giovedì 21 giugno 2012

LA GUERRE EST DÉCLARÉE (2011), Valérie Donzelli


Francia, 2011
Regia: Valérie Donzelli
Cast: Valérie Donzelli, Jérémie Elkaïm, Frédéric Pierrot, Béatrice De Staël
Sceneggiatura: Valérie Donzelli, Jérémie Elkaïm



Trama (im)modesta – Juliette e Romeo sono due giovani attori che si incontrano ad una festa, si innamorano a prima vista e in men che non si dica vanno a vivere insieme e hanno un bambino. Ma il piccolo Adam, loro figlio, si comporta stranamente. Lo fanno controllare: la notizia è una sassata alla nuca. Loro figlio soffre di una grave forma di cancro al cervello e rischia addirittura la vita. Ma i due coraggiosi genitori non si scoraggiano e fanno di tutto per combattere la morte, la disperazione, la malattia e tutto il male che minaccia la loro tranquillità.


La mia (im)modesta opinione – Dopo aver letto questa mia recensione molti cinefili dichiareranno la guerra a me. La Guerre est Déclarée non mi è piaciuto. Ma non nel senso che mi ha deluso, non nel senso che si è fatto odiare ma nel senso che mi ha lasciato come un senso di promesse non mantenute in bocca. Una pellicola che non brilla non tanto per mancanze di tipo stilistico, registico o tecnico ma per colpa della sua mancanza di eventi. La storia della Guerre è bella, è forte ma manca di vigore, manca di punti nevralgici, punti nevralgici simulati ad arte dalla regista che sa gestire bene lo stile (e il film di stile ne ha tanto) ma il cui talento è bloccato da una sceneggiatura poco densa, troppo uniforme, troppo vera e troppo poco verosimile. Tranne un paio di sequenze, dunque, il film (da un punto di vista squisitamente narrativo) mi ha dato solo un gran senso di non importanza. Di monotonia.


Non fraintendetemi. La Donzelli è una regista sopraffina nel convogliare il pathos drammatico, nel creare momenti di poesia delicata (anche se non accetto gli sporchi trucchetti: i due protagonisti che cantano insieme una canzone a fior di labbra? Abbiamo visto tutti quanto Magnolia, qui) e certe scene sono riuscite anche ad emozionarmi, ma al cinema l’emozione non è tutto. Il film perfetto unisce «a uno stile incisivo un’analisi penetrante e felina» e la Guerre non lo fa. Descrive, descrive, descrive. Gli unici elementi che hanno permesso di trasformare in un film simil-nouvelle vague una sceneggiatura che sarebbe potuta andar bene per un reality o un documentario è il talento sottile ma stellare della Donzelli il cui stile però avverto come ancora poco robusto, poco muscolare seppur abbastanza incisivo e brillante.


 È inevitabile paragonare la Guerre al più recente capolavoro (secondo me) del cinema di lingua francese: gli spettacolari Les Amours Imaginaries dello strabiliante giovane fuoriclasse Xavier Dolan. Anche nel film di Dolan manca la storia, la storia continuativa e organica. La sceneggiatura procede per tableaux, per quadri staccati, scene brevi e minimali in cui tutto si concentra in un dialogo, un’azione, un gesto. La continuità non ha importanza, hanno importanza i gesti, le parole, le musiche e i colori che veicolano il senso della storia. Come in fisica maggiore è la pressione  e minore è il volume, così in arte la più grande concentrazione di stile impone le dimensioni più ristrette possibili. Se dunque gli Amours di Dolan riescono a investire di densissima pregnanza i momenti che inquadrano come frammenti di un mosaico, la Guerre della Donzelli conquista questa o quella scena ma si fa sfuggire il film, che risulta non tanto prolisso quanto superfluo.


