro blog e casualmente mi sono imbattuto in questa tua versione "cinematografica". Complimenti!
    Se dovessi basarmi sui contenuti del tuo altro diario e l analisi che dai del dottor Lecter personalmente crederei che siano scritti due persone distinte:
    Non entro nella trama della serie perché sono pienamente d accordo con le tue considerazioni ma sono le tue riflessioni sull eleganza che mi lasciano disorientato. Ad ogni modo mi sembra che la figura del Dottore sia stata coniugata e quindi equivocata con l idea di eleganza all americana. Harris presenta il dottore come una persona elegante e distinta. Letteralmente la produzione mostra quindi il Dottore in un completo tre pezzi (ad ogni ora del giorno e della notte) e con colori che esulano dalle classiche tonalità per dare spazio a piu "distinte" varianti come il viola e arancione.
    L unica volta che Harris in un libro ci propone un Hannibal al volante della sua vettura sceglie una Jaguar Mach II nera mentre nella serie mi è bastato vedere una BMW X5 argento per capire quanto lontana fosse rotolata la mela dall'albero. Ora, è lecito non stagnare nelle precedenti interpretazioni come quella inarrivabile di Sir Hopkins, ma almeno bisogna essere fedeli ai testi!
    I costanti riferimenti ai film sembrano in questo modo un tentativo frettoloso di omaggiare la versione masticata da altri registi piu tosto che un omaggio alla figura letteraria.
    Prova ne è il fatto stesso del cannibalismo. Cronologicamente Harris presenta l'antropofagia come UN MODO del Dottore di esercitare la sua natura e solo nelle "origini del male" spiega come sia frutto di un contrappasso del suo passato affinato dalla conoscenza di tradizioni orientali. Detto ciò, non vi pare che la produzione ridicolizzi cosi la figura avendola trasformato in un masterchef? Infine, la stessa grossolanita è evidente nelle tracce musicali: l equazione eleganza = musica classica scade nel patetico quando vengono suonate le sonate piu note dei compositori piu celebri. Alla luce di cio, non vi sembra che i decisamente convincenti e studiati casi presentati abbiano stremato le energie della produzione per concentrarsi sul personaggio che da il nome alla serie e che tra l altro è posto in secondo piano? Quella tale "ricercatezza" e "cultura" del personaggio studiata da Harris non diventa cosi solo fumo per un personaggio ridotto a un piu moderno anonimo avvocato da tribunale?

    Vista la mia stima per te e il tuo lavoro gradirei avere una tua opinione.

    A presto

    "Ciao ciao"

    LordB

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    1. La tua analisi è di straordinario nitore. E hai ragione: l'Hannibal di Harris è diverso da quello cinematografico, e anche all'interno del franchise del cinema ci sono quattro Hannibal diversi. Escludendo "Le origini del male" che è stato scritto dietro comando di De Laurentiis, trovo invece che la rappresentazione di Hannibal come chef e uomo raffinato sia ben rispecchiata nel romanzo "Hannibal" (tecnicamente, l'ultimo della trilogia) in cui è presente un famoso episodio del buon dottore che cucina fettine di cervello dopo essersi lanciato in uno shopping folle a base di pezzi d'antiquariato, utensili d'alta cucina e molte molte armi da taglio...

      Parlando poi dello stile della serie, è irrimediabile il fatto che il concetto di stile sia stato modernizzato ma, almeno a parer mio, il reparto artistico non è mai scaduto nel grottesco come spesso faceva invece l'Hannibal dei libri, lezioso al margine dell'omosessualità (sebbene omosessuale non fosse) come di nuovo viene detto in "Hannibal". Ho molto apprezzato lo stile della serie, la finezza nella scelta (non solo cinematografica) di arredi, vestiti e anche dei piatti. Esiste un blog tenuto dalla "food stylist" della serie di nome Feeding Hannibal, un lavoro di certo degno di ogni apprezzamento per capacità e fantasia.

      Di nuovo elegantissima, poi, trovo la sceneggiatura che, proprio come dico sopra, è molto lenta e a tratti incespicante ma assai fine nelle parti dialogate.

      Sono contento che il mio blog ti sia piaciuto.

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