Italia, 2013
Regia: Paolo Sorrentino
Cast: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo
Buccirosso, Giovanna Vignola, Serena Grandi, Giorgio Pasotti, Isabella Ferrari,
Giusi Merli
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
Trama (im)modesta – Jep Gambardella ha sessantacinque anni,
vive a Roma ed è l’arbiter elegantiarum dell’alta società della capitale. Un
uomo che il potere di far fallire le feste, che conosce chiunque abbia un nome
e che, eppure, è angustiato, sensibile com’è, da un’amarezza per il mondo che
lo circonda e per il suo bestiario umano. Ed è proprio la vita che conduce,
fatta di estasi sottili e aberranti decadenze, che l’opprime: sono quarant’anni
che Jep è incapace di scrivere un libro e s’accontenta di fare il giornalista
di costume, di passare di festa in festa, di vagare per la città spoglia alle
ore più buie della notte. Entra in crisi, allora, il nostro scrittore: troppo
disperatamente lontano da quella grande bellezza che gli faceva palpitare il
cuore ai pensieri delle tenerezze d’una gioventù lontana, ora sepolta dalla
grezza terra tombale della mondanità romana.
La mia (im)modesta opinione – Iniziamo da Petrarca: «Invece
questi viziosi cittadini, tra vini e banchetti, tra fiori e profumi, tra canti
e spettacoli, gocciolanti di vino, infiacchiti dal sonno, stanchi delle loro
occupazioni, d’ogni parte traboccanti di piaceri e di noia al tempo stesso,
hanno l’impressione che un giorno solo sia più lungo di un anno, e possono
trascorrere a stento qualche ora senza brontolare e senza farsi prendere dal
tedio». Una definizione perfetta per le atmosfere insieme sublimi e
corrottissime di una civitasdei raramente così bella, immortalata nel vuoto
della notte fresca: vero paravento smaltato, con le sue bellezze di
misticheggiante barocco, che maschera la crudezza di un’umanità miserabile e
desolata nel cuore.
Il paragone con La Dolce Vita di Fellini è presto fatto. E
nemmeno è troppo azzardato: i due film, più che confrontarsi o rivaleggiare,
paiono le successive pietre miliari d’uno stesso percorso che documenta il
lento svolgersi di un’Italia sempre più sull’orlo del baratro. Pochi si
salvano, e sono quelli che scappano. Le somme autorità spirituali sanno solo
parlare di gastronomia, l’ardore civile è cavo e fasullo come la ricchezza che
lo nutre, l’arte è cosa da pagliacci o da aguzzini eppure si elogia l’ipocrita
e si travisa la sincera, l’amore è cosa lontana e perduta ma sospirata da
molti. Scomparso per sempre l’esagerato ma splendido carnevale felliniano: quel
che rimane è un serraglio di bestie grottesche e abiette, bestie mostruose,
animali da sepolcro.
Sommo esponente di questo mondo (e dunque primo a esserne
nauseato) è il Jep Gambardella di Toni Servillo, novello Petronio, che gode
sottilmente delle ipocrisie di cui vive e soffre tremendamente la condanna d’un
animo sensibile. Lo vediamo vagare, perfettamente abbigliato, per le desolate
strade della Roma dormiente: un luogo di bellezze titaniche, inattese e di
fuggevoli visioni che svaniscono come spettri di seta, nella notte (sì, sto
parlando del cameo di Fanny Ardant, commovente). E la condanna non si muove
solo al più facile sottobosco festaiolo ma anche al più insidioso gruppo della
cosiddetta gente di cultura: creature viscidissime e false, vere cellule d’una
metastasi che infesta il cuore del nostro paese.
Sorrentino è il migliore regista italiano oggi. L’unico
maratoneta in una nazione di sciancati, l’enfant prodige che sbugiarda i vecchi
dottori del Tempio, il navigatore che ha l’ardire d’attraversare un oceano e
tornare indietro mentre i suoi connazionali hanno persino paura della vasca di
casa. Unico difetto: il film è interminabile, come anche il suo precedente This must be the place. Centoquarantadue minuti, tutti densissimi, forse un poco
pesanti. Ma ne vale grandemente la pena. Insieme a Tutta la vita davanti di
Virzì, questa La grande bellezza è il film italiano del decennio. Baz Luhrmann,
guarda e piangi: c’è più Gatsby in un film che di Gatsby non parla che in due
ore e rotte di fotoromanzo iperpatinato.
Se ti è piaciuto guarda anche... – La dolce vita (1960) di
Federico Fellini, ovviamente. Ma i film che ci parlano della nostra Italia,
tutti singolarmente disperati, abbondano: dal predetto, sinistro Tutta la vita
davanti (2008) di Paolo Virzì al fuoriclasse Ladri di Biciclette (1948) di
Vittorio de Sica. C’è poi il colosso Roma, città aperta (1945) di Roberto
Rossellini e, per finire, il Mamma Roma (1962) e l’infernale Salò, o le 120 giornate
di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini. Ma non facciamoci mancare lo spettacolare Il Gattopardo
(1963) di Luchino Visconti.
Scena cult – La performance artistica della bambina, la cui
rabbia contro il mondo viene sfruttata dai suoi genitori per denaro. Una
pugnalata la cuore che si conclude con la stupenda bellezza del colore e della
quiete.
Canzone cult – Bellissima e variegata la colonna sonora. Il
pezzo che, personalmente, m’ha commosso di più è stato il The Beatitudes del
Kronos Quartet.
Bella recensione, vieni a leggere la nostra. Ti avverto: siamo un tantino in disaccordo...;!
RispondiEliminaQuando i critici sono in disaccordo fra loro, l'artista è d'accordo con se stesso.
EliminaIn totale disaccordo.
RispondiEliminaSorrentino è uno dei migliori registi italiani in fatto di capacità tecniche. Per quel che riguarda l'aspetto narrativo (mi riferisco alla sceneggiatura) ha dimostrato, prima con This Must Be The Place poi con questo film, di non essere al livello delle grandi narrazioni del passato che hai citato anche tu (ricordiamoci che La dolce vita ha un impianto riconducibile alla Divina Commedia). Urge il ricorso ad un buono sceneggiatore ma, purtroppo, di talenti come quelli di Flaiano sembra non essercene più.
Non entro nel merito delle pecche del film perchè le ho enumerate nella mia recensione, ma ricordo che Tarkovskij asseriva che un ottimo film è una scultura del tempo. Qui di tempo, a parte la durata dello stillicidio (subìto non solo dello spettatore ma anche dal "talento" del regista), non ce n'è proprio traccia.
P.s. Invece, in questo caso, i critici sono stati più o meno concordi nel rilevare i molti punti deboli di questo film. E' il popolo dei blogger ad essere in disaccordo.
Per fortuna mi considero un dilettante: mi permette d'essere grossolano nei giudizi.
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