La Guerre est Déclarée, dunque, è un film d’autore con tutti i possibili crismi, teoricamente perfetto e toccante, delicatissimo e originale ma che, praticamente, si risolve in un fuoco d’artificio con esplosione di colori ma senza alcun botto. Il talento della regista sconfina in tutte le aree della pellicola, dallo splendido uso della luce, dalle impassibili voci narranti, dalla sontuosa colonna sonora, dalle simmetrie e inquadrature che hanno il pregio di creare quel senso di straniamento e irrealtà ironica che sposta la storia da una dimensione di lacrimoso (e abietto) realismo in una chiara e luminosa regione di pura finzione teatrale. Ma tutto questo stupendo talento non riesce a resuscitare (almeno non del tutto) una sceneggiatura indubbiamente ben organizzata ma nel complesso troppo semplice, troppo liscia. Diciamo che, con questo suo film, la Donzelli ci ha fatto una promessa, la promessa di una tenue primavera per un’estate abbondante e feconda.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Iniziamo con una mazzata nello stomaco: L’olio di Lorenzo (1992) di George Miller, storiona strappalacrime su una famiglia che affronta il cancro del giovane primogenito. Per le atmosfere indie e sognanti della Guerre, il consiglio immediato è (500) Giorni Insieme (2009) di Marc Webb, altro filmetto indie/autoriale/ironico che soffre dello stesso problema del film della Donzelli: mancanza di vigore narrativo a fronte di uno stile eccellente, peccato. Lo stupendo 50/50 (2011) di Jonathan Levine, matura e sincera analisi della vita di un giovane colpito da tumore alla spina dorsale. Due altri bei film sul cancro sono l’indie statunitense Ascolta il tuo cuore (2010) di Matt Thompson e il grande classico Vivere (1952) di Akira Kurosawa.


Scena cult – Indubbiamente l’annuncio a Romeo del tumore di Adam. Una scena potente, commentata dai potenti e barocchi violini di Vivaldi.

Canzone cult – Iniziamo con la strana O Superman di Laurie Anderson, proseguiamo con il prezioso La cosa buffa di Ennio Morricone e buttiamoci sulle digressioni classiche: L’inverno di Vivaldi (nel film sono stati usati diversi movimenti del concerto insieme ad altri brani dello stesso autore) e la Suite per orchestra in Si minore di Bach. Facciamo un grosso salto avanti nel rock francese con Si tu reviens chez moi del gruppo 5 Gentlemans e nell’elettronica The Bell Tolls Five di Peter von Poehl. La lista sarebbe ancora lunga ma concluderemo con la disonesta musichetta a fior di labbra che cantano i due protagonisti: Ton Grain de Beauté.

6 commenti:

  1. anche a me ha ricordato per certi versi les amours imaginaires.
    strano, davvero strano che questo non ti sia piaciuto...
    ma non ti è piaciuto nemmeno (500) giorni insieme?
    aaaargh! :D

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    1. Il film è formalmente perfetto ma mi è parso poco nervoso, troppo disteso, lineare. In pratica è impossibile concentrarsi e se si volesse ricordare una scena o un dialogo non ci si riuscirebbe. Quanto a (500) Giorni Insieme è un bel film (in più Levitt è uno dei miei preferiti) ma si conclude con nulla di fatto, manca di nerbo perché la vicenda che descrive è troppo ordinaria. Da un punto di vista cinematografico mi piacciono tutti e due i film, ma sono gli Amours di Dolan che lasciano un segno profondissimo nella mia memoria.

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  2. Grande che rispolveri Vivere di Kurosawa! Quello sì che è un Capolavoro!
    Non l'ho ancora visto, ma ho paura che mi possa fare la stessa impressione. Staremo a vedere, anche perchè finora non sono riuscito a trovarne una buona versione sottotitolata.

    A proposito, ti ho citato nel mio post su Project X.

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    1. Grazie per la menzione! In ogni caso Vivere è un bel film, Kurosawa dà il suo meglio nei film più intimisti perché con la grande epica ottiene risultati di alto valore ma di scarso acume.

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  3. e perchè ti si dovrebbe dichiarare guerra se questo film non ti è piaciuto? basta solo una sventagliata di napalm...vabbè scherzo! A me il film è piaciuto però il tuo punto di vista l'ho trovato stimolante, mi ha fatto pensare di nuovo al film. Io l'ho visto da un'altra prospettiva: secondo me non è un film sulla malattia( il lieto fine è noto praticamente dalla prima sequenza in cui vedi il bambino bello e cresciuto che sta facendo la risonanza magnetica) ma su una coppia che viene messa a dura prova da un evento come questo. Hai ragione che è molto vero e poco verosimile: è tratto da una specie di diario della malattia che i due hanno tenuto durante questo periodo terribile...

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  4. Non l'ho ancora visto, aspetto il momento opportuno. Temo un oceano di lacrime.
    Farò sapere

